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 2011  agosto 01 Lunedì calendario

VITA DI CAVOUR - PUNTATA 143 - IL CONGRESSO DI PARIGI

Che cosa chiesero in questi memorandum?

Modena, Parma e Piacenza al Piemonte. Compensi all’Austria nei principati danubiani. Ritiro degli austriaci da Ferrara. Quindi fine dell’influenza austriaca in Italia e avvio di una politica di alleanze tra gli stati italiani che avrebbe potuto portare a una federazione con il Papa presidente.

Balbo e Gioberti cucinati insieme.

Beh, era un pacchetto che andava bene col Piemonte in guerra e l’Austria a casa, cioè in una situazione in cui, in qualche modo, Vienna fosse dall’altra parte del tavolo. Dopo l’ultimatum le posizioni s’erano rovesciate, perché l’Austria aveva riconquistato il diritto di parola.

Senza aver mandato neanche un soldato?

Sì, perché comunque era stata lei, con l’ultimatum, a indurre lo zar alla resa.

E quindi dovettero scrivere un secondo memorandum.

Venne Nigra. Aveva appena finito di copiare in bella le trenta pagine di Massimo. Cavour prese il malloppo, e lo chiuse in un cassetto. «È troppo lungo». «Ma come...». «Sì, è lungo, come vuole che l’imperatore si sorbisca un affare di quelle dimensioni, un volume...». Nigra stette zitto. In fondo il problema di dire a Massimo che il suo lavoro era bocciato era di Cavour.

Cavour riscrisse completamente il memorandum.

Sì, da capo a fondo. In un contesto in cui l’Austria aveva di nuovo voce in capitolo bisognava diminuire le pretese se si voleva sperare di ottener qualcosa. Non era solo questione di qualche vantaggio materiale, tutta la politica del conte era in gioco. Supponiamo che, dopo la guerra e il resto, al Regno di Sardegna non venga nulla, ma nulla di nulla. In questo caso, tutti quelli che avevano avversato l’alleanza di Crimea avrebbero avuto ragione di pretendere le dimissioni del ministero. Lui e gli altri sarebbero stati sommersi da un mare di risate.

Il punto, se capisco bene, è che bisognava portare a casa qualcosa, sia pure minima.

Già. Cavour, nella sua memoria, ridusse la questione italiana al problema delle Romagne e il problema delle Romagne era riassunto nella dichiarazione: le Romagne sono malgovernate. Le Romagne sono talmente malgovernate - scrisse Cavour - che gli austriaci sono costretti a tener truppe a Ferrara, perché senza questa protezione scoppierebbe subito una rivolta. Ma questa opera da guardiani non può durare in eterno, tra l’altro essa è in contrasto con le disposizioni del Congresso di Vienna di quarant’anni fa. Perciò: 1) l’Austria si ritiri; 2) si dia alle Romagne una sistemazione diversa da quella attuale, cioè si sottraggano in qualche modo le Romagne al governo del Pontefice. Questo può avvenire o affidandole al granduca di Toscana oppure al duca di Modena o anche erigendole in provincia autonoma all’interno dello Stato pontificio.

E basta? In questo modo al Piemonte non sarebbe venuto niente.

E la Toscana e Modena erano quasi dei protettorati austriaci...In realtà era una proposta piena di sensi nascosti. In generale, svelava l’idea di Cavour secondo cui l’equilibrio italiano era una costruzione perennemente in bilico, dalla quale sarebbe stato sufficiente sottrarre una pietruzza per ottenerne il crollo. V’era poi l’altra idea chiave dello sgombero dell’Austria oltre il Po. Ritirandosi l’Austria, tutto il partito reazionario in Italia si sarebbe ritirato.

Che disse Napoleone?

La memoria gli piacque. Agli inglesi l’ambasciatore a Londra Emanuele d’Azeglio ne fece vedere una versione diversa, che secondo lui avrebbe incontrato maggior favore presso quel gabinetto. E cioè: l’Austria si prende le Legazioni (Bologna, Ferrara, Ravenna, Forlì) e il Piemonte allarga i suoi confini fino al Mincio. Ma era un progetto che Cavour disapprovava perché aumentava i territori della monarchia senza contropartite nazionali, dunque toglieva forza morale al Piemonte nei confronti del movimento patriottico. Perciò, quando cominciò il congresso di Parigi, il conte si tenne ben stretto il suo piano sulle Romagne.

Siamo dunque al Congresso di Parigi.

Sì, 25 febbraio 1856. Il congresso avrebbe dovuto fissare le condizioni della pace. Più Cavour ci pensava, più gli pareva che sarebbe stato impossibile ottener qualcosa. Tentò di mandare come plenipotenziario sardo Massimo d’Azeglio, ma quello, quando seppe che forse non sarebbe neanche stato ammesso alle discussioni, rinunciò. Toccava dunque allo stesso Cavour. Il conte partì sicuro di fallire. Sì, pensava, alla fine di tutto questo sarò cacciato con ignominia. Si portò dietro Nigra, fece fare delle divise nuove a tutta la delegazione e si mise in viaggio. Se fosse stato ammesso alle trattative, avrebbe avuto di fronte, a discutere con lui, gli austriaci. E il resto della diplomazia europea scettica, o in qualche caso nemica. Lord Clarendon, scettico. Il conte Walewski, ministro degli Esteri francese, nemico. Napoleone III... chi poteva giurare sul pensiero autentico di Napoleone III?

Non fu allora che gli infilò nel letto la contessa di Castiglione?

Già. La contessa di Castiglione.