Stenio Solinas, il Giornale 3/8/2011, 3 agosto 2011
Sull’isola di Ponza, dove il Duce seppellì se stesso e il fascismo - La «prigione» del Duce era al secondo piano di questa piacevole palazzina color sabbia che oggi è l’hôtel Silvia
Sull’isola di Ponza, dove il Duce seppellì se stesso e il fascismo - La «prigione» del Duce era al secondo piano di questa piacevole palazzina color sabbia che oggi è l’hôtel Silvia. «L’albergo nacque negli anni Cinquanta, a opera di mia nonna Silviera» dice la nipote che porta lo stesso nome. «Prima come semplice locanda- pensione per pescatori, il turismo ancora non esisteva, poi, con i Sessanta, cominciò ad assumere l’aspetto che ha oggi, nove camere, la veranda-sala da pranzo direttamente sulla spiaggia... Quando Mussolini venne confinato a Ponza, mia nonna era una ragazzina, ma se lo ricordava benissimo. Un paio di volte se lo ritrovò al Frontone, che allora come oggi era la spiaggia dei ponzesi. Lei andava a raccogliere alghe per i maiali, e la cosa incuriosì lui, che la interrogò in proposito. Nel ricordo le restarono impressi dei boxer bianchi da mare e il nervosismo dei carabinieri che la allontanarono in fretta... A casa ho ancora un mobiletto dell’epoca, le ante decorate, il ripiano di marmo, è tutto quello che mi resta di quel periodo. Adesso Mussolini e Ponza sono consegnati ai libri di storia, ma ancora fino a qualche anno fa, meno se ne parlava e meglio era».Il Duce giunse a Ponza il 27 luglio 1943 e ci rimase fino al 7 agosto. In Storia di un anno , il libro scritto a caldo dopo la liberazione dal Gran Sasso, il futuro hôtel Silvia viene descritto come «una casa verdastra, seminascosta da grandi pescherecci in disarmo». In realtà, era un edificio bianco a due piani, con balconi, e il verde era dato dalle serrande. Prima di Mussolini, l’inquilino più celebre era stato il ras Imarrù, l’alleato del Negus nella guerra d’Etiopia, confinatovi negli anni Trenta, ma «uno che se ne intende fece sapere che sin dall’antichità nell’isola erano stati relegati illustri personaggi come Agrippina, la madre di Nerone, Giulia, la figlia di Augusto e, per compenso, una santa come Flavia Domitilla e anche, nel 538, un papa, San Silvestro martire. Poi saltando a piè pari alcuni secoli, moderni come Torrigiani, Gran Maestro della Massoneria, il generale Bencivenga, l’ing. Bordiga». Ponza, insomma, aveva «una sua rusticana bellezza e, anche dal punto di vista della prigionia, una storia». All’elenco,curiosamente,mancano due nomi di confinati «illustri »: Pietro Nenni e Tito Zaniboni. Nelle sue memorie, il primo racconta di aver visto «distintamente dalla finestra della mia stanza Mussolini,anch’egli alla finestra in maniche di camicia che si passava nervosamente il fazzoletto sulla fronte. Trent’anni fa eravamo in carcere insieme legati da un’amicizia che pareva dover sfidare il tempo e le tempeste della vita ». Nenni era lì dalla primavera e sarebbe stato liberato il giorno dopo l’arrivo del Duce. Era stato arrestato in Francia dai tedeschi e consegnato agli italiani. Hitler lo avrebbe volentieri fatto fucilare per tradimento, Mussolini si era limitato a un blando confino: era dal 1939 che sull’isola la Colonia dei prigionieri politici non esisteva più, Ventotene avendo preso il suo posto. Zaniboni, il fallito attentatore del Duce, era invece a Ponza dall’anno prima, reduce da 16 anni di galera. Coltivava un orto, era ospite di una famiglia. Confidò al parroco Don Dies che avrebbe evitato qualsiasi possibilità di incontro: «Quando un nemico è caduto io non ho più l’animo di combatterlo. Mi limito a rispettarlo». L’hôtel Silvia sta a Santa Maria, che è una frazione di Ponza, venendo dal mare a destra del vecchio porto che alla sua estrema sinistra è dominato dalla quattrocentesca e poi settecentesca Torre dei Borboni, costruita sopra quello che in epoca romana era stato teatro all’aperto e «murenario sacro», le grotte a mare per la conservazione del pesce. Il centro storico se ne sta in pratica appeso sul mare e corre tutto intorno al molo e alle banchine. Da qui, in pochi minuti sali sino a Chiaia Luna, sul lato opposto che guarda a Palmarola. Nell’unica tabaccheria della passeggiata che sovrasta l’imbarco dei traghetti, fa ancora bella mostra di sé l’opuscolo che il già ricordato Don Luigi Maria Dies scrisse e pubblicò nel 1949, Istantanea mussoliniana a Ponza , e che da allora è periodicamente ristampato. Successe che il 5 agosto del 1943, Mussolini scrisse al religioso una lettera, in occasione del «secondo annuale della morte di mio figlio Bruno». Voleva fosse celebrata una messa in suffragio, allegava mille lire come offerta e l’omaggio della Vita di Gesù Cristo di Giuseppe Ricciotti, «libro esaltante che si legge veramente tutto d’un fiato». Il saggio di Ricciotti e le Odi barbare di Carducci, furono le due letture ponzesi di chi sino a qualche giorno prima era stato l’uomo più potente d’Italia e che ora cancellava l’era fascista persino dalla datazione della sua lettera... «A Ponza- scriverà di sé in terza persona- si rese conto della miserabile congiura che lo aveva eliminato », una carta annonaria, «abitante in via Marina a S. Maria», come unico documento della sua nuova situazione. «Una piccola isola» si era sorpreso a mormorare quando gli avevano finalmente rivelato la sua destinazione, una sorta di condizionato riflesso napoleonico legato a Sant’Elena, e, stando all’ammiraglio Maugeri che lo aveva in consegna, aveva aggiunto: «Trattarmi così non è generoso e non è nemmeno saggio. Cosa temono? Io sono politicamente defunto. Sono stato tradito. Ora so che la mia carriera politica è finita...». Dal Kibar di Chiaia Luna, dove il turismo celebra il rito dell’happy hour dopo una giornata di mare, lo sguardo abbraccia da un lato la splendida spiaggia sottostante e dall’altro la vanvitelliana scenografia del porto. Da anni ormai Ponza è luogo rinomato di vacanze, alle prese con gli annosi problemi del sovraffollamento estivo, di un porto ormai asfittico, di un’economia stagionale, della lenta ma costante emorragia dei suo abitanti. Si va a lavorare, si mandano i figli a studiare sulla terra ferma laziale o campana. La «rusticana bellezza» di cui parlò il suo più celebre e moderno «prigioniero» resiste nelle coste a strapiombo sul mare, nell’incredibile purezza dell’acqua, nell’asprezza di un paesaggio accentuata dal soffio del maestrale. Fu la penultima isola del Duce (ci sarebbe stato ancora tempo per La Maddalena), ma fu quella dove Mussolini seppellì se stesso e il fascismo.