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 2011  giugno 28 Martedì calendario

L’INEVITABILE RAG. TREMONTI

Ha fatto scalpore l’intervista di Guido Crosetto, sottosegretario alla difesa ed ex coordinatore di Forza Italia per il Piemonte, pubblicata ieri sulla Stampa.
Sfrondato delle venature polemiche nei confronti di Tremonti, il discorso di Crosetto è semplice: finora i conti pubblici sono stati governati imponendo restrizioni di bilancio a 360 gradi, senza agire selettivamente sulla spesa pubblica, ma non si può andare avanti sempre a forza di «tagli lineari alla spesa, quando il problema invece è eliminare le cose che producono spesa». Dice Crosetto: «Ogni volta si taglia un po’, lasciando in piedi le cose inutili e danneggiando quelle utili (...). E invece di tagliare la spesa in modo serio e programmato si sforbicia ogni anno un pezzetto». E’ vero, «Tremonti ha tenuto in vita il Paese, ma mettendolo in coma farmacologico, senza capire che l’economia reale andava aiutata». E l’economia reale, per Crosetto, è innanzitutto quella dei «piccoli»: «Vengo da una realtà fatta di artigiani, commercianti, piccoli imprenditori e devo risposte a loro, che creano ricchezza. In questi anni gli abbiamo aumentato la pressione fiscale, annullato lo Statuto del Contribuente, li abbiamo fatti diventare tutti solo evasori da massacrare, non abbiamo alleggerito la burocrazia».

Crosetto, a mio parere, ha perfettamente ragione. Se l’Italia non cresce, e i nostri guai sono rimasti in gran parte quelli di 20 anni fa, è proprio perché finora i governi - tutti i governi della seconda Repubblica -hanno snobbato il mondo dei produttori, piccoli e grandi, tollerando il permanere di un livello di oppressione fiscale sulle imprese che non ha eguali in nessun altro Paese occidentale. E probabilmente Crosetto ha anche ragione a lamentare un approccio un po’ meccanico o «ragionieristico» da parte di Tremonti al problema dei tagli di spesa. E’ possibile che la testa del ministro dell’Economia sia perennemente rivolta all’Europa e ai mercati, e che la bassa cucina dei tagli non interessi più di tanto un uomo le cui curiosità intellettuali paiono più simili a quelle degli storici della longue durée che a quelle degli studiosi di politiche pubbliche.

E tuttavia vorrei dire a Crosetto, a proposito di tagli lineari e non, che le cose sono più complicate, molto più complicate, di come appaiono. E’ ingenuo, per non dire demagogico, suggerire l’idea che oggi giugno 2011 - la politica abbia di fronte a sé due vere alternative: tagli lineari e tagli selettivi. L’opzione dei tagli non lineari, o selettivi, pavlovianamente invocata dall’opposizione e dai sindacati appena Tremonti fa «bau», semplicemente non esiste. E lo dico con la morte nel cuore, perché mi occupo di sprechi nella pubblica amministrazione, e studiare gli sprechi significa precisamente valutare quanto, che cosa e dove si può tagliare.

Se l’opzione tagli non lineari non esiste è, innanzitutto, per una ragione tecnica. Una ragione con cui io stesso ho fatto i conti quando l’attuale governatore del Piemonte mi prospettò di occuparmi di tagli nella sanità regionale, e io decisi di rinunciare al compito. Ho fatto in passato degli studi sugli sprechi nella sanità, e so come si può stimare quanto spreca una Regione (più di 1 miliardo di euro nel caso del Piemonte, chiunque fosse al governo dell’ente). Ma un conto è sapere quanto si dovrebbe tagliare globalmente, un conto è sapere esattamente dove, in che modo, con che tempi. Uno studio di questo tipo richiede un’équipe di specialisti (di cui alcuni provenienti dal mondo della sanità) e almeno due anni di intenso lavoro. Invece la politica ha sempre fretta, e 2-3 anni di lavoro le sembrano un’eternità. Eppure un paio di anni è il tempo minimo per preparare un dossier operativo serio, capace di individuare chirurgicamente gli sprechi e le soluzioni. Vale per la sanità, così come per la scuola, l’università, la giustizia, le carceri, i trasporti, la burocrazia.

La sinistra spesso invoca con rimpianto la spending review, ossia il lavoro di revisione della spesa pubblica iniziato dal compianto ministro Padoa-Schioppa con la Commissione Tecnica per la Finanza Pubblica (Ctfp, o Commissione Muraro), ma troppo spesso si dimentica che persino quel meritorio lavoro era appena agli inizi, e non aveva ancora prodotto le centinaia di dossier operativi, di manuali di «istruzioni per l’uso», che sarebbero stati necessari se davvero si fosse voluto varare una politica di tagli selettivi. Ora siamo più indietro di allora (perché questo governo ha soppresso la Commissione Muraro), ma siamo indietro persino se immaginiamo un futuro governo, che si insedi fra un anno e mezzo al posto di quello attuale. Se la sinistra intendesse davvero, una volta vinte le elezioni, procedere lei a tagliare gli sprechi in modo selettivo, avrebbe già creato decine e decine di gruppi di lavoro per individuare come, dove e quanto tagliare.

Ma immaginiamo invece che, per miracolo, i dossier siano già sul tavolo del governo. Che il governo sappia con precisione dove colpire. C’è la lista degli enti inutili da sopprimere e quella degli enti da rafforzare. C’è la lista dei ministeri da far dimagrire, e quella dei ministeri da rifinanziare. C’è la lista degli atenei da chiudere e quella degli atenei da potenziare. C’è la lista dei tribunali da accorpare. C’è la lista degli ospedali inefficienti e pericolosi da chiudere. C’è la lista delle agevolazioni ed esenzioni da sopprimere. Ci sono stime accurate dei tassi di spreco di ogni regione, provincia, Comune, e un piano decennale che prevede progressive riduzioni dei trasferimenti per gli enti che dissipano denaro pubblico, ma anche progressivi aumenti delle dotazioni per gli enti virtuosi. Ebbene, provate a immaginarvelo un governo serio e determinato, crosettianamente pronto a iniziare una politica di tagli selettivi (per inciso: la manovra che ci chiede l’Europa è di 40 miliardi in 3 anni, gli sprechi della pubblica amministrazione superano gli 80 miliardi). Che cosa credete che succederebbe?

Ogni categoria, ente, territorio colpito mobiliterebbe sindacati, associazioni di categoria, tribunali, televisioni, quotidiani per salvare se stesso, naturalmente invocando l’assoluta indispensabilità delle funzioni che esso svolge, naturalmente nell’esclusivo interesse della comunità. Un coro generale si leverebbe contro il governo, l’indignazione popolare monterebbe, il lavoro dei tecnici sarebbe duramente contestato da altri tecnici, si sentirebbe di nuovo parlare di «macelleria sociale», «attacco al welfare» e alle conquiste dei lavoratori, eccetera eccetera. E allora, se le cose stanno così, come possiamo stupirci che Tremonti pensi a semplici, modesti, tagli lineari, con l’aggiunta di una spruzzatina di demagogia anti-casta, tipo limatura dei compensi ai politici?

Tremonti, probabilmente, pensa a tagli lineari perché quella è la sua forma mentis. Ma il guaio è che, giunti a questo punto, con un Paese cui è stato raccontato che nella crisi l’Italia tutto sommato se l’è cavata bene, nessun governo sarebbe in grado di imporre le misure che servirebbero, anche se nel frattempo avesse elaborato un piano, fatto di dossier precisi, seri, dettagliati. Ed è questa, a mio parere, l’eredità più nefasta che il centro-destra lascia al governo che verrà, di destra o di sinistra che sia: gli italiani sono stati convinti che la situazione è sotto controllo, e quindi giustamente non vedono proprio perché dovrebbero cambiare il loro tran-tran.