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 2011  giugno 28 Martedì calendario

Gli inglesi si rassegnano all’austerity - In Gran Bretagna uno strano silenzio, o almeno una strana calma, sta per essere rotta

Gli inglesi si rassegnano all’austerity - In Gran Bretagna uno strano silenzio, o almeno una strana calma, sta per essere rotta. Strana perché abbiamo una economia debole, un alto tasso di disoccupazione e cospicui tagli alla spesa pubblica, eppure c’è stato appena un mormorio di protesta per le strade. Giovedì invece la calma sarà rotta da un grande sciopero degli insegnanti e dei funzionari pubblici. Altri sindacati del settore pubblico minacciano ulteriori scioperi nelle prossime settimane. Potrebbe essere l’inizio di un grande confronto. Un confronto a somiglianza delle famose lotte di Margaret Thatcher con i minatori di carbone e gli altri sindacati negli Anni 80? Beh, potrebbe, ma non sembra probabile. Certo, lo scorso autunno ci sono state proteste per la decisione del governo di aumentare le tasse universitarie, ma hanno rappresentato l’unica vera sfida popolare alla coalizione conservatrice guidata da David Cameron entrata in carica nel maggio 2010. Si può sempre contare sugli studenti per marciare, gridare e perfino lanciare mattoni attraverso vetrine, ma in ogni caso le proteste universitarie hanno attirato poca simpatia dal resto del pubblico. Sono scivolate via. La ragione di questo è rivelatrice, oltre a prefigurare i conflitti che stanno per iniziare. L’atmosfera generale in Gran Bretagna è di accettazione. La maggior parte delle persone sa che la crisi finanziaria del 2008-09 ha colpito la nostra economia in modo particolarmente duro perché le famiglie avevano preso in prestito troppo, perché le banche si erano comportate in modo sconsiderato e perché il governo laburista (1997-2010) era a poco a poco diventato meno attento sia al controllo della spesa pubblica sia alla regolamentazione della finanza. Così durante la campagna elettorale del 2010 la scelta tra i principali partiti politici si riduceva alla scelta tra profondi tagli alla spesa e tagli leggermente più profondi. Chiunque avesse vinto, l’austerità sarebbe stata comunque garantita. Da allora il partito conservatore, che è il leader della coalizione con i liberal-democratici e quello più strettamente identificato con i tagli alla spesa, ha sorprendentemente conservato la sua popolarità. Nelle elezioni amministrative del maggio scorso, nello stesso giorno del referendum sulla riforma elettorale, è stato il suo partner di minoranza, il partito liberaldemocratico di Nick Clegg, ad avere la peggio, non i conservatori. Strano, a prima vista: dovrebbe essere incolpato tutto il governo, o nessuno, no? Ma no: i liberaldemocratici hanno perso il sostegno non a causa dei tagli o della debolezza dell’economia, ma perché si è ritenuto avessero rotto alcune delle loro promesse elettorali. David Cameron, bene o male, ha fatto circa quello che diceva che avrebbe fatto. A questa diffusa accettazione della necessità dell’austerità si accompagna un forte desiderio d’equità. Fino a quando tutti, o almeno la maggioranza, subiscono gli effetti dei tagli alla spesa o dell’aumento delle tasse, la rabbia non scatta. Per questo il governo conservatore ha deciso di mantenere l’aliquota massima del 50% dell’imposta sul reddito da lavoro introdotta dai laburisti, pur odiandola in termini ideologici: era necessario per dimostrare che i ricchi stanno pagando la loro parte. Per lo stesso motivo il governo è stato molto duro con le banche e la finanza, tradizionalmente suoi grandi sostenitori. Molto significativa, poi, è stata la forza dell’opinione pubblica sulle scorrettezze della distribuzione della spesa pubblica. I sondaggi d’opinione mostrano che la maggioranza della gente crede che quasi tutti i destinatari delle sovvenzioni pubbliche e di altre prestazioni sociali non le meritino. Sono scrocconi, in altre parole, gente pigra e immeritevole. Questo fin qui ha assicurato al governo Cameron un’ottima giustificazione per la sua politica più radicale, vale a dire la riforma del sistema di prestazioni sociali. L’obiettivo è semplificare il sistema, ma anche ridurre gli sprechi e gli imbrogli. E questo ci riporta agli scioperi di questa settimana. I dipendenti del settore pubblico naturalmente sono arrabbiati per i tagli dei posti di lavoro e il blocco degli stipendi seguiti alla riduzione della spesa pubblica. Hanno scelto di proclamare gli scioperi, tuttavia, non sulla questione dei posti di lavoro o degli stipendi, ma piuttosto sulle pensioni. Il governo si propone di innalzare l’età pensionabile per i dipendenti pubblici da 60 a 66 anni, e di aumentare l’importo che tali dipendenti pubblici devono corrispondere per la loro pensione. Questo è, in effetti, un duplice taglio dello stipendio: pagano di più ora al fondo pensionistico e riceveranno una pensione più bassa raggiunta l’età pensionabile. Di fronte a ciò uno sciopero su questo tema ha senso. Come in tutti i Paesi i lavoratori scioperano nella speranza che, anche se l’austerità è necessaria, l’onere di farne le spese possa essere allontanato dalle loro spalle e sostenuto da altri lavoratori meno militanti. Ma in Gran Bretagna oggi questi scioperi rappresentano un grosso azzardo. La ragione è che allo stato delle cose l’opinione pubblica è ostile agli insegnanti e agli altri funzionari pubblici. Le pensioni del settore pubblico, così come gli stipendi, negli ultimi anni sono diventati più generosi rispetto a quelli del settore privato, sia nella realtà sia, ancor di più, nella percezione dell’opinione pubblica. Così i sindacati affrontano un compito difficile tentando di convincere il pubblico a sostenere, o anche soltanto tollerare, le loro azioni. E’ un compito difficile anche se non impossibile. Il governo di David Cameron recentemente ha mostrato la sua debolezza attraverso una serie di capovolgimenti di politiche, in particolare nel Servizio sanitario nazionale e sulle sentenze criminali. Così la tentazione di sfidarli è forte. Ma l’umore nazionale è contrario agli scioperi. Nel settore privato, attualmente, si perdono meno giorni lavorativi per sciopero rispetto a qualsiasi altro momento degli ultimi quarant’anni. Il governo conservatore potrebbe trarre vantaggio da un nemico impopolare. Quindi è altamente probabile che i sindacati faranno marcia indietro se verranno offerte loro alcune modeste concessioni a buon mercato, e che non ci sarà alcuna ripetizione delle battaglie degli Anni 80. Non si può mai essere del tutto certi quando in ballo ci sono le emozioni e la politica populista. Se l’economia si indebolisce ulteriormente e se la disoccupazione, che sta lentamente scendendo, ricomincia a salire, il consenso dell’opinione pubblica può scomparire e venire sostituito dalla rabbia. Ma non siamo ancora a questo punto. La Gran Bretagna continua a sentirsi calma e arrendevole - certo, mai cosìfedele e allegra come poteva apparire nel mondo fantastico delle nozze reali, ma ancora paziente, per il momento. Dopo tutto, i problemi in Grecia e in altre parti della zona euro rendono la situazione della Gran Bretagna tollerabile. Nel Paese non si terranno elezioni generali per altri quattro anni. Ci si può permettere di aspettare.