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 2011  agosto 02 Martedì calendario

GLI ASSAD I VERI PRINCIPI DEL TERRORE

Quando nel 1982 Hafez al Assad decise di sterminare a suon di bombe e cannonate i rivoltosi di Hama, affidò l’operazione al fratello minore Rifaat. La Brigata 47 e la Brigata 21, proprio sotto il comando del “piccolo” Rifaat, annientarono la ribellione guidata dai sunniti della Fratellanza musulmana: morirono circa trentamila persone, donne e bambini compresi. Della maggior parte di loro non è rimasta nemmeno una lapide perché furono sepolti in fosse comuni.
La ricostruzione della città, rasa al suolo dai bombardamenti, cancellò qualsiasi traccia e ricordo di quei morti. Le fosse furono coperte di asfalto e nuovi edifici. Quasi trent’anni dopo, l’erede del Leone della Siria – il nome da combattente del sanguinario patriarca Hafez – Bashar (45 anni) ha affidato al fratello minore Maher (43), il compito di debellare la nuova rivolta di Hama. Maher, come lo zio Rifaat, si è guadagnato l’appellativo di “macellaio”. Ma, rispetto al 1982, il contesto storico-politico è diverso: da quattro mesi, a ribellarsi non è una sola città ma un’intera nazione e nel frattempo la primavera araba ha spazzato via alcuni pesi massimi del terrore: da Ben Alì a Mubarak, e ancora insidia Gheddafi.
Non è detto, quindi, che i fratelli assassini ce la faranno a sconfiggere la ribellione dei sunniti. La famiglia Assad appartiene da sempre alla minoranza alawita, una setta sciita. Non appena Hafez prese il potere, tutti i quadri dell’esercito furono scelti tra gli alawiti. Da quel momento i sunniti e chi non faceva parte del suo entourage furono estromessi dai ruoli chiave della macchina statale di impostazione baathista.
PER LA FAMIGLIA Assad la religione è davvero solo un pretesto per mantenere il potere. Così come lo fu, e lo è, il Baath, il partito nato in Medio Oriente da un’ispirazione marxista–socialista, di cui Hafez allora e oggi Bashar, sono anche leader. Tutto per gli Assad è un pretesto per aumentare e consolidare il proprio potere. E la guerra per il potere sono riusciti a portarla anche all’interno della famiglia. I fratelli Bashar e Maher che dominano la Siria dal 2000, quando Bashar succedette al padre, sono in realtà le riserve. Hafez aveva, infatti, destinato alla propria successione il figlio primogenito Bassel, che morì nel 1994, a 32 anni, in un incidente d’auto.
Per Hafez e Rifaat fu un colpo durissimo: durante i funerali, il presidente singhiozzava disperatamente mentre Rifaat svenne e non riuscì ad assistere alla sepoltura del nipote. Di quell’incidente si disse di tutto, di certo fu una morte che riaprì i giochi, mettendo di nuovo gli altri figli in lizza per il dopo Hafez. Nessuno ha mai creduto che quell’incidente fosse dovuto solo alla nebbia e alla forte velocità. Colui che aspirava a diventare il nuovo presidente della Siria era Maher. Del resto l’allampanato e stralunato Bashar era da anni in Inghilterra a studiare oftalmologia e a fare la bella vita, e non sembrava interessato al “trono”. Ma nessuno sembrava d’accordo sull’affidare la presidenza al pazzo Maher. Hafez decise di estrometterlo definitivamente quando Maher, durante una riunione di famiglia, sparò nello stomaco al cognato Assef Shawkat (che la scampò), già allora uno degli uomini più potenti del Paese e ora vice-capo di Stato Maggiore.
Assef aveva osato replicare all’ordine di non impicciarsi degli affari politici di casa, pur essendo il marito di Bushra, primogenita e unica figlia femmina di Ha-fez. Quando Bashar fu designato erede, Maher, senza più alcuna chance, gli giurò fedeltà. E l’oftalmologo a digiuno di armi, scambiò la ferocia del fratello per strategia militaresca e gli affidò la quarta divisione, una sorta di guardia repubblicana, in realtà una guardia personale di Maher e non di Bashar. Alcuni analisti sostengono che Bashar sia ricattato dal fratello che non intende negoziare con la comunità internazionale riforme o passaggi di mano della leadership.
SU DI LUI, ancor prima che su Bashar, gravano già le sanzioni internazionali emanate dall’Onu due mesi fa. Sul capo di Maher, infatti, dovrebbe pendere, a breve, la spada di Damocle del reato di crimine contro l’umanità. Uscire dalla Siria per lui sarà impossibile e se Bashar dovesse perdere il potere, anche il suo stesso Paese diventerebbe un luogo “invivibile”. Sempre in tuta mimetica e occhiali da sole, Maher è odiato dalla popolazione di qualsiasi etnia e credo religioso. I siriani lo temono e lo disprezzano.
Ha fatto il giro del mondo all’inizio della rivolta, quattro mesi fa, il video in cui un uomo in mimetica e occhiali scuri – identico a Maher – filmava con il telefonino pezzi di corpi, l’altra mano tranquillamente in tasca, tra i calcinacci di una prigione, rasa al suolo dopo una protesta dei detenuti. L’uomo è così: non si fa prendere dal panico o dalla pietà. Ordina di sparare e chi c’è c’è. E finora i morti stimati sarebbero più di 1500.