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 2011  maggio 25 Mercoledì calendario

ABBASSA LA TUA LUCE PER FAVORE

La sera, dalla mia vetrata sulla pianura torinese entra il bagliore giallastro delle innumerevoli lampade ai vapori di sodio che costellano il territorio. Anche questa è una novità assoluta nella scala dei milioni di anni: per la prima volta nella storia di tutti i tempi la faccia buia della Terra brilla di un reticolo di luci artificiali e chi è al suolo non vede più le stelle. Prima erano stati solo rari falò e qualche lucerna troppo tenue per essere vista da lontano, brevissimi lampi nel buio assoluto del tempo profondo, rotto solo dai lapilli delle eruzioni vulcaniche. Da un secolo e mezzo nuovi punti luminosi, prima a gas, poi elettrici, non hanno fatto che moltiplicarsi in modo esponenziale, e i satelliti restituiscono ora la geografia demografica notturna in base all’intensità delle agglutinazioni luminose.

Questa pianura costellata di luci non mi dà sicurezza, mi ispira invece un senso di estrema precarietà. Possiamo permetterci di sprecare così tanta e preziosa energia fossile per illuminare la notte? Quanto a lungo potrà durare questa distratta opulenza?

Prepararsi non vuol dire ripiombare di proposito nel buio del passato, ma evitare che la troppa luce si spenga di colpo e senza preavviso. Queste lampade stanno illuminando inutilmente vie deserte, parcheggi desolati e fossi dove le lumache e i rospi protestano per lo strano sole che non fa vedere i colori. Sono il simbolo della nostra inefficienza e della nostra inadeguatezza ad affrontare la realtà.

Ma come fare a convincere chi le ha appena installate che non servono, che ci avvicinano al baratro invece di proteggerci, che bisogna spegnerne almeno una su tre? Come far capire al parco buoi gaudente che non legge, che non ha capacità critica, intontito dalla pubblicità, dal gossip, dal luccichio della trash tv e delle vetrine, che bisogna cambiare l’agenda delle priorità? Io non lo so, ma spero che queste pagine possano dare una mano almeno a una frazione d’avanguardia della società, covando qui l’unico germe di ottimismo razionale: se guardo infatti ai numeri, nudi e crudi, non ce la faremo mai, troppa la moltitudine che rulla come una mandria cieca e sorda, troppo piccola la parte consapevole, troppo lenta la diffusione dell’informazione e l’attitudine al cambiamento. Ma la società è un sistema complesso, nel quale piccoli stimoli iniziali possono dar luogo a grandi e rapidi cambiamenti, alla comparsa di proprietà emergenti che si autorganizzano in modo non lineare. Internet è una novità storica per consentire rapido scambio di informazioni e aggregazione delle persone. Allora chissà che i feedback positivi, tanto pericolosi quando interessano la fusione della banchisa artica, possano salvarci se si innescheranno a catena nel pensiero di tutti gli abitanti del pianeta.

Arrivati qui spero che abbiate compreso i termini di un conflitto epocale tra due visioni del mondo. Tra quelli che il filosofo svizzero Raffaele Scolari, fustigatore del gigantismo, definisce «i nuovi luoghi urbani, spesso inospitali e spesso conformati da mastodontici manufatti», ovvero l’insostenibile effetto Dubai, città candidata a divenire fantasma tra qualche decennio, con il vento del deserto che sibila tra i vetri rotti dei grattacieli e accumula dune di sabbia tra le scrivanie, e il progetto di un’architettura di sopravvivenza mutuato da Yona Friedman, che a lui lascio descrivere: «Un’architettura può essere considerata architettura di sopravvivenza se non rende difficili (o, piuttosto, se facilita) la produzione di cibo, l’approvvigionamento di acqua, la protezione climatica, la salvaguardia dei beni privati e collettivi, l’organizzazione dei rapporti sociali e la soddisfazione estetica di ciascuno».

Vedete che si parte dalla casa, ma si arriva all’orto, al clima, alla democrazia e alla bellezza. Sono le nostre vere ricchezze che dobbiamo salvaguardare.

Quando parlavo di questo libro con amici e colleghi, la reazione immediata era infilarsi una mano nell’inguine pronunciando qualche motto scaramantico. Io mi auguro invece che per una volta nella storia saremo capaci di utilizzare lo straordinario potenziale di conoscenza acquisito in millenni di avventura umana per decidere almeno in parte il corso del nostro futuro. Poiché esso è anche determinato dalle nostre scelte di oggi: «Le passé répond de l’avenir» sta scritto per mano di Vauban sulla cittadella fortificata di Briançon. E chiamala coincidenza, il quartiere Vauban di Friburgo è diventato uno dei primi modelli al mondo di città sostenibile.

Quindi, meglio prepararsi, subito, senza angoscia, ma con lucida alacrità: c’è molto lavoro da fare e, qualsiasi cosa succeda, non sarà lavoro buttato via, come insegna la favola classica della cicala e la formica. E per dare senso al nostro operato individuale di fronte alla schiacciante enormità dell’obiettivo, senza restare paralizzati, seguo ancora Scolari, che osserva come proprio le azioni semplici, che il singolo può mettere immediatamente in atto, costituiscono «il luogo della libertà ove poter nuovamente essere sovrano di sé».

Guardiamo dunque in faccia il precipizio e costruiamo il sentiero per discenderlo, consci che l’imprevedibilità dei dettagli che il futuro ci riserverà chiederà sacrifici, ma offrirà pure nuove opportunità, e forse più felicità. L’importante è non precipitare: chiodi, corde, scale, magari anche un deltaplano, potranno aiutarci. Svegliatevi e prepariamoci.