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 2011  agosto 02 Martedì calendario

LA SAI L’ULTIMA SU PLATONE?

Se pensiamo ai greci li immaginiamo mentre discutono di politica nell’agorà, mentre sacrificano agli dèi, mentre durante i simposi dibattono questioni come «cosa è la giustizia» . Non, certamente, mentre si raccontano barzellette, cosa che invece a quanto pare facevano spesso. Quella che la scuola ci ha trasmesso, infatti, è la cultura «alta» dei greci. Ma esisteva anche una cultura in senso ampio, antropologico, di cui faceva parte — appunto — anche il piacere di divertirsi raccontandosi storielle spiritose. Ed è interessante ascoltarle (oggi, ovviamente, leggerle) per capire il senso greco dell’umorismo.
Dove trovarle? Inutile, ovviamente, cercare nelle fonti maggiori, quelle letterarie, storiche o filosofiche, dove, se mai, è possibile trovare discorsi sul valore e gli effetti del riso, in verità non sempre positivi: Socrate ad esempio (nella Repubblica di Platone), afferma che non bisogna «essere in ogni caso amanti del riso: generalmente, infatti, quando ci si abbandona a grandi risate, questo comporta anche un mutamento interiore» ; e Aristotele (De virtutibus et vitiis) scrive che «è proprio dell’intemperanza essere amanti del ridicolo, del motteggio e della battuta facile, e l’essere faciloni nel parlare e nell’agire» . Opinioni non da poco, certamente, ma che a quanto pare non ebbero grandi effetti sul comportamento popolare.
Come sta chiaramente a dimostrare una fonte minore, ma non per questo non interessante: Philogelos, l’unica raccolta di barzellette a noi giunta dell’epoca classica, di cui è in libreria una traduzione con testo greco a fronte e un’introduzione (Philogelos. Cuorcontento. Barzellette greche dei nostri avi, a cura di Giuseppe Vergara, Grauseditore, pagine 190, e 15). Sono 265, all’incirca, le storielle raccolte (i dubbi sul numero esatto dipendono dalle numerose ripetizioni), divise in sezioni articolate in sottotitoli che indicano la tipologia dei personaggi di cui ci si faceva beffe: gli avari, fra gli altri, i pavidi, gli invidiosi… impossibile citarli tutti.
Limitiamoci ad alcune tipologie: le donne (specie se vecchie, secondo un topos caro ai greci, perennemente assetate di sesso). Un giovane uomo, dice un raccontino, dà ordine ai suoi servi di mandare a chiamare due vecchie in calore: «A una di loro, dice, date da bere. Con l’altra fate l’amore» . E le due vecchie, in coro: «Ma noi non abbiamo sete!» . Altra tipologia: gli abitanti di alcune città cui si attribuiscono capacità mentali non particolarmente brillanti. Cominciamo dagli abitanti di Abdera: uno di questi, cui era morto un passerotto, vedendo uno struzzo dice: «Se il mio passerotto fosse campato, adesso sarebbe grande come lui» . Un altro è in barca, ma non spira un alito di vento; avendo sentito dire che le cipolle sprigionano aria, ne riempie un sacco e lo appende a poppa. Non molto diversa la fama degli abitanti di Sidone: un centurione di quella città raccomanda ai soldati: «Sedetevi molto, oggi, perché domani la marcia è lunga» . Infine, i cittadini di Cuma: uno di essi, sotto la casa di un amico, lo chiama per nome; poiché quello non risponde, un passante suggerisce «chiamalo più forte» . E il cumano, subito: «Ehi, più forte!» .
Ma l’oggetto privilegiato di sbeffeggio sono gli intellettuali (in greco scholastikoi), ai quali sono dedicate ben 103 barzellette, del tipo: uno scholastikos ha sognato che calpestava un chiodo e si è fasciato un piede; un amico gliene chiede il motivo e poi commenta: «Hanno ragione a dire che siamo stupidi: perché mai vai a dormire scalzo?» . E qui ci fermiamo, ma val la pena leggere anche le altre.
Più o meno divertenti che oggi le si trovi, contribuiscono a far conoscere un aspetto della cultura antica al quale gli studiosi hanno dedicato solo sporadicamente attenzione (segnaliamo, per chi vi avesse interesse, le indagini di Renzo Tosi (Philogelos e comicità popolare, 1982), e di Mario Andreassi (Le facezie del Philogelos. Barzellette antiche e umorismo moderno, 2004). Ben venga dunque, questa nuova traduzione, che consente anche ai non specialisti di conoscere questo aspetto singolare della grecità.
Eva Cantarella