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 2011  agosto 03 Mercoledì calendario

CAMPARI GUIDA LA CORDATA DEI TITOLI A PROVA DI ATTACCO - I

titoli salmone. Così li chiamano, un po’ scherzosamente, gli operatori di Borsa. Azioni che, per le più diverse ragioni, "risalgono" il mercato quando questo crolla. E che, nell’isteria collettiva, spesso spariscono dai monitor. Eppure esistono. Anche in listini duramente colpiti come quello milanese. Da inizio luglio, cioè da quando l’ondata di vendite si è accanita su Piazza Affari (-15,8% alla chiusura di ieri), c’è anche chi ha messo a segno una performance positiva.

Tra i top performer c’è una discreta pattuglia di small cap (da Bolzoni a Screen Service fino a La Doria) che, paradossalmente, in periodi di forti speculazioni al ribasso hanno sfruttato l’ essere poco liquide o scarsamente capitalizzate. «I grandi fondi esteri che hanno colpito Piazza Affari - ricorda Sergio Pigoli, consulente indipendente - non hanno in portafoglio questi titoli che, spesso, sono in mano a privati o a investitori specializzati. Di più: la loro scarsa liquidità impedisce, se anche lo si volesse, di venderli allo scoperto». Alla fine, insomma, un handicap strutturale si trasforma nell’ancora di salvezza.

Ma è, veramente, solo il non "destare" l’interesse degli operatori esteri o lo sfruttare la speculazione? A ben vedere no. Almeno non in tutti i casi. Se si guarda allo spaccato geografico dei ricavi di queste società spesso salta fuori un fil rouge: l’internazionalizzazione del business. La Doria (+6,27% da inizio luglio), per esempio, realizza il 63,3% del fatturato nel Nord Europa (22,1% in Italia) e il 4,2% in Asia. La stessa Bolzoni (+8%), nel primo trimestre 2011, ha visto le vendite in Europa, rispetto allo stesso periodo del 2010, salire del 38,6%; quelle negli Usa del 57,4% e del 67,6% nel Resto del mondo. Insomma, fare "commerci" fuori dagli (ormai) asfittici confini dell’Italia è fondamentale.

Un appeal, quello dell’estero, che si ritrova anche tra aziende più grandi: le cosiddette multinazionali tascabili. Un esempio? Amplifon (+4,6%), secondo le stime di consensus, nel 2011 realizzerà il 66% del suo Ebitda nel Vecchio continente, il 23% nell’area Asia–Pacifico e l’11% negli Stati Uniti. Una diversificazione che, evidentemente, deve piacere agli investitori. Così come viene apprezzata, in ottica difensiva, la tipologia di business: l’offerta di apparecchi acustici incontra, crisi o non crisi, la domanda. «In recessione - è la battuta un po’ greve, di diversi analisti - la sordità rimane. Si può rinunciare, magari, al viaggio ma non alle cure mediche».

Un ragionamento quest’ultimo che, con le dovute differenze, può applicarsi anche al food and beverage. Un comparto dove l’oggetto del consumo (la bevanda) ha prezzi accessibili e non implica un impegno gravoso come nei beni d’investimento (l’auto, ad esempio). In quest’ottica non deve stupire che tra i "salmoni" di Piazza Affari ci sia anche Campari: il gruppo, in luglio, ha guadagnato il 2,4 per cento; da inizio anno è salito del 18,7% mentre sui 12 mesi è cresciuto del 39,8 per cento. Anche qui, nell’identikit della società che piace al mercato, troviamo diversi comuni denominatori. In primis, l’internazionalizzazione: nel primo trimestre 2011 i ricavi dalle Americhe rappresentavano il 31,3% del totale (il 37,7% erano in Italia e il 22,8% nel resto dell’Europa). Cui deve aggiungersi un’altra condizione: l’avere impianti di produzione fuori dai confini di Eurolandia. Questo elemento riduce l’impatto, penalizzante per molti gruppi europei, del dollaro debole voluto dalla Fed di Alan Greenspan.

Ma non sono solo i settori difensivi. C’è anche chi, come Saipem (+1,15% da inizio luglio; + 26,8% sui 12 mesi), sfrutta la domanda di servizi, e tecnologie, sempre più sofisticate sul fronte energetico (in particolare nell’estrazione del petrolio). Certo, il titolo ha risalito la corrente anche sulla scia di una discreta semestrale: nei primi sei mesi del 2011 l’utile del gruppo è cresciuto a 438 milioni (+15,3%). Tuttavia, anche qui il mercato ha fin qui apprezzato il posizionamento (molti gli ordini dall’estero) in un comparto che rimane strategico.

Diverso, infine, il discorso per società come Damiani (+3,3% negli ultimi 30 giorni; +37,7% nel 2011) o la stessa Tod’s (+0,4% e + 25,9%). Per queste aziende può farsi un discorso che (oggi caso più unico che raro) accomuna Piazza Affari al resto del Vecchio continente. La domanda di beni di lusso (Damiani) o di oggetti più fashion (Tod’s), anche grazie ai nuovi ricchi dei paesi emergenti, resiste alla cattiva congiuntura. Tanto che gli stessi fondi esteri, evidemente, hanno fatto la loro selezione. Non hanno seguito i "cani di Pavlov" e venduto i titoli solo perché made in Italy.