Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2011  agosto 01 Lunedì calendario

“Gheddafi non ha futuro La partita è quasi finita” - Allora, ammiraglio, il «gioco è finito» come ha detto il segretario della Nato, Anders Fogh Rasmussen? Oppure no, come si è portati a pensare leggendo le incerte notizie che arrivano dalla Libia? Giampaolo Di Paola, capo del Comitato Militare dell’Alleanza Atlantica, indica sulla carta del Mediterraneo meridionale i gangli dell’operazione «Unified Protector» lanciata con mandato Onu

“Gheddafi non ha futuro La partita è quasi finita” - Allora, ammiraglio, il «gioco è finito» come ha detto il segretario della Nato, Anders Fogh Rasmussen? Oppure no, come si è portati a pensare leggendo le incerte notizie che arrivano dalla Libia? Giampaolo Di Paola, capo del Comitato Militare dell’Alleanza Atlantica, indica sulla carta del Mediterraneo meridionale i gangli dell’operazione «Unified Protector» lanciata con mandato Onu. Bengasi, Brega, Misurata, Tripoli, bandiere della caccia aerea al nemico. «Il gioco è finito per Gheddafi assicura -, il rais non ha più un futuro. La tendenza è quella di un progressivo indebolimento del regime, militare e politico. Non può sperare di spuntarla. Per lui il gioco è veramente chiuso». La guerra continua, però. «La situazione sul terreno indica che, dal punto di vista operativo, la marea è cambiata. Aumentano i riconoscimenti del Consiglio transitorio e i ribelli si rafforzano. Gheddafi ha perso il vantaggio. Alla fine andrà come auspicato: a vincere sarà il popolo libico che potrà scegliere il proprio futuro». Quando? «La Nato deve realizzare il mandato dell’Onu - proteggere i civili ed attuare la No Fly Zone - indipendentemente dal tempo. La nostra determinazione non è cambiata». Qual è il bilancio di quattro mesi di attacchi? «Il primo giorno c’erano seri rischi di stragi e massacri di civili nell’Est, a Misurata come a Bengasi; adesso non è più così. A Ovest, Gheddafi aveva piena iniziativa e ora no. Mi sembra che i risultati siano evidenti». E dal punto vista militare? «Oltre 17 mila missioni aeree, con 6500 «air strikes», hanno severamente indebolito le forze di Gheddafi. Quello che gli resta è difficile dirlo, anche perché non sapevamo quante forze avesse prima e quali erano in grado di combattere. Un parte degli aerei è neutralizzata. Radar e sistemi sono stati colpiti. Gheddafi non ha aerei o navi operativi». A terra non è lo stesso, no? «La dinamica è a favore dei ribelli, sebbene - dal punto di vista della capacità militare e della potenza di fuoco - non c’è stato ancora il sorpasso. Le cose stanno però cambiando rapidamente». Avete detto che colpirete anche obiettivi civili occupati dalle forze di Gheddafi. È una nuova escalation? «Colpiremo obiettivi civili militarizzati. Se in una fattoria sono nascosti dei lanciamissili, non è più un obiettivo civile. Gheddafi è in difficoltà: maschera i siti per proteggere i mezzi». C’è chi in Europa arma i ribelli. L’embargo non vale per loro? «La Nato è responsabile per il Mediterraneo e a me non risulta che nessuno sia passato. Se trovassimo che un Paese, sebbene alleato, fa entrare armi in Libia, lo bloccheremmo». I norvegesi lasciano la Libia. Sente aria di stanchezza? «Io sto ai fatti. Nelle sedi ufficiali, anche recentemente, tutti hanno confermato l’impegno a mantenere la pressione militare "sino a che sarà necessario"». Molti Paesi tagliano i bilanci. La Difesa è a rischio. Allarmato? «I problemi ci sono e sarebbe irresponsabile, nel mio ruolo, non essere preoccupato, pur nella consapevolezza delle difficoltà economiche e finanziarie complessive che richiedono politiche molto accorte. Vale anche per la Sicurezza. Ora bisogna vedere se questa tendenza continuerà in misura eccessiva». Qual è la soluzione? «C’è una spinta a concentrare le risorse per spenderle meglio. Può essere un bene. Si cerca di essere più selettivi ed efficienti e andare verso capacità sempre più comuni». Unire gli eserciti per risparmiare? «Oggi è utopia. Ma se mettessimo insieme i bilanci della difesa europea, l’effetto non sarebbe trascurabile. Qualcuno potrebbe pensarci». È quasi caduto il governo sulla durata della missione libica. Creano problemi le incertezze di Roma? «Non parlo mai di politica interna. Ripeto: bado ai fatti. E i fatti dicono che l’Italia si comporta come un partner molto motivato per l’Alleanza». In Kosovo, gli uomini Nato (Kfor) sono stati costretti a intervenire per riportare l’ordine. C’è chi nota come la missione Ue (Eulex) sia svanita al primo attacco. «Non è così. Si sono verificati eventi che Eulex non aveva la capacità di controllare e solo Kfor poteva farlo». Eulex era pensata per sostituire la Nato gradualmente... «Avverrà quando avremo le condizioni. Eulex non è solo una missione di polizia. Fra noi c’è dialogo quotidiano, ognuno fa la sua parte. La soluzione del problema Kosovo non può che essere politica. Cerchiamo di risolvere i problemi per consentire all’Ue di consolidare il dialogo». È presto perché Kfor se ne vada? «C’è un percorso per una uscita. Non è legato a date, bensì al ripristino della sicurezza. Tutte le missioni devono finire, ma solo una volta conseguito il loro scopo. Ci si basa sulle condizioni, non sul calendario. Gli alleati, Italia compresa, lo sanno bene».