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 2011  agosto 01 Lunedì calendario

Cipro a un passo dal baratro - Cipro è nei guai. E per richiamare al senso di responsabilità una classe politica sorda, il governatore della banca centrale Athanasios Orphanides ha azzardato nei giorni scorsi un paragone tra la grave crisi economica e il sanguinoso colpo di Stato greco che causò l’invasione turca del 1974

Cipro a un passo dal baratro - Cipro è nei guai. E per richiamare al senso di responsabilità una classe politica sorda, il governatore della banca centrale Athanasios Orphanides ha azzardato nei giorni scorsi un paragone tra la grave crisi economica e il sanguinoso colpo di Stato greco che causò l’invasione turca del 1974. Un monito giunto prima, oltretutto, dei declassamenti decisi mercoledì da Moody’s, che ha abbassato il giudizio sul debito di due gradini da A2 a Baa1, e da Standard&Poor’s, che si è limitata venerdì a peggiorare il rating di un solo «notch» a BBB+ ma ha avvertito che un altro gradino potrebbe seguire, in gergo che «l’outlook è negativo». Cipro rischia così di diventare il quarto Paese dell’euro a dover ricorrere a prestiti comunitari per scongiurare il fallimento. E all’emergenza economica si è aggiunta una crisi di governo che ha portato, per ora, a un rimpasto dell’esecutivo guidato dal comunista Dimitris Christofias. Dal suo osservatorio privilegiato Orphanides si è spinto a fare quel confronto drammatico perché vede da mesi il baratro nel quale l’isola del Mediterraneo che i ciprioti dividono a metà con i turchi sta scivolando. I tassi d’interesse su titoli di Stato decennali sfiorano il 10 per cento, ben oltre il livello di allarme che ha spinto negli ultimi 14 mesi Grecia, Portogallo e Irlanda a chiedere un prestito al fondo salva-Stati europeo. D’un lato la crisi ellenica fa tremare Nicosia per l’enorme esposizione delle banche cipriote verso Atene. I due principali istituti di credito, Bank of Cyprus e Marfin Popular Bank hanno rispettivamente 2,4 e 3,4 miliardi di euro di titoli greci in portafoglio: sono il settimo e il terzo più grande detentore di «sirtaki bonds» in Europa. I dati sono dell’Eba, l’autorità europea per le banche. E se anche se Bank of Cyprus ha dichiarato la scorsa settimana di essersi alleggerita di 700 milioni di titoli, è soprattutto il dato complessivo dei prestiti elargiti alla Grecia dalle banche cipriote che preoccupa: circa 30 miliardi. Per avere un’idea: il Pil di Cipro ammonta a poco più della metà, 17 miliardi di euro. Alla situazione allarmante delle banche si aggiunge l’impasse sui conti pubblici. Il deficit veleggia verso il 5 per cento del Pil senza che il governo riesca ad approntare un piano credibile di risanamento. E allo stallo sui conti si è aggiunto un incidente pauroso di venti giorni fa che la dice lunga sull’ irresponsabilità dell’attuale esecutivo e che secondo le prime stime ha causato danni per oltre due miliardi di euro - per Moody’s la condanna certa a un 2011 di «crescita zero» (il governo stimava un aumento del Pil dell’1,5 per cento). La mattina dell’11 luglio scorso 98 container pieni di ordigni bellici lasciati per ben due anni esposti al sole in un porto militare a Sud dell’isola sono improvvisamente esplosi. Un incidente che è costato la vita a 13 persone e che ha anche messo fuori uso la principale centrale elettrica, Vasilikò, situata - altra follia - vicinissimo ai container sequestrati nel 2009 a una nave iraniana diretta in Siria. Il disastro ha causato un’ondata di rabbia nella popolazione che ha spinto alle dimissioni quasi immediate i ministri della Difesa e degli Esteri. Ma solo nel corso dell’ultima settimana Dimitris Christofias, presidente della Repubblica - Cipro è una repubblica presidenziale e il capo dello Stato è anche capo dell’esecutivo - ha deciso un rimpasto, ma senza essere mai sfiorato dall’idea di dimissioni. Guida dal 2008 un esecutivo formato dal partito comunista Akel e dal partito democratico Diko (di centrodestra) e poche ore dopo aver costretto i suoi ministri a un passo indietro, a chi gli chiedeva perché non avesse dato il buon esempio, ha dichiarato che «sono stato eletto dal popolo e devo rendere conto solo al popolo, non ai media». Una frase senza senso, per un Paese con un piede nel baratro.