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 2011  luglio 03 Domenica calendario

Spade, pugnali, manoscritti e ritratti Ecco i cimeli nascosti di D’Annunzio - Giorgio Manganelli ci scherzava su: «Rileggerò d’Annunzio? Forse che sì forse che no»

Spade, pugnali, manoscritti e ritratti Ecco i cimeli nascosti di D’Annunzio - Giorgio Manganelli ci scherzava su: «Rileggerò d’Annunzio? Forse che sì forse che no». Per Hemin­gway, «in nessun Paese dotato di senso pratico si porterebbe un co­gnome del genere». Più corretta­mente, alcuni critici hanno avvicina­to d’Annunzio al grande romanzie­re spagnolo «don Ramón» del Valle-Inclán, cui mancava il braccio sini­stro (rissa in un bar di Madrid), men­tre al Nostro difettava l’occhio de­stro (atterraggio d’emergenza e ur­to contro mitragliatrice di bordo, nel 1916). Entrambi avevano sen­sualità da vendere. Forse di più d’Annunzio, stando ai diari (pochi) e alle lettere (molte) delle donne che sedusse (moltissime). Un ulteriore capitolo postumo di questa sensualità a mezza strada tra Nietzsche, Pascoli e Maupassant, e screziata di colori militari come po­che altre del Novecento, viene oggi inaugurato al Vittoriale degli Italia­ni di Gardone Riviera, Brescia: si trat­ta di un segmento museale che in­globerà il preesistente «Museo della Guerra» e che andrà ad aggiungersi a quello di «D’Annunzio Segreto», aperto otto mesi fa. E questa volta si tratta di «D’Annunzio Eroe». «“Mu­seo della Guerra” - ha detto il presi­dente del Vittoriale Giordano Bru­no Guerri, commentando l’opera­zione - mi è sempre parso un nome inadeguato per una raccolta di og­getti come la bacchetta brandita da Arturo Toscanini nel concerto a Fiu­me, o la scultura di Adolfo Wildt, con il suo sorriso enigmatico e taglia­to a metà». Tra la settantina di «cimeli strepi­tosi, apoteosi del d’Annunzio este­ta », come li ha definiti Bruno Guerri, ritroviamo l’autografo di La notte di Caprera , una canzone per Garibal­di in cui vediamo l’Eroe dei due mondi raggiungere, dal Ligure «pel suo Tirreno», la «tomba che gli lavo­rerà l’arte del Mare». D’Annunzio, come scrisse sull’autografo, termi­nò di correggere la poesia il 22 gen­naio 1901 alle sei di sera: è commo­vente, non solo per i filologi, vedere gli interventi che fece sul manoscrit­to. Poi ci sono le armi del Vate, appar­tenenti alla collezione dell’amba­sciatore Antonio Benedetto Spada, mai mostrata al pubblico: una daga in argento e acciaio, dono degli Ardi­ti, incisa con nodi di Savoia e stelle, e il motto «FERT»(interpretazione uf­ficiale, riferita a un episodio medie­vale: Fortitudo Eius Rhodum Tenu­­it , «La sua forza preservò Rodi»); un’altra daga in oro e acciaio, dono della città di Zara, con i due motti «Io ho quel che ho donato» e «Memen­to Audere Semper », dannunziani al midollo. Entrambe sono custodite in cofanetti di argento e lapislazzuli. Vi sono ancora un pugnale d’onore in acciaio brunito, dono della Regia Marina, un altro in acciaio, oro e cor­no, dono dei legionari fiumani, coi motti «Quis contra nos?» e «Fiume o Morte». A queste preziose lame se ne si aggiungono diverse altre: una dono «delle Donne di Fiume». Un’altra ancora è una Yagatan dei Balcani «All’Intrepido Comandan­te dell’-Inosabile Impresa A Dalmati­ca Imperitura Memoria ». Si capisce come Hemingway potesse covare una punta di invidia dinanzi a tutto ciò. C’è anche lo stiletto acciaio, oro, argento dorato e granati che d’An­nunzio regalò a «Giusini», cioè alla contessa Giuseppina Mancini Gior­gi, la «rosa bianca» il cui colore della pelle faceva pensare, secondo il Poe­ta, «al marmo dei templi di Delo».