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 2011  agosto 01 Lunedì calendario

BARONCELLI Eugenio

BARONCELLI Eugenio Ravenna 1944. Scrittore. Nel 2011 ha vinto con Mosche d’inverno (Sellerio) il premio Mondello • «[...] Di lui sappiamo poco: che è nato nel 1944 e vive a Ravenna; nei suoi stessi testi, poche, elusive notizie sui genitori [...] sappiamo che pubblicò un primo libro, Outfolio, a sessantun anni, e un secondo, Libro di candele, nel 2008, assai simile al terzo, Mosche d’inverno [...] Questi ultimi due li ha pubblicati Sellerio: Libro di candele ha come sottotitolo: “267 vite in due o tre pose” ; Mosche d’inverno: “271 morti in due o tre pose” [...]» (Franco Cordelli, “Corriere della Sera” 15/1/2011) • «[...] Il suo è un esordio tardivo, che cos’ha fatto prima di iniziare a scrivere? “Ho vissuto! E poi scrivevo libri specialistici che parlavano di cinema. In particolare teoria del cinema. Quei libri lì contano o non contano? Erano vagamente strutturalisti, vagamente lacaniani, adesso mi sembrano scritti da un altro. All’epoca, nel ‘68, si poteva essere lacaniani un giorno, strutturalisti il successivo... quando uscì il numero monografico di Tel quel (celebre rivista francese di letteratura, politica e filosofia) dedicato a Mao, diventammo tutti maoisti. [...] Mi piaceva leggere fin da ragazzino. Ho un biblioteca da 6000 volumi e quando ho fatto l’ultimo trasloco mi sono disperato [...] abito a Ravenna. A Ravenna si può vivere una vita walseriana, tutta nell’ombra. Robert Walser era il genio dello stare in disparte. Però mi piacciono alcuni luoghi, certi alberghi, come l’hotel delle Palme a Palermo, e certi cimiteri, anche se detesto quelle piantine che ti danno all’ingresso, per orientarti tra le tombe. [...] Borges è un modello. Il suo Storia universale dell’infamia soprattutto. Ma anche José Lezama Lima, e Adolfo Bioy Casares. [...] ho insegnato in un liceo, italiano e latino. Mi piaceva insegnare, perché insegnare vuol dire imparare. Seneca diceva che il buon maestro è quello che impara dal suo allievo. Ma non mi piacciono molto i professori, specie i professori che fanno gli scrittori. Non mi piace la pedanteria. L’autorità non deve mai diventare stile. [...] Io penso che scrivere vuol dire invecchiare. Che è una cosa che a me riesce benissimo anche senza scrivere. Del resto io non sono uno che vive per scrivere. Io vivo per vivere [...] per me Internet non esiste. Passo le giornate dentro le biblioteche, e mi piace molto. A Ravenna c’è una delle più importanti biblioteche di Europa, la Classense, che nasce da un monastero e possiede persino un incunabolo di Aristotele. La frequento spesso. Prendo appunti. Seduto, nel silenzio. Non come Hemingway che scriveva in piedi davanti a un banco del bar, o piegato con la macchina da scrivere sulle ginocchia. Per me il metodo di lavoro è fondamentale. Al metodo ti affezioni, con una specie di idolatria. Stare in quel posto, con quei libri, con quel disordine calcolato, in quelle ore lì. È una superstizione che ti tiene in vita. Non leggerei mai un libro elettronico. Mi fa orrore. Mi piace avere libri di carta, metterli in ordine. Organizzare la libreria rivela il tuo modo di vivere [...]”» (“la Repubblica” 1/8/2011).