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 2011  maggio 25 Mercoledì calendario

Non facciamo figli e gli stranieri ci imitano - Che le cicogne non frequentassero granché i cieli d’Italia, era noto

Non facciamo figli e gli stranieri ci imitano - Che le cicogne non frequentassero granché i cieli d’Italia, era noto. Ma mai come lo scorso anno - testimonia l’Istat nel suo Bilancio demografico nazionale - il crollo della natalità è stato così evidente, con un tasso del 9,3 per mille, il più basso del decennio (in numeri assoluti vuol dire 7 mila bambini in meno). Le italiane che facevano pochissimi figli (1,3 per donna) ne fanno adesso ancora meno (1,29) e le donne straniere che nello slancio della nuova patria volevano riprodursi hanno sedato questo entusiasmo, al punto che neppure i loro figli riescono a compensare il decremento dei nostri. Ad abitare il patrio stivale nel 2010 eravamo comunque 60 milioni 626 mila 442 persone, 286 mila in più dell’anno precedente, pari a un incremento dello 0,5% - rileva l’Istat - tutto ascrivibile all’aumento degli immigrati stranieri, che si sono registrati nelle nostre anagrafi in ragione di 38 mila al mese, in media. Insomma: noi diminuiamo e facciamo sempre meno figli, gli stranieri che erano sempre di più anno dopo anno, continuano - loro sì - a crescere, ma di figli non ne fanno più tanti neppure loro. L’Istat non si sbilancia, ma fa capire che questa raggelata della natalità è strettamente connessa con la crisi economica. In piena precarietà lavorativa, diventano precarie anche le famiglie, tant’è che diminuiscono i matrimoni e aumentano le convivenze in tutte le grandi città, ma soprattutto a Roma, Torino, Milano, Genova. Le famiglie più numerose - si fa per dire sono quelle della Campania, della Puglia e della Calabria, dove il numero medio dei componenti è - rispettivamente - di 2,8, 2,7 e 2,6 membri. In fondo alla classifica la Liguria, con 2 membri di media, il che è leggibile come un aumento delle coppie senza figli, ma anche delle famiglie monogenitoriali. Gli stranieri, che sono il 7,5% della popolazione, si concentrano da Roma in su: 10,3% della popolazione nel Nord-Est contro il 2,7% di quella delle Isole. Dove c’è più ricchezza ci sono più stranieri e dove ce n’è di meno, invece, emigrano anche i locali, tant’è che solo nel 2010, 400 mila italiani si sono spostati dal Sud al Nord (soprattutto in Toscana, Umbria, Emilia e Lombardia), giovani nella quasi totalità e spesso con un buon livello di istruzione. A perdere abitanti - dice ancora l’Istituto di statistica sono due categorie di centri abitati: alcune grandi città, e i piccoli borghi di montagna: Torino perde il 2,2% della popolazione, Genova il 3%, Napoli il 3,5% e Catania addirittura il 7,2%. Le altre - Milano, Roma, Bologna, Firenze - crescono ma al di sotto della media nazionale (0,3% contro lo 0,5%) e solo per effetto delle migrazioni. Continua, invece, lo spopolamento dei borghi piccolissimi, sotto i duemila abitanti, specialmente delle zone montane, che perdono quasi il 4% della popolazione già esigua. Gli italiani, semmai, preferiscono vivere nelle cittadine intorno ai 20-30 mila abitanti: piccole ma servite.