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 2011  maggio 26 Giovedì calendario

IL RISORGIMENTO DELLO SPORT. 14 PUNTATA

Calcio e fascismo, un matrimonio che s’ha da fare -

Che Mussolini non amasse il calcio è un elemento certo della biografia del Duce, anche se è difficile credere a questo assunto, se si considera quanto il fascismo, dopo aver «rifondato» lo sport italiano, abbia puntato sulla nuova passione degli italiani. Già da direttore dell’Avanti, nel 1912, Mussolini aveva introdotto le cronache sportive nel quotidiano socialista, destando l’ira di Filippo Turati («Ma che vuoi fare, la Gazzetta dello Sport?» «Magari, la Gazzetta tira 6000 copie, quando c’è il Giro 14.000, fossimo noi la Gazzetta» ); quanto alla pratica sportiva, il Duce, arrivato allo sport a mezza età, prediligeva nuoto e sci, le auto veloci e gli sport olimpici. Come racconta Marco Impiglia, membro del direttivo della Società Italiana di Storia dello Sport, nel suo saggio incluso in «Sport e fascismo» (Franco Angeli editore), a cura di Maria Canella e Sergio Giuntini, all’epoca dei Giochi di Parigi 1924 il Duce chiamava ogni giorno il fratello Arnaldo perché sul «Popolo d’Italia» desse spazio alle imprese dei nostri. Lo stadio A conoscere il mondo del calcio Mussolini fu sospinto da illuminati gerarchi e dirigenti, a partire da quel Leandro Arpinati— podestà di Bologna, poi presidente della Federcalcio e del Coni— che gli strappò il consenso alla costruzione del primo stadio moderno d’Italia, il Littoriale di Bologna (oggi «Renato Dall’Ara»); » ); anche quando Mussolini vi si recò, all’inaugurazione del 1926 per assistere a Italia-Spagna, fu oggetto di un attentato ad opera dell’anarchico Anteo Zamboni, che gli sparò contro mancandolo. E fu il generale Giorgio Vaccaro, successore di Arpinati alla Federcalcio, a richiamare definitivamente l’attenzione del Duce sul fenomeno, divenuto popolare anche sull’onda dello straordinario quinquennio di successi juventini. Titoli Ci si misero anche i figli, Bruno e Vittorio, divenuti laziali sfegatati dopo il trasferimento a Roma, a coinvolgerlo in improbabili partite nel giardino di villa Torlonia, causa degli strilli di mamma Rachele per le molte vetrate rotte dalle pedate del marito. Come sapete, fra il 1934 e il 1938 l’Italia conquistò due titoli mondiali, il primo in Italia, il secondo in Francia, e quello olimpico del ’ 36 con una squadra composta da universitari, guidata da Annibale Frossi e allenata, come tutte le altre olimpiche fin dai Giochi di Stoccolma 1912, da Vittorio Pozzo, che dal 1929 fu posto, da Arpinati, alla guida della Nazionale maggiore. Il fascismo cavalcò quest’onda di passione popolare, grazie anche alla radio e alle cronache di Nicolò Carosio, di padre genovese ma nato a Palermo, divenuto una involontaria voce del regime. Il calcio come religione, quindi come «oppio dei popoli» fu un veicolo di straordinaria potenza, in cui tutto era perfetto. Quindi, quando durante Italia-Inghilterra del ’ 33 a Roma una pallonata del difensore Eddie Hapgood centrò il Duce in pieno stomaco, in tribuna, nessuno osò riferire l’episodio, che lo stesso Hapgood avrebbe poi raccontato soltanto nel 1944, in un suo libro: ma il fascismo era già caduto.