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 2011  maggio 25 Mercoledì calendario

FIAT SALE AL 46% DI CHRYSLER

Sergio Marchionne ha battuto perfino il mitico Lee Iacocca. Il manager italo-canadese, che guida Fiat e Chrysler, è riuscito a restituire i prestiti che l’azienda Usa aveva ricevuto del Tesoro americano (e da quello canadese) in meno di due anni; il precedente salvatore di Chrysler negli anni 80 ne aveva impiegati tre. «Il bonifico arrivato alle 10.13 del mattino ora americana è andato a buon fine» – ha detto Marchionne – e Chrysler ha così restituito, con oltre sei anni di anticipo rispetto a quanto previsto dai contratti, un totale di 7,6 miliardi di dollari (di cui 5,9 a Washington e 1,7 all’Export Development Canada); compresi gli interessi e altre spese, l’azienda ha pagato al Tesoro Usa 6,5 miliardi, 2 a quello del Canada e della provincia dell’Ontario. Per il rimborso Chrysler ha utilizzato 6,2 miliardi di fondi ottenuti ieri da banche private (3,2 in bond e 3 di prestiti); i finanziatori privati hanno anche concesso una linea di credito da 1,3 miliardi che resta a diposizione. Il resto dei fondi è venuto dalla Fiat, che ha pagato ieri 1,27 miliardi di dollari per un aumento di capitale riservato che le permette di raggiungere il 46% del capitale di Chrysler. Quest’ultima dispone ancora, dopo l’operazione, di una liquidità di 10 miliardi di dollari (compresa la linea di credito citata).

«Meno di due anni fa avevamo preso l’impegno di rimborsare i governi statunitense e canadese. Oggi lo abbiamo mantenuto» ha detto ieri Marchionne, esprimendo «gratitudine per coloro il cui intervento ha permesso a Chrysler di ristabilirsi come costruttore solido. La restituzione dei prestiti e l’interesse della comunità finanziaria segnano un altro passo nel ritorno dell’azienda come forza competitiva nell’industria dell’auto». Marchionne ha celebrato ieri l’evento nella fabbrica di Sterling Heights, Michigan, alla presenza di Ron Bloom - l’ex capo della task force auto del presidente Obama. Un luogo significativo, Sterling Heights: lo stabilimento avrebbe dovuto chiudere a fine 2010, ma è stato salvato dalla ripresa del mercato e dell’azienda. Come recita il comunicato diffuso ieri sera «in questi due anni, grazie all’intervento dei governi, Chrysler è stata in grado di lanciare 16 modelli nuovi o rinnovati; di investire oltre 3 miliardi di dollari nel miglioramento degli impianti; e di assumere 6mila nuovi dipendenti» dopo i drastici tagli all’organico e ai salari permessi dal Chapter 11. Ed è stata in grado, meno di un mese fa, di annunciare il ritorno in nero nel primo trimestre del 2011. Con uno dei suoi tipi artifici retorici, Marchionne ha paragonato la propria impresa a quella di Lou Gerstner che salvò l’Ibm negli anni 90 o a Robert Oppenheimer che guidò il team di scienziati Usa che creò la bomba atomica. Ha ringraziato «tutti i dipendenti, uno a uno» per gli sforzi fatti; e ha fatto distribuire delle spille con la scritta "PAGATO". Ma ha ricordato che «c’è ancora del lavoro da fare per raggiungere gli obiettivi del piano 2010-2014»: nel futuro c’è «la straordinaria trasformazione che intraprenderemo con il nostro partner Fiat».

Con il suo 46%, Fiat è già ora maggior azionista di Chrysler, davanti al fondo Veba gestito dal sindacato Uaw (che ha il 45%) e ai governi di Usa (6,9%) e Canada (2,1%). Il Lingotto salirà poi al 51% entro fine anno all’omologazione di un veicolo Chrysler su piattaforma Fiat in grado di percorrere oltre 40 miglia per gallone. L’azienda torinese può però già da oggi consolidare Chrysler in bilancio. Ieri Marchionne ha scritto anche ai dipendenti Fiat, dicendo che «oggi si apre un nuovo capitolo nella nostra alleanza. Il fatto che la Fiat abbia acquisito un pezzo importante per consolidare la maggioranza di Chrysler è semplicemente un passaggio finanziario e tecnico. Quello che conta adesso è che possiamo imprimere un’accelerazione fondamentale al disegno di creare un costruttore di auto mondiale». Il gruppo dovrebbe raggiungere già quest’anno un fatturato di 76 miliardi di euro per salire a 85 l’anno prossimo e a oltre 100 nel 2014, con i punti di forza in Italia, Brasile e Stati Uniti.

La data di ieri è storica per Fiat e Chrysler ma anche per l’amministrazione Obama. «Il rimborso dei prestiti da parte di Chrysler al contribuente Usa è una pietra miliare nel risanamento dell’azienda» ha detto ieri il presidente Usa. «Quando abbiamo deciso di dare gli aiuti è stata una scelta difficile - ha aggiunto Barack Obama - ma oggi sappiamo che è stata la scelta giusta». Il Tesoro Usa aveva investito complessivamente 12,5 miliardi di dollari nella Chrysler; con i rimborsi di ieri ne ha recuperati 10,6 miliardi. Washington resta come detto azionista di Chrysler con una quota del 6,6%, ma Fiat dispone di un’opzione per rilevare la sua quota e potrebbe esercitarla già quest’anno, permettendo al Tesoro di recuperare almeno parte degli 1,9 miliardi residui. A questo punto diventa meno rilevante la data del ritorno in Borsa di Chrysler, che consentirà al Veba di liquidare la sua quota: «Potrebbe arrivare già quest’anno o l’anno prossimo» ha ribadito Marchionne. Andrea Malan • IL CONSOLIDAMENTO PESERÀ SUI CONTI DI TORINO - Fiat si avvicina al momento in cui consoliderà Chrysler nei suoi bilanci. Non è ancora chiaro se lo farà già col 46% o se aspetterà di aggiungere l’ulteriore 5% che, al verificarsi di determinate condizioni (la produzione dell’auto da 40 miglia per gallone, che potrebbe essere presentata al prossimo salone di Detroit) e senza esborsi cash, consentirà al Lingotto di raggiungere il 51% entro fine dell’anno. Ad ogni modo le agenzie di rating sono già entrate in fase d’allerta in vista della prossima integrazione contabile della casa americana che, reduce dal Chapter 11, ha ancora una struttura finanziaria più fragile della sua controllante. A fine aprile, infatti, sia Fitch (BB+) che Moody’s (Ba1) hanno messo sotto osservazione il rating di Fiat con implicazioni negative, mentre Standard & Poor’s, che aveva già sul gruppo outlook negativo e merito di credito BB, non ha cambiato la sua valutazione.

Chrysler ha appena ottenuto i "voti" dalle due principali agenzie americane, che sono inferiori a quelli di Fiat e come quelli di Fiat inferiori al livello di BBB- che segna lo spartiacque del cosidetto "investment grade". Standard & Poor’s ha infatti assegnato a Chrysler un rating preliminare pari a B+, mentre Moody’s le ha concesso un B2 con outlook positivo. Il problema di Chrysler, tornata in utile per 116 milioni di dollari nel primo trimestre 2011, è che si porta dietro 13,4 miliardi di dollari di debito (sempre ai dati di fine marzo): inevitabilmente finiranno per appesantire il consolidato di Fiat che, di suo, ha debiti (alla stessa data) per 16,4 miliardi di euro, includendo anche i servizi finanziari.

Nel bilancio 2010 del gruppo Fiat la partecipazione in Chrysler era iscritta tra le imprese collegate valutate secondo il metodo del patrimonio netto per un valore pari a zero e, si spiegava nella nota integrativa, fintanto che Fiat manterrà questa posizione «non dovrà rilevare alcuna quota di perdite eventualmente consuntivate da tale collegata, in quanto non ha alcun obbligo di copertura delle stesse», avvertendo inoltre che «nel momento in cui Chrysler realizzerà gli utili, il gruppo Fiat potrà rilevarli solo per la parte eccedente la quota di perdite non rilevata nei precedenti esercizi». Ora, con l’esborso di 1.268 milioni di dollari per acquisire il 16% di Chrysler, la posta contabile andrà comunque aggiornata nel secondo trimestre. Ma prima di procedere al consolidamento nei bilanci del Lingotto, occorrerà comunque "tradurre" nei principi contabili internazionali IFRS, adottati dal gruppo Fiat, i conti di Chrysler che invece utilizza i più restrittivi Us Gaap. «Il fatto che la Fiat abbia acquisito un pezzo importante per consolidare la maggioranza di Chrysler è semplicemente un passaggio finanziario e tecnico», si legge nella lettera ai dipendenti dell’ad Sergio Marchionne. Ma, tecnicamente, il passaggio non sarà banale.