Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2011  maggio 25 Mercoledì calendario

«FRENATI DALLA CATTIVA OCCUPAZIONE»

Non ha intenzione di fermarsi a right4staff e all’ingresso in Ciett – Confederazione internazionale delle agenzie per il lavoro – come Multiregional corporate member. O di essere tra le prime venti agenzie per il lavoro nel mondo. Il fondatore, l’imprenditore – come ci tiene a sottolineare di sè –, ma anche l’amministratore delegato di Gi Group, Stefano Colli Lanzi, prevede di chiudere il 2011 alla guida di un gruppo con un miliardo e 200 milioni di fatturato e un volto più internazionale di quello che già gli danno i 12 paesi in cui è presente, tra cui Germania, Cina, Brasile, Polonia, Romania, India, Francia, Hong Kong, Spagna, Argentina. Alla quotazione, nel 2012, Colli Lanzi vuole arrivare con una presenza in 30 paesi, un giro d’affari tra i 4 e i 5 miliardi di euro e la solidità per entrare nel mercato più competitivo, quello del Nord America. L’acquisizione di right4staff è stato un po’ come mettere il primo piede nel mondo anglosassone. Il secondo potrebbe metterlo tra un paio di anni.

Dottor Colli Lanzi, partendo dalle agenzie del lavoro, dai dati del primo trimestre sono arrivati segnali positivi. Come sta andando Gi Group?

Cresciamo più del mercato, siamo intorno al più 35%. La crescita è costante e ci stiamo riavvicinando ai livelli pre 2009.

Come sarà la sua Gi Group quotata?

Premesso che la quotazione è uno strumento per crescere più rapidamente ma non un obiettivo fine a se stesso, l’obiettivo è di completare il percorso che ci porterà ad essere un soggetto globale.

Cosa vuol dire essere un soggetto globale per un intermediario del lavoro?

Significa diventare operatori riconosciuti e punto di riferimento nei mercati in cui si è presenti. Un po’ quello che accade oggi in Italia. Per questo la nostra internazionalizzazione la stiamo facendo in parte allargando lo spettro dei paesi dove siamo soggetti che operano in quei mercati, in parte diventando soggetti globali, in grado di offrire soluzioni globali, intercettando quindi le esigenze delle grandi multinazionali.

Oggi che il suo gruppo è presente in molti Paesi e diversi continenti, quando torna in Italia che cosa pensa?

Le sfide del nostro Paese sono la crescita, il welfare e le politiche attive. L’Italia ha seri problemi di crescita. E di buona occupazione, aggiungo. Vede, la disoccupazione generale non è alta in Italia, ma la cattiva occupazione sì.

Che cosa intende per cattiva occupazione?

Quella improduttiva. In Italia ci sono molti dipendenti pubblici che non producono e questo frena la crescita del paese, gli investimenti per l’innovazione, l’internazionalizzazione, la buona occupazione, le infrastrutture.

Ma quale sarebbe per lei la soluzione?

Certo non propongo scelte traumatiche, però bisogna prendere decisioni perché almeno un terzo dei dipendenti della Pa non produce nulla e il paese è bloccato da un problema di non crescita, dovuta soprattutto al fatto che non investiamo.

Naturalmente questa sua posizione andrebbe verificata e potenzialmente aprirebbe una fase di confronto sindacale durissima.

Ripeto, non propongo scelte traumatiche, esistono il welfare e le politiche attive in Italia. Aggiungo poi che siamo in una fase in cui una parte del sindacato sta tornando a fare proposte.

Quale parte?

Io personalmente ho stima della Cisl che sta dimostrando molto più di altri, che sembrano aver imboccato un vicolo cieco, di non opporre barriere ideologiche a ogni trattativa. Dopo l’ideologia, l’altro grande problema è l’autoreferenzialità di alcuni soggetti sindacali che ormai non interpretano più il loro ruolo come quello di rappresentanti dei lavoratori e paladini delle loro tutele. Serve più pragmatismo e più senso di responsabilità. La nostra esperienza nei paesi dell’est Europa e in Cina ci ha mostrato che paradossalmente proprio quei paesi che hanno avuto delle ideologie forti adesso sono molto pragmatici.

Il pragmatismo di cui lei parla come si dovrebbe tradurre?

In una minore rigidità in uscita. Il lavoro rende poco attrattivo il nostro paese per gli investitori stranieri e questo si deve al fatto che c’è rigidità in uscita, ma anche un cuneo fiscale e un livello di imposte elevati.

La disoccupazione giovanile sfiora il 30% in Italia. Questo non la preoccupa?

L’Italia è un paese dove le imprese non investono sui giovani e anche i giovani, però, spesso investono poco sul loro futuro.

Ha letto il testo della riforma dell’apprendistato? Cosa ne pensa?

La revisione del testo di legge porta un messaggio molto chiaro alle imprese: l’apprendistato deve essere il contratto di inserimento nel mondo del lavoro, ma deve offrire ai giovani un percorso di formazione. La mia esperienza tedesca mi ha insegnato che in Germania i giovani apprendisti portano quasi sempre a termine il loro percorso. E sa perché questo accade? Perché in Germania gli apprendisti fanno molta formazione, si sentono presi in carico e inseriti in un percorso dove imparano e non hanno la percezione di essere sfruttati.

La sua italianità invece che cosa le insegna?

In Italia purtroppo si moltiplicano i casi di apprendistato interrotti solo dopo pochi mesi. Questo accade perché i ragazzi percepiscono di non essere inseriti in un percorso di formazione e lavoro. L’apprendistato in passato ha tradito le aspettative dei giovani sulla formazione, ed è proprio per questo che si è innescato un circolo vizioso. Questa volta bisogna far sì che gli sforzi delle aziende verso la formazione siano incentivati e soprattutto che la formazione si faccia in azienda.

Le agenzie del lavoro possono dare un contributo?

La formazione ha come attori principali le regioni, ma è chiaro che, facendo da sempre formazione, le agenzie sono il soggetto che potrebbe dare il contributo più importante alla formazione degli apprendisti.

Il 2011 è stato l’anno dei giovani. Che senso ha avuto questo anno per Gi Group?

Il nostro anno dei giovani non sarà solo il 2011 e per questo abbiamo cercato di avviare iniziative non finalizzate al marketing fine a se stesso, ma che rappresentino una risposta per i giovani.

Per esempio?

Tra le iniziative, la prima è la creazione di una filiale giovani dove i ragazzi possono avere tutte le informazioni che necessitano per il loro ingresso nel mondo del lavoro, per la formazione, per i progetti che li riguardano. La prima è stata aperta a Milano ma sono in programma in tempi brevi altre aperture a Padova, Torino, Napoli. Poi abbiamo lavorato sui social network, Facebook in particolare, che ha consentito uno scambio di informazioni con i giovani importante. Tra l’altro abbiamo anche chiesto ai ragazzi di lanciare la loro idea contro la disoccupazione giovanile. Ragazzi avete un’idea, raccontatecela.