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 2011  maggio 25 Mercoledì calendario

L’AVANZATA CINESE E IL RISCHIO DI UNA NUOVA ALITALIA

Inaccettabile. Irresponsabile. Irricevibile. I politici locali e nazionali fanno la gara a chi trova l’aggettivo più truculento per bocciare il piano di ridimensionamento della Fincantieri. Lo stesso Raffaele Bonanni, il leader della Cisl nemico del conflitto, prende coraggio e sfodera una parola che credevamo dimenticata: “Increscioso”. Il ministro del Lavoro Maurizio Sacconi addirittura nega che esista il piano annunciato ai sindacati dall’amministratore delegato di Fincantieri Giuseppe Bono, costringendoci così a ricordare ai lettori che parliamo di un’azienda posseduta al 100% dallo Stato italiano. Molti hanno pronta la soluzione. Bonanni dice che la regione Liguria potrebbe “fare qualcosa per le commesse”, il presidente della stessa regione, Claudio Burlando, fa sapere di essere già al lavoro “per coinvolgere i privati in un piano che porti lavoro” agli stabilimenti di Sestri Ponente e Riva Trigoso.
Parole in libertà. Lo spettacolo dei politici che vanno in giro a cercare i contratti che il manager non trova è un’immagine plastica del declino. Una domanda: dov’erano questi strateghi della cantieristica negli ultimi due anni, che i lavoratori del cantiere di Castellammare di Stabia, fermo, hanno trascorso in cassa integrazione? E soprattutto, dov’erano i governi Prodi prima e Berlusconi poi quando la Fincantieri ha dovuto rinunciare a quotarsi in Borsa e a 500 milioni da investire nella ricerca di nuove strade?
PER CAPIRE il dramma dei lavoratori liguri e campani conviene partire proprio da qui. Fincantieri non è andata in Borsa principalmente per il veto della Fiom, spalleggiata dalla Ugl di Renata Polverini. Il timore era che la presenza di azionisti privati (di minoranza) esponesse l’azienda alle logiche del mercato e del profitto. Il 26 luglio 2006 la Fiom ha scritto in un suo comunicato: “Fincantieri è libera di affrontare il mercato e le sue sfide con le sue capacità industriali. Domani, se quotata in Borsa, dovrà rispondere alle continue richieste del suo nuovo azionista, appunto la Borsa, che chiede rendimenti a due cifre”. Sono passati cinque anni ed è l’azionista unico Stato a spiegare che non vuole pagare le perdite di un’azienda che sta perdendo pezzi di mercato. Lo dice per bocca del manager, mentre il governo tace, forse irritato dalla balzana idea di Bono di dare questa mazzata in piena campagna elettorale. E adesso, visto che parliamo di mare, alziamo lo sguardo verso l’orizzonte, per vedere in che mondo viviamo. La cantieristica europea è moribonda. Trent’anni fa costruiva un terzo delle navi di tutto il pianeta, adesso si è ridotta a un simbolico 4%. Trent’anni fa i cinesi non costruivano navi, adesso hanno oltre il 40% del mercato mondiale. Nei loro cantieri riescono a fabbricare le navi in serie, anche 20-25 alla volta. I cantieri italiani possono lavorare uno scafo alla volta. A Castellammare il cantiere non ha neppure il bacino, e le navi si costruiscono sul piano inclinato, poi arriva la signora con il cappello, rompe la bottiglia di spumante contro lo scafo e il bastimento scivola in mare.
E IN TUTTO questo la Fincantieri è stata un piccolo miracolo. Si è inventata la nicchia delle grandi navi da crociera, ha costruito le più belle, ha conquistato in vent’anni la metà del mercato mondiale, diventando una delle poche eccellenze planetarie che restano al Paese. Solo che quando è esplosa la crisi finanziaria mondiale la domanda di navi è crollata. I dati fanno impressione: nel 2007 furono ordinati nel mondo natanti per 86 milioni di tonnellate, nel 2010 36 milioni di tonnellate. In Europa con la crisi si sono persi 50 mila posti di lavoro, la Gran Bretagna non ha più cantieri, la Francia e la Germania ne hanno uno a testa. Il Vecchio Continente si è arreso, la concorrenza asiatica è troppo più forte. Anche nelle navi da crociera il mercato si è dimezzato, e quello delle navi militari (quasi metà del fatturato Fincantieri) sta frenando.
Certo, l’Italia potrebbe riarmarsi, come qualcuno ieri ha proposto, solo che non ha soldi per farlo. E così Fincantieri negli ultimi due anni ha cumulato perdite per 188 milioni, ma ha ancora del fieno in cascina ereditato dagli anni d’oro. É il momento giusto per sistemare le cose, e forse è già tardi. Ma c’è sempre un’altra soluzione: aspettare, far finta di nulla e preparare una nuova Alitalia. Per i politici l’importante è che la botta arrivi dopo le elezioni del 2013.