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 2011  maggio 25 Mercoledì calendario

VAL DI SUSA, BATTAGLIA SUL DESTINO DELLA TAV —

La Maddalena di Chiomonte è l’imbuto. Dal pendìo che si affaccia sulla riva sinistra della Dora Riparia, altitudine tra i 500 e i 600 metri, passa il destino del buco grande. Così da queste parti chiamano la linea ad alta velocità Torino-Lione, quella Tav che dovrebbe collegarci al celebre corridoio 5. Tra una trentina d’anni, se tutto va bene, e al riguardo non ci sono certezze. Il tunnel della Maddalena è tecnicamente una galleria esplorativa di 7,5 chilometri, che servirà a studiare l’assetto geologico della montagna e dovrebbe arrivare fino al punto d’incontro con il futuro tunnel di base della Tav. I condizionali sono d’obbligo. Perché la Maddalena è anche la prova che l’Europa ci chiede. L’Ue ha pazientato per quasi sei anni, ha accettato il congelamento dell’opera dopo gli scontri di Venaus, era il novembre 2005, e l’avvio del tavolo con le comunità locali. Poi ha fissato una scadenza, quella del 31 maggio 2011, martedì prossimo. Entro quella data dovrà essere aperto il cantiere di Chiomonte, altrimenti l’Italia potrà scordarsi i 671 milioni di finanziamenti comunitari. Quel foro rappresenta un esame di riparazione prima della bocciatura definitiva. C’era tempo per fare le cose in modo decente, ma il momento non era mai quello giusto. L’imperativo era di congelare tutto fino al voto per il sindaco di Torino, adesso incombe la tappa del Giro d’Italia, che i No Tav minacciano di bloccare, e domenica c’è il ballottaggio per Milano, Dio non voglia che eventuali scontri possano venire strumentalizzati, da una parte e dall’altra. Così, al solito, è toccato alla Polizia andare allo sbaraglio. Sondare il terreno, lassù in valle. Non è stato un trionfo. I No Tav, loro, si sono mossi, i tempi della politica e le questioni di opportunità non sono patemi d’animo che li possano riguardare. Erano preparati. Sono giorni che il loro tam-tam chiama a raccolta per quella che viene definita «la madre di tutte le battaglie» . Intravedono lo spiraglio per gettare sabbia nel motore della Tav, già ansimante di suo, e bloccarlo del tutto. I sette ettari sui quali dovrebbe sorgere il cantiere sono delimitati dalle bandiere con le scritte rosse su sfondo bianco. Al centro del terreno i No Tav hanno avuto il tempo di costruire una casetta in muratura, dotata di cucina, bagni e posti letto. Ci sono due roulotte, un’altra piccola baita e una casa sull’albero, persino un pilone votivo in legno e roccia, con due pietre che arrivano dritte dal santuario di Medjugorie, in Polonia. Ma lunedì notte gli operai della ditta valsusina che ha vinto l’appalto per il tunnel esplorativo non si sono neppure avvicinati a quell’area. C’erano duecento manifestanti che sul viadotto della Torino-Bardonecchia aspettavano la colonna dei camion che trasportavano il materiale necessario per costruire lo svincolo che collegherà il nuovo cantiere all’autostrada. L’invito a tornare indietro è stato perentorio. Le vie d’accesso erano bloccate con tronchi d’albero e traversine ferroviarie messe di traverso. Sull’autostrada è volato di tutto, contro operai e poliziotti. Ieri mattina sono state raccolte 700 pietre, per un peso totale superiore ai 120 chili. La marcia indietro è stata rapida e obbligata. Se ne riparla lunedì, e non sarà una passeggiata per nessuno, la ritirata notturna almeno è servita a chiarire i termini della contesa. Tutto come prima, allora. Come a Venaus, duemila giorni fa, quando gli scontri notturni furono così violenti da indurre lo Stato a una ritirata. Non è proprio così, in sei anni qualcosa è cambiato. Il progetto è stato modificato almeno cinque volte, fino alla versione low cost, e il tracciato è stato ridisegnato per evitare il passaggio in paesi ostili, fino alla decisione di fare la Torino-Lione per fasi, lasciando per ultima la bassa Val di Susa, il regno dei No Tav dove i lavori cominceranno nel 2023. Il movimento contro l’alta velocità non è più compatto come un tempo, come dimostra il sì all’opera del sindaco di Chiomonte, un’altra differenza rispetto al 2005, quando il primo cittadino di Venaus guidò la protesta. Ma il suo potere di veto rimane intatto, e la politica ha fatto di tutto per conservarlo. Anche oggi la condanna degli scontri copre l’intero arco istituzionale, a parte grillini e Rifondazione, ma ognuno ha qualcosa da rimproverarsi. Il centrodestra piemontese non ha mai manifestato grande entusiasmo per l’opera, mentre il Pd sconta il peccato originale del 2009, quando antepose le sue guerre intestine a ogni ragione, consentendo l’alleanza tra i suoi sindaci e i No Tav, che da allora controllano le sorti della Comunità montana. Tutti hanno i loro peccati, ma le pietre vengono scagliate dai No Tav. Gli unici ad aver capito da subito che la Maddalena di Chiomonte è l’imbuto. Se non parte il cantiere, diventa inutile chiedere i finanziamenti all’Europa. Da qui si deve passare, per forza. Loro lo sanno, e aspettano. Adesso sono gli unici che se lo possono permettere.
Marco Imarisio