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 2011  maggio 24 Martedì calendario

GOLF - A

novant´anni dalla fondazione del partito comunista cinese, Pechino ha un problema: troppi campi da golf. Dove i rivoluzionari di Mao coltivavano il riso, ora si perdono le palline dei milionari. La febbre per lo sport-simbolo dei capitalisti occidentali spaventa i tecnocrati dell´Oriente. Imparare cos´è un week-end al country club, trascorso ad assaggiare vino francese e a discutere della mazza giusta per la buca diciotto, non celebra la prodigiosa rincorsa della seconda potenza del mondo. Per i pronipoti del Grande Timoniere sancisce l´esito più evidente dell´addio al libretto rosso: l´aprirsi sempre più pericoloso della forbice che divide i pochi più ricchi dai molti più poveri.
Con il golf poi il divario, che nelle metropoli si pesa con la pista per l´elicottero sul tetto e i quadri dei maestri calligrafi da quaranta milioni di dollari alle pareti, irrompe nelle campagne. E qui il terreno diventa minato. Congiure imperiali e rivoluzioni proletarie in Cina sono nate sempre nella lontananza dei villaggi, mai sprovvisti d´ingiustizia. Bruciare distese di grano per far posto a un "green", esportare dalle nuove metropoli finanziarie sciami di doctor Wang travestiti da mister Scott, inizia a insinuare il dubbio che qualche immortale padre della patria, prima o poi, su qualcosa abbia glissato.
Perché allora non dovrebbe tacere anche una più caduca élite di leader contemporanei? E´ una domanda rischiosa. In vista del primo luglio il governo ha investito un capitale nel colossal che deve spiegare ai giovani broker di Shanghai il «miracolo dell´eroica nascita» dell´unico comunismo di successo ad essere sopravvissuto al Novecento, mutando in nazionalismo. Tutto si può dire del golf, tranne che in Cina sia patriottico. E così, per non rovinare la festa ai vecchi riformisti e aprire cieli ai rampanti falchi che invocano la restaurazione dell´anno di zappa obbligatoria, il governo corre ai ripari. C´è il rischio che il "virus democratico", dall´Africa mediterranea, contagi l´ex Impero di Mezzo? Bene. Regola numero uno: via i dissidenti e stop al golf. D´ora in poi nessun campo potrà essere costruito e decine, tra gli esistenti, dovranno essere smantellati. Non che in questi anni si sia proceduto con discrezione. Il Giornale del Popolo ha scritto che in un quinquennio ne sono spuntati oltre seicento a diciotto buche, più un numero inaccertabile di minori, o d´allenamento.
Nel Guangdong, paradiso industriale dei nuovi signori, ce ne sono 97, più che in Irlanda, attorno a Pechino 70 e altri 51 solo nello Shandong. Dal 2004 i "green" sono triplicati e ogni mese i funzionari locali del partito sono invitati a decine di tagli del nastro. Un disastro: per approvare un campo standard gli investitori privati dovevano provare ai compagni dirigenti di occupare oltre 67 ettari, innaffiati da almeno 4 mila metri cubi d´acqua al giorno. Requisiti difficili. La Cina si megalopolizza, la terra da agricola si converte in edificabile e il suo prezzo esplode. La siccità desertifica spazi immensi e lascia a secco, assieme alla sempre più contestata diga delle Tre Gole, anche l´ex maestoso Yangtze. Niente paura: otto campi da golf su dieci figurano come «centro sportivo», «parco attrezzato», o «cintura verde». Autorizzazioni vaghe, o assenti.
Per le autorità, solo nel 2010, undicimila ettari di coltivazioni sono state illegalmente convertiti in percorsi con le buche, graziosamente circondati da ville con piscina e hotel a cinque stelle abusivi. Tra i picchi dello Yunnan, secondo la denuncia della televisione di Stato, hanno esagerato. Una società privata ha messo le mani su 450 ettari di terrazzamenti e al posto di tè verde organico e monasteri buddisti sono spuntati tre campi da golf e una pista per voli low cost. Peccato che l´ultima mecca degli appassionati capitalrivoluzionari, indecisi tra Sun Yat-sen e Tiger Woods, sia sorta a Shilin, in mezzo alla foresta pietrificata, patrimonio mondiale tutelato dall´Unesco.
«Lo stop – si è giustificata la direzione – purtroppo è arrivato quando i soci stavano già giocando». E´ come se le buche sfrattassero le rovine di Machu Picchu e questa volta anche i confuciani teorici della via cinese all´armonia del business hanno vacillato. In Cina il golf, improvvisamente, non è dunque più glorioso. Tranne che sull´isola di Hainan, sotto Hong Kong, condannata a diventare l´anti Hawaii dell´esplosiva classe media più debordante del pianeta. Qui resta la libertà di mazzetta, speculazione e pallina bianca: ma per la gloria del partito e della patria non è più quella da ping-pong, of course.