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 2011  agosto 03 Mercoledì calendario

Negli scorsi giorni due caccia cinesi hanno inseguito un aereo spia americano attraverso gli stretti di Taiwan: un episodio che ricorda quello molto più grave della primavera 2001 quando i cinesi costrinsero un grosso velivolo degli Stati Uniti, pieno di strumentazione elettronica, ad atterrare su un’isola della Repubblica Popolare

Negli scorsi giorni due caccia cinesi hanno inseguito un aereo spia americano attraverso gli stretti di Taiwan: un episodio che ricorda quello molto più grave della primavera 2001 quando i cinesi costrinsero un grosso velivolo degli Stati Uniti, pieno di strumentazione elettronica, ad atterrare su un’isola della Repubblica Popolare. I rapporti tra le forze armate dei due stati hanno un andamento sussultorio e il pendolo oscilla continuamente tra fasi di reciproche cortesie e brusche ondate di freddo durante le quali i vertici delle due marine militari, in particolare, si guardano in cagnesco. Come gemelli siamesi Cina e Stari Uniti sono condannati a vivere insieme, ma ciascuno dei due vorrebbe, se possibile, sbarazzarsi dell’altro. La Banca centrale di Pechino ha nei suoi forzieri una quota del debito pubblico americano corrispondente a oltre 1.000 miliardi di dollari, e vorrebbe verosimilmente ridurre la sua esposizione verso gli Stati Uniti. Ma se ne gettasse una parte sul mercato, soprattutto in questo momento, le cartelle del debito americano perderebbero valore e la Cina diventerebbe più povera. Washington teme che il prodotto interno lordo cinese scavalchi quello degli Stati Uniti e che la ricchezza si traduca prima o dopo in potenza militare e ambizioni politiche. Ma l’importazione di prodotti cinesi a buon mercato ha calmierato i prezzi americani e l’acquisto cinese di obbligazioni americane contribuisce al finanziamento dell’enorme debito pubblico degli Stati Uniti. Questi sono i reciproci sospetti di due grandi paesi che si tengono d’occhio con diffidenza, ma hanno eccellenti ragioni per non spingere i loro reciproci timori sino a un punto di rottura. In realtà il quadro, per chi cerchi di guardare un po’ più lontano, è ancora più complicato. Non esiste soltanto il rischio di una Cina potente, aggressiva, decisa a dominare l’intero continente asiatico. Esiste anche un altro rischio, forse addirittura più grave: quello del rovinoso collasso del gigante cinese. L’economia continua a registrare tassi di crescita molto soddisfacenti, ma l’inflazione è al 5,5 per cento, gli operai scendono in sciopero per chiedere l’aumento dei salari, la popolazione rurale che ha ingrossato le metropoli del paese non ha i diritti della popolazione urbana, e quella che vive sui campi si ribella con una straordinaria frequenza contro la requisizione delle terre e la brutale indifferenza delle autorità (un potere che continua a definirsi comunista) per le esigenze della società contadina. La rapida modernizzazione del paese ha generato una frenesia produttiva e un programma di opere pubbliche che hanno provocato, a loro volta, una lunga catena di incidenti e catastrofi, dalle esplosioni in miniera alle inondazioni, dagli scandali alimentari agli incidenti ferroviari come quello degli scorsi giorni sulla linea dell’alta velocità fra Pechino e Shanghai in cui hanno perduto la vita 39 persone. In altri tempi questi disastri sarebbero stati pazientemente sopportati da un popolo che stava uscendo dai drammi del comunismo maoista e della Rivoluzione culturale. Oggi, dopo alcuni decenni di sviluppo, gli incidenti suscitano una rabbia che il governo fatica a controllare. Il governo sta scoprendo che in un paese più ricco possono esservi fenomeni di malumore e frustrazione più diffusi di quelli che esistevano in un paese uniformemente povero, vi è oggi, in altre parole, un doppio rischio cinese: quello di una rinascita politica e militare destinata a modificare gli equilibri della regione e del mondo; e quello di un paese minacciato dalle diseguaglianze dei suoi progressi.