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 2011  maggio 25 Mercoledì calendario

E la Zarina rossa che cacciò Montanelli si schiera con Pisapia - Con toni di accorato ecologi­smo, Giulia Maria Crespi ha scritto una lettera aperta agli elettori mila­nesi in appoggio a Giuliano Pisa­pia, pubblicata ieri da Repubblica

E la Zarina rossa che cacciò Montanelli si schiera con Pisapia - Con toni di accorato ecologi­smo, Giulia Maria Crespi ha scritto una lettera aperta agli elettori mila­nesi in appoggio a Giuliano Pisa­pia, pubblicata ieri da Repubblica . A che titolo la signora raccoman­da a­i concittadini il cambio a Palaz­zo Marino? Con modestia si defini­sce «vecchia rappresentante della borghesia milanese», preoccupata delle sorti della città. Ma molti san­no che è fondatrice del Fai, bene­merito sodalizio che tutela le bel­lezze d’Italia. Mentre gli anziani ne ricordano le imprese come pro­prietaria del Corriere della Sera , ul­tima di una dinastia editoriale (92 anni in Via Solferino) di origine co­toniera. Nella lettera, la signora boccia venti anni di centrodestra con otti­ca naturalistica: troppo smog, po­co verde, abusi edilizi. Critica fic­cante ma tale da potersi applicare indifferentemente a Roma, Parigi, Mosca e New York. Sono «convinta - afferma la scrivente - che un cam­bio di amministrazione non potrà che essere salutare per la città». E non si può darle torto,poiché espri­me l’umana speranza che il doma­ni sia migliore dell’oggi. Ma invece di concludere, prosegue: «Posso as­sicurare... che l’avvocato Pisapia non toccherà ambiti estremisti che sono totalmente estranei allo spirito milanese, come pure al mio» e, dunque, nessuna «paura del cambiamento». Con le conside­razioni conclusive purtroppo, la si­gnora ha strafatto, danneggiando l’incolpevole protetto. Che Giulia Maria Crespi garantisca sul non estremismo di chicchessia è come se un tabagista giurasse sulla salu­brità delle Gauloises. Oggi la signora Crespi è una ultra­ottantenne di bella presenza e dol­ci, ancorché infantili, convinzioni. È contro gli Ogm e ha litigato an­che con l’amico Veronesi, che l’ha guarita da una brutta malattia, per­ché il testardone è favorevole ai transgenici. Per lei, gli Ogm sono invece un attentato ai sapori, porta­no malattie e - peggio di tutto - ar­ricchiscono le multinazionali. La signora è anche un’assertrice della omeopatia e della antroposofia, è contro il piano case del governo e contro il Cav in generale. Insom­ma, è una borghese pensante e edu­cata, che detesta la tv di Berlusco­ni, ha un debole per Fabio Fazio che l’ha ospitata,condanna nause­ata il bunga bunga, soffre dubbio­sa per Strauss-Kahn. Ora scordatevi questa deliziosa e canuta nonnina che raccomanda Pisapia ed esclude per lui, per sé e per Milano qualsiasi aggancio con l’estremismo rosso. Facciamo un salto di quarant’anni e torniamo nella Milano di Piazza Fontana, de­gli anarchici Valpreda e Pinelli, di Giangiacomo Feltrinelli che muo­re sul traliccio, dell’omicidio Cala­bresi. La ricchissima Giulia Maria ha un salotto in corso Venezia dove dà il meglio di sé l’intellighenzia di sinistra. È la donna più «in» di Mila­no, proprietaria del Corsera con al­tri due rami della famiglia che le la­sciano carta bianca. Dirige il gior­nale Giovanni Spadolini, con spiri­to equo, liberale e istituzionale. Nella usuale cronaca dell’epoca ­morti ammazzati, spranghe, katan­ga- segue le indicazioni di poliziot­ti e giudici che però non piacciono ai sessantottini in eskimo per i qua­li sono tutte panzane. È il periodo della controinformazione, cioè quella proveniente da studenti e bande armate, cui molti giornalisti abboccano. Spadolini no. Questo comincia a irritare Giulia Maria che ha tra i frequentatori del suo salotto, e consigliere principe, Mario Capanna. È uno spilungo­ne, con un vocione da sergente, che capeggia a Milano la contesta­zione. I due si compensano: lei si sente rivoluzionaria frequentando­lo; lui socialmente appagato affian­cando la miliardaria. La «contessa rossa», così è chiamata, si vergo­gna del suo giornale che rifiuta di mettere la vela al vento che tira e nutre rabbia contro Spadolini per la linea legalitaria. Vorrebbe cac­ciarlo, anche se dal giorno dell’in­sediamento non sono ancora tra­scorsi i tradizionali cinque anni ai quali ogni direttore del Corriere ha diritto. Un giorno, i capelloni manifesta­no davanti al palazzo di via Solferi­no cercando di sfondare porte e fi­nestre. Tra loro c’è l’editore Feltri­nelli. L’indomani il giornale fa il suo nome in cronaca. Crespi si invi­perisce perché Giangiacomo è suo amico e non le va si sappia che è un esagitato. Inoltre, le ha giurato che non c’era. A Giulia Maria sembra un buon pretesto per licenziare Giovannone e gli fa un liscio e bus­so dell’accidente. Ma Franco Di Bella, futuro direttore, ave­va una foto di Feltrinelli tra gli energumeni. La prova parlava da sé e il tentativo fallisce. Gior­ni dopo, un altro gruppo di trogloditi, stavolta guidati da Adria­no Sofri, bombardano il Corriere con molotov e appiccano incendi qua e là. Spadolini, spirito pacifico e cuore d’agnello, si spaventa a morte e medita di piantare barac­ca e burattini. Prima di avere il tem­po di parlarne con Crespi, questa ­profittando di un suo giorno di as­senza - lo licenzia in tronco. Giovannone era al suo quarto an­no ed è il primo, dal 1925, a essere silurato anzitempo. Per la brutalità dell’agguato, la contessa rossa è promossa all’istante «zarina», no­me con cui è tuttora apostrofata. La sera in corso Venezia, si svolge un euforico brindisi a sorsi di Moet con Capanna. Costui, lustri dopo, chiamerà quel periodo - e con ra­gione, visto come l’ha vissuto-«An­ni formidabili». La zarina sceglie come nuovo di­­rettore, Piero Ottone, uno snob ge­novese, appassionato di vela e re­gate, che si rammarica di non esse­re ingle­se e finge di esserlo nei vesti­ti e nel birignao. In realtà è italianis­simo e si mette al servizio della pa­drona, stravolgendo con dosi equi­ne di sinistrismo il già quotidiano della borghesia lombarda. Giulia Maria, che nel frattempo era rima­sta la sola Crespi nel Corriere (gli altri due rami, capita l’aria, aveva­no venduto nel ’73 a Moratti e Agnelli), mette­va becco su tutto. Era insoddisfatta delle critiche d’arte di Dino Buzzati troppo tradizionaliste e voleva addi­rittura convocarlo a casa sua per contestargli di «valutare la pittura in un’ottica borghese». Non arrivò a tanto, ma Indro Montanelli, che raccontava spesso l’episodio, con­cludeva: «Era impazzita», riferito alla zarina. Presto i suoi strali si sa­rebbero rivolti contro di lui. Bisogna sapere che nel salotto Crespi imperava la pungente Ca­milla Cederna dell’ Espresso , tal­mente inventiva da stare al giorna­lismo come il Berlusca ai certosini. Secondo lei, Feltrinelli fu ucciso dai fascisti, Pasolini per un com­plotto, Pinelli da Calabresi. Trala­sciando le balle sul presidente Leo­ne per le quali dovette pagare un risarcimento che la gettò sul lastri­co. Per le sue partigianerie che en­tusiasmavano gli allocchi, specie di sinistra, Indro la detestava. Un giorno, chissà se apposta, Ottone gli chiese un «ritratto» di Camilla. Montanelli la polverizzò mandan­do la zarina sulle furie. Assecon­dando la padrona, l’inglese licen­ziò Indro. Il Corriere si scisse e nac­que questo giornale. Combinati i guai e timorosa di mandare tutto a catafascio, la zarina vendette la sua quota, uscì da Via Solferino e cominciò dolcemente a diventare l’attuale nonnina milanese che ne­anche sa dove l’estremismo sia di casa.