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 2011  agosto 01 Lunedì calendario

OBAMA SULLE TRACCE DEL MIRACOLO CLINTON

Barack Obama il negoziatore-capo ha fatto miracoli per salvare l´America a poche ore dalla prospettiva di una cessazione dei pagamenti del Tesoro.
La catastrofe sarà scongiurata, i voti per approvare l´accordo ci saranno: questa era la previsione prevalente al termine di una domenica al cardiopalmo, nonostante le due "fronde" opposte. La corrente radicale della destra e i più progressisti fra i democratici hanno bocciato l´accordo salva-debito. Contro le concessioni di Obama alla destra anti-Stato si è schierato il deputato Raul Grijalva che guida l´ala sinistra del partito democratico (Congressional Progressive Caucus, 74 parlamentari): «Non si possono svendere le condizioni di vita dei cittadini per placare una frangia di estremisti di destra». Sullo sfondo c´è un´America che non cresce più, e che rischia di trascinare il mondo verso un´altra recessione.
L´accordo negoziato ieri sera sembra il massimo che Obama potesse fare, visto che la Camera è tenuta in ostaggio dalla destra radicale, e di lì bisogna passare per alzare il tetto legale del debito. Per questo la rivolta della sinistra non dovrebbe impedire il sì della maggioranza dei democratici: l´alternativa è affondare il presidente stesso. Lo sforzo finale di Obama è arrivato in extremis, proprio quando il Tesoro Usa sta per esaurire i fondi per pagare stipendi pubblici, pensioni, interessi sui suoi titoli detenuti a Pechino, Tokyo, Ryad, Mosca e Brasilia. Nell´immediato se l´accordo taglia il traguardo con i voti di una maggioranza bipartisan è una buona notizia per la stabilità dei mercati globali: un default Usa sarebbe stato uno shock. Tuttavia nel lungo periodo, come osserva la direttrice del Fondo monetario internazionale Christine Lagarde, questa crisi è un´ulteriore colpo al «privilegio esorbitante del dollaro», la sua credibilità come moneta globale ne esce intaccata.
Un´altra incognita è l´impatto sull´economia reale. «E´ sconfortante – osserva l´ex consigliere economico di Obama, Larry Summers – che tutta l´energia della classe politica sia dedicata al deficit pubblico, mentre il problema immediato è che la nostra economia è paralizzata per mancanza di domanda». Il saldo economico della bozza di accordo tra Obama e la destra è evidente: si tratta di una manovra restrittiva, fatta di sacrifici ancorché spalmati su un decennio (2.400 miliardi di tagli di spesa), è quindi una manovra che toglie anziché aggiungere carburante alla crescita. In questo senso la notizia è meno buona anche per il resto del mondo: aumenta il rischio che l´America trascini l´Europa in una ricaduta nella recessione.
Questo si lega al segno politico di tutta la vicenda, il dibattito americano si è spostato sul terreno prediletto della destra: "meno Stato". I democratici hanno negoziato fino all´ultimo ma tutta la discussione è stata su "quanto" tagliare, non "se" tagliare il Welfare. Risulta impossibile, almeno dentro i rapporti di forze di questo Congresso, perseguire l´equità nella distribuzione del carico fiscale. "Niente nuove tasse", sta scritto a caratteri cubitali sulla bozza di accordo. Eppure quest´America ha le aliquote più basse dai tempi di Harry Truman, il presidente del periodo post-bellico, e gli sgravi concessi da George Bush ai ricchi hanno dato un contributo decisivo a creare la voragine del deficit. "Capitolazione", denuncia l´ala sinistra del partito democratico. I pilastri dello Stato sociale che i progressisti avevano promesso di difendere – pensioni e sanità – sono intaccati.
"L´invasione degli hobbit" a Washington ha cambiato le regole del gioco. Gli "hobbit" è la definizione data ai neofiti del Tea Party da John McCain, l´ex candidato presidenziale che rappresenta il vecchio establishment repubblicano. La destra moderata e rispettabile di McCain era abituata al compromesso bipartisan, gli "hobbit" (dal Signore degli Anelli di Tolkien) sono una specie diversa. Il Tea Party è a suo agio nel ricatto, convinto che Obama sia un "usurpatore" contro il quale tutti i colpi sono consentiti. Arrivare al novembre 2012 con un´economia a pezzi è una scorciatoia utile per far fuori questo presidente "alieno".
Nel bilancio tattico Obama segna dei punti: esce confermata la sua figura di statista responsabile, pragmatico e pronto a fare sacrifici nell´interesse della nazione. Anche troppi, secondo la sinistra del suo partito che lo accusa di avere svenduto valori irrinunciabili. Non dipende da Obama, però, se la sinistra è sulla difensiva nella battaglia per l´egemonia culturale. Lo spiega Stanley Greenberg, il più celebre esperto di sondaggi demoscopici dell´area liberal: «Un´eredità della grande recessione del 2008-2009, è che fasce di elettorato popolare conservano il ricordo dei salvataggi pubblici a favore di Wall Street». Le politiche d´intervento statale nell´economia sono associate al "socialismo per i banchieri", uno slogan che sposta su posizioni neoliberiste anche tanti colletti blu e ceti medio bassi dell´America profonda. «La sinistra si è identificata con lo Stato», ricorda Greenberg, e lo Stato inteso come burocrazia pubblica è screditato anche in alcuni ambienti sociali tradizionalmente progressisti.
Sembra lontana un secolo l´epoca in cui il famoso Orologio del Debito Nazionale di Times Square fu spento. Accadde solo 11 anni fa: gli Stati Uniti avevano raggiunto un bilancio pubblico in attivo. Alla Casa Bianca era un altro democratico, Bill Clinton. Anche lui aveva dovuto concedere molto alla destra, compresi tagli al Welfare, quando si era trovato in minoranza al Congresso nel 1995. Poi aveva rivinto l´elezione per un secondo mandato. Il debito era sparito grazie a una crescita robusta. Per ripetere il miracolo di Clinton, occorre crescita. Obama non può contare sui debolissimi consumi privati. Ci sarebbe una domanda di servizi collettivi da soddisfare: più risorse alla scuola e ai trasporti pubblici. L´idea di questo nuovo patto sociale era il messaggio di Obama in versione 2008. In questa estate del 2011 la priorità era impedire che gli "hobbit" giocassero alla bancarotta.