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 2011  maggio 25 Mercoledì calendario

VIVERE SOTTO IL VULCANO CON LA POLVERE NEGLI OCCHI

Reykjavik
Le librerie si sono già attrezzate. Nelle vetrine è comparsa una valanga di nuovi volumi. I titoli parlano chiaro: The eruption, The big volcano, Disasters in Iceland. Le agenzie turistiche propongono una serie di eccitanti Volcano tour mentre nelle videoteche della capitale è tornata in auge una vecchia pellicola di inizio anni ’90. Il titolo è incomprensibile, ma basta dare un’occhiata alla foto in locandina: c’è una bimba bionda, con tanto di maschera bianca sul viso e una pecorella in braccio. Sullo sfondo, colate color vermiglio di lava fumante. Molto lentamente la grande nube di cenere sta abbandonando i cieli dell’isola.
I TURISTI nonostante il brutto tempo, sono tornati ad avventurarsi per le strade. Si sono infilati nei negozi e hanno trovato una buona collezione di souvenir apocalittici e quasi tutti a buon mercato. “È un peccato che faccia così freddo – racconta un tassista – La stagione turistica è appena cominciata: gli stranieri finiranno col congelarsi”. E il vulcano? The volcano? Have fun, welcome to Iceland. Divertitevi, benvenuti in Islanda. La gente, da queste parti, ha imparato a essere cinica. Eppure il terrore c’è stato. Sabato sera, mentre il Grimsvotn sputava fuoco e lapilli, tutti gli islandesi si sono fermati a fissare l’orizzonte, oltre i vetri spessissimi delle finestre. Da Solheimar, 50 chilometri a est di Reykjavik, si scorgevano ben nitide, nella tiepida luce del crepuscolo, le violente esplosioni color giallo canarino: oltre le montagne, un immenso fungo di fumo, alto migliaia di metri. Lo scorso anno, era stato il turno dell’Eyjafjallajokull, sulla costa meridionale: la nube grigia, dopo aver oscurato le pianure dell’isola, si era rapidamente
spostata verso sud, mandando in tilt il traffico aereo di mezza Europa. È la legge dei vulcani: gli islandesi, col tempo, hanno imparato a conviverci. A Solheimar, domenica mattina, i contadini si sono alzati più presto del solito. Le notizie dalla tv non sono buone: “Sarà come nel 2010 – sussurra una donna – Questo è solo l’inizio, non c’è nulla da fare”. La Ring road, la strada costiera che percorre il periplo dell’isola, è stata interrotta all’altezza del ghiacciaio Vatnajokull, a sud-est. Poco dopo l’alba, alcuni ragazzi sono andati fin laggiù a controllare la situazione. Dopo 3 ore di viaggio, hanno raggiunto il villaggio di Kirkjubæjarklaustur, 170 abitanti a 80 chilometri dal vulcano: oltre, dicono, non si poteva più andare. Il paese è avvolto dalla caligine. Gli abitanti si sono asserragliati nell’unico albergo del circondario: sono tutti lì, atterriti, di fronte alla tv. La protezione civile è al lavoro: varie fattorie sono state sgomberate. Alcuni allevatori di Hofn hanno cercato scampo attraverso le montagne. Ma le strade sono impraticabili, il vento è fortissimo ed è nevicato di recente. Gli ultimi telegiornali li danno per dispersi: saranno tratti in salvo al tramonto, dopo ore di ricerche.
QUESTA È L’ISLANDA: 300 mila persone sospese tra ghiaccio e fuoco, proprio sulle soglie del Circolo polare artico. Niente di troppo terribile, dicono: basta avere un buon 4x4, e prima o poi ci si fa l’abitudine. Nella mattinata di domenica, prima che la nube di cenere oscuri l’orizzonte, proviamo a spingerci fino alle pendici del vulcano. L’ultimo villaggio abitato, sulla strada del Grimsvotn, si chiama Arnes. È composto da una chiesa, quattro case di lamiera e un minuscolo ostello. Oltre Arnes, cominciano i campi lavici. Questa è la valle dell’Hekla, L’Incappucciato, uno dei più grandi vulcani d’Islanda. Il paesaggio è brullo: rocce nere, antiche colate magmatiche, non ci sono alberi, non c’è erba. Il rifugio Hrauneyjar, con la sua minuscola pompa di benzina, rappresenta l’estremo baluardo della civiltà. Oltre le porte del bar, due giornalisti locali sorseggiano il caffé. Tutti indicano il cielo, che si sta rapidamente oscurando. Raggiungiamo le rive del lago Þorisvatn: il Grimsvotn è di fronte a noi. L’ultimo tratto va percorso a piedi, in mezzo alla neve. L’acqua è ghiacciata: due paia di golf e un giaccone pesante non bastano per ripararsi. Improvvisamente, sotto i nostri occhi, la montagna comincia a ribollire. Tre potenti tuoni scuotono la vallata. L’aria si riempie di cenere: la senti in bocca, nel naso, negli occhi. La nube sta avanzando. Impiegheremo oltre un’ora di auto, infrangendo tutti i limiti di velocità, per tornare a vedere il sole. Impresa inutile: prima di sera, la nube del Grimsvotn inghiottirà l’intera isola.