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 2011  agosto 03 Mercoledì calendario

PERSINO LA COREA TORNA SUL LINGOTTO

Erano tredici anni che la Corea del Sud non acquistava oro. Da quando la crisi finanziaria che travolse le Tigri asiatiche costrinse il Governo a fare appello ai suoi cittadini perché consegnassero l’oro alla patria. Come in Italia ai tempi dell’autarchia fascista. Ora Seul ha comprato: la sua banca centrale negli ultimi due mesi ha accresciuto le riserve auree di 25 tonnellate. Una scelta che con i prezzi dell’oro al record storico (ieri sono volati oltre 1.645 dollari l’oncia) si può spiegare soltanto in un modo: con un’immensa sfiducia. Sfiducia nelle sorti dell’economia, che negli Stati Uniti e in molti Paesi europei appare di nuovo sull’orlo di una recessione. Sfiducia nelle valute, tutte le valute, con la sola eccezione del franco svizzero. Sfiducia nella politica, che su entrambe le sponde dell’oceano Atlantico appare inadeguata nel fronteggiare l’emergenza dei debiti sovrani e nel rilanciare la crescita.

Le autorità monetarie sudcoreane ammettono che l’oro non sembrava il più allettante degli investimenti, in termini di redditività. Ma di aver acquistato comunque, spendendo complessivamente la bellezza di 1,24 miliardi di dollari, con l’obiettivo di diversificare le riserve, arivate a superare 300 miliardi. Bisognava farlo, ha spiegato alla Reuters un anonimo funzionario della banca centrale di Seul: «Con la recente crisi finanziaria dollaro ed euro hanno perso peso, per l’adozione di politiche monetarie anormali in alcuni Paesi e per i problemi dei deficit di bilancio». Chiarimento quasi superfluo. Prima della Corea del Sud si erano mossi nello stesso modo quest’anno anche il Messico, la Russia, la Thailandia. Di acquisti cinesi sul mercato non si ha notizia, dopo quello da 454 tonnellate segnalato nel 2009. Ma il lingotto non sembra aver perso attrattiva tra le banche centrali. Neppure a questi prezzi. Alti, anzi altissimi. La banca svizzera Pictet ha provato a misurarli empiricamente, in relazione all’andamento dei listini azionari: dividendo il valore del Dow Jones Industrial Average per il prezzo dell’oro, si ottiene un rapporto di poco superiore a 7. Bisogna risalire nel tempo fino alla stagflazione degli anni ’70 o ancora prima, alla Grande depressione degli anni ’30, per trovare un rapporto più basso.