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 2011  aprile 18 Lunedì calendario

UNA NEONATA DI 33 ANNI

Ci sono due donne che hanno lo stesso nome, la stessa casa, lo stesso figlio, lo stesso marito, la stessa madre, la stessa età e non si conoscono. Si chiamano Su Meck e quando si incontrano, neppure si riconoscono. La prima Su, che era nata Sue ma aveva deciso di lasciar cadere la "e" perché troppo banale, giocava con il figlio Patrick quando lui aveva sei mesi. Era il 1989, ventidue anni or sono. Come fanno, con allegra incoscienza, tanti di noi genitori e nonni, lo lanciava in aria, perché pare che ai neonati piaccia, ma piace soprattutto a noi. Lancia e rilancia, lo lanciò troppo in alto. Patrick colpì una pala del ventilatore in cucina, che per sua fortuna era fermo. Il bambino non si fece nulla. Ma il ventilatore si staccò dal soffitto e cadde. Sulla testa della madre. Prima che qualcuno pensi che Su fosse una sprovveduta, sappia che le mancavano due mesi per laurearsi in antropologia. Precipitò in coma leggero. I medici dissero che si sarebbe risvegliata ma, a giudicare dalle tac e dalle risonanze, non potevano dire come si sarebbe risvegliata. Non lo potè dire neppure lei. Quando Su si riscosse, si scoprì viva e fisicamente intatta. Tutto, nel suo corpo, funzionava a dovere. Meno una cosa: la memoria. Non ricordava niente del proprio passato, né riusciva a ritenere nulla del presente. La madre e il marito l’andavano a trovare, lei sorrideva gentile, come a due sconosciuti. Quando si ripresentavano poche ore dopo, non sapeva più chi fossero. Medici e infermiere dovevano ripresentarsi a lei ogni volta che l’accudivano, come fosse la prima. Amnesia retrograda e anterograda totale da trauma cerebrale, l’"amnesia di Hollywood" come si chiama semiseriamente, perché sono soprattutto gli sceneggiatori di cinema a usare questo espediente, quello dell’uomo senza passato e senza identità. La memoria è più che riconoscere un volto o ricordare un evento. La memoria siamo noi. Sue non sapeva più leggere né scrivere. Tornando a casa, l’infermiera, la badante, il marito, la madre dovevano assisterla 24 ore al giorno, perché stentava a ritrovare la strada per andare in bagno o dove teneva vestiti e biancheria. Era una neonata di 33 anni, perfettamente sana, ancora molto bella, incapace di tutto. Ma nella tenebra qualcosa dell’altra Su era rimasto nella nuova Su. La forza di volontà, la voglia di ribellione che da ragazza ne aveva fatto una hippie e un "free spirit", una donna tutta sua. Tornò a scuola con il figlio, prima all’asilo, poi alle elementari. Lettera per lettera, numero per numero, un album da colorare alla volta e un mattoncino di Lego sopra l’altro, la donna che non esisteva più ripercorse tutto il tracciato di una bambina che deve costruire la propria esistenza con i nuovi pezzettini di memoria raccolti ogni giorno, ai quali restare disperatamente aggrappata. Con l’aiuto dei figli, che le rivedevano i compiti, delle maestre e poi delle professoresse che la trattavano esattamente e giustamente come il resto della classe ignorando il suo aspetto di donna adulta, Su ha rifatto tutto il percorso di una nuova vita, accelerandolo quando i pezzetti del Lego cominciarono finalmente a costruire un edificio più complesso della sua personalità. Venerdì 20 maggio, nel piccolo college di Gaithersburg, a trenta chilometri da Washington, il rettore ha consegnato a Su Meck il diploma di laurea biennale, che è il primo certificato universitario dopo il liceo. Un titolo in musicologia, perché la musica, con la sua misteriosa e divina potenza, sa attraversare anche le nebbie più dense della coscienza e della conoscenza. La madre, il marito che non l’ha mai abbandonata né rinchiusa in un istituto, il figlio, anche lui laureato, le hanno fatto un regalo. Un tamburo. Su lo ha battuto con forza e tra i tonfi ha detto a bassa voce per il magone due parole che non aveva più osato dire: "Mi ricordo". "Avevo un tamburo così da bambina e oggi ho sentito lo stesso suono". Per la prima volta dopo 22 anni, le due Su si sono rincontrate e riconosciute.