Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2011  agosto 01 Lunedì calendario

“La tragedia del Cermis? Colpa dei comandanti” - Quando risponde al telefono sono le 5,05 del pomeriggio, e subito avverte: «Sto partendo per le vacanze

“La tragedia del Cermis? Colpa dei comandanti” - Quando risponde al telefono sono le 5,05 del pomeriggio, e subito avverte: «Sto partendo per le vacanze. Se arrivo tardi a casa mia moglie si arrabbia: non ho tempo per parlare». Quando attacca, 41 minuti dopo, Joseph Schweitzer ha sfogato tutta la sua frustrazione e rivelato la propria verità, sulla tragedia che ha cambiato la sua vita e quella di almeno altre venti persone: «L’incidente del Cermis fu causato dal disorientamento spaziale: non sapevamo più dove ci trovavamo. Ma la vera responsabilità ricade sui comandanti, che non ci diedero le informazioni necessarie a condurre la nostra missione. Tutto questo non si è mai saputo perché i leader militari e i politici avevano fretta di chiudere l’inchiesta, scaricando la colpa sull’anello debole della catena». Schweitzer era il navigatore dell’aereo EA-6B Prowler dei Marines che il 3 febbraio 1998 colpì la funivia del Cermis. Nello schianto morirono 20 persone. Lui era seduto vicino al pilota, Richard Ashby, e doveva indicargli la strada. Cosa è successo quel pomeriggio? «Spatial disorientation: avete presente? Quando un pilota perde la percezione esatta della sua direzione». Le carte dell’inchiesta condotta dai Marines, che «La Stampa» ha pubblicato il 13 luglio, raccontano un’altra storia: vi accusano di aver volato sotto la quota minima. Non è vero? «Quell’inchiesta non è stata accurata, imparziale ed esauriente, perciò l’accusa sui fatti relativi al volo non ha retto al processo. I dati che avete riportato anche voi sono sbagliati, ma la cosa più incredibile è che sia diventata pubblica solo ora. Noi la conoscevamo da tredici anni, eppure le autorità l’hanno tenuta nascosta: mi sa dire perché?». Le carte dicono che avevate nella cabina di pilotaggio l’ordine che vi vietava di volare sotto i 2000 piedi: l’incidente è avvenuto a circa 300 piedi. «È sbagliato: quel documento era nascosto in un cassetto, nessuno l’aveva visto. Nel briefing preparatorio della missione ci avevano detto che non potevamo scendere sotto i mille piedi». L’incidente è avvenuto comunque sotto quella quota. «Spatial disorientation». Le carte dicono anche che il radar altimetro funzionava bene: non avete sentito il segnale di allarme quando siete scesi sotto la quota minima? «No, era rotto». Vi siete accorti di cosa avevate fatto? «Ci siamo resi conto che eravamo vivi per miracolo». Al processo lei ha ammesso di aver distrutto un video del volo: perché lo ha fatto? «Dovete capire che noi siamo sopravvissuti per caso, o per fortuna. Dopo l’incidente eravamo nelle stesse condizioni di stress di una persona ferita in combattimento». E la prima cosa che le è venuta in mente è stata cancellare una prova fondamentale di quanto era successo? «Quel video era un gioco, avevamo cominciato a girarlo per divertimento molto prima dell’incidente. Eravamo contenti di fare quella missione a bassa quota, ridevamo: volevate vedere la mia faccia sorridente, ripresa molto prima dell’impatto, sovrapposta alle immagini dei morti?». Ecco, i venti morti: ci pensa mai? Schweitzer accenna una risposta, si ferma, poi riprende: «Non passa giorno senza che ci pensi. È la tragedia della mia vita. Io sono sopravvissuto e loro no, e non so perché. Forse per raccontare questa verità. Ogni semestre spiego la mia esperienza con un video a ragazzi di college e di scuola superiore, che studiano etica e leadership. Non è una bella storia, ma viene ricevuta con interesse, da quattro anni. Ecco, questo dobbiamo finalmente a quei morti: la verità, affinché la loro fine non sia stata inutile e non si possano ripetere simili disastri». Ce la dica, questa verità. «Non si risolve così, parlando cinque minuti. Bisogna scendere nei dettagli, studiare, capire». Sta dicendo che l’inchiesta dei Marines non l’ha fatto? «Ma non vi pare strano che per una tragedia del genere ci sia stato solo un rapporto, di una sessantina di pagine, scritto dallo stesso corpo coinvolto nell’incidente? Nemmeno una inchiesta indipendente? Voi italiani non avete indagato? Lo sapete quante pagine sono state scritte sul disastro dello shuttle Columbia? Ve lo dico io: 460. E là morirono sette persone. Sul Cermis ci sono stati venti morti, e ce la siamo cavata con un’inchiestina interna di 60 pagine?». Cosa avremmo scoperto, con un’indagine più approfondita? «I dati, quelli veri. Ogni inchiesta, ad esempio, esclude subito le testimonianze oculari, perché non sono accurate. Infatti i dati di volo smentiscono tutte le dichiarazioni dei testimoni circa l’altezza a cui passavamo. Perché non c’è mai stata una seconda indagine che tenesse conto di questa verità?». Ce lo dica lei. «Avevano fretta di chiudere e dimenticare tutto. Perché era una roba grossa, che avrebbe coinvolto i finanziamenti alla difesa, la collaborazione con gli alleati della Nato, i nostri superiori. Gli italiani hanno visto aprirsi una finestra d’opportunità politica e ci sono entrati: lo capisco. A quel punto l’interesse generale è diventato scaricare la colpa sull’anello debole e chiudere tutto. Ha presente come si dice in America? Bad apple, mele marce. C’erano delle mele marce che corrompevano tutte le altre. Ma nessuno si chiede mai se a essere avariata, invece, è la cassetta che le contiene. Altrimenti come lo spiegate il silenzio completo del segretario di Stato Albright? Lei e tutti i politici in questa vicenda sono stati dei fantasmi: perché?». In realtà il rapporto dei Marines, firmato dal generale Peter Pace, dice che i vostri comandanti non avevano distribuito bene le informazioni e andavano puniti. «E vi risulta che qualcuno abbia pagato? Non sapevamo l’altezza a cui dovevamo volare, avevamo delle carte su cui non era neppure segnalata la funivia: ehi, non eravamo mica un gruppo di ragazzi saliti sopra un aereo per gioco! Stavamo gconducendo una missione militare a bassa quota, non sono cose che si organizzano così alla leggera. Mi devi dare le informazioni essenziali di cui ho bisogno. C’è anche uno scambio di mail tra il generale Pace e un altro comandante che spiega molto». Cosa dice? «Ve lo racconto un’altra volta». Almeno a grandi linee? «L’inchiesta aveva preso una certa strada, tenendo conto dei dati di cui vi ho parlato, ma poi è tornata indietro». Le sarà dispiaciuto, qualche anno dopo, di vedere il generale Pace che diventava capo degli stati maggiori riuniti... «Ci avrei scommesso». Si sente ancora col capitano Ashby e gli altri membri dell’equipaggio? «Queste sono cose personali, non riesco a parlarne». Lei vola ancora? «Ogni tanto». È vero che per mestiere fa il consulente dei veterani? «Faccio un lavoro che non dovrei fare. Ma una volta che capito da New York ci vediamo, e vi racconto il resto».