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 2011  maggio 24 Martedì calendario

IL PREZZO? VALE MILLE ANNI DI UTILI

Quotazioni che entrano in orbita con multipli "virtuali" da capogiro. D’altro canto «this is the new internet, baby». Dopo il boom nel primo giorno di quotazione (+109%), le prime indicazioni sui ratio di Linkedin hanno il sapore dell’incredile.

Secondo il terminale Bloomberg, per esempio, che indica una capitalizzazione di 8,126 miliardi di dollari, il P/e del social network è indicato addirittura oltre 1.200. Il numero è impressionante: il prezzo diviso l’utile per azione, infatti, può essere interpretato anche da un punto di vista temporale. Cioè, ipotizzando profitti stabili, indica quanti esercizi sarebbero necessari per ripagare quel determinato prezzo. Secondo il calcolo di Bloomberg oltre 1.200. In parole povere, dovrebbe scorrere un millennio e più: altro che visione corta di Borsa...

Ciò detto, in simili casi, vanno sempre analizzati due aspetti. Da un lato, l’andamento del titolo: se questo, dopo essere entrato in orbita, come appare probabile scenderà, giocoforza anche il P/e sarà spinto all’ingiù.

Dall’altro, bisogna capire bene come viene stimato l’utile per azione: banale dire infatti che, a seconda dei metodi di calcolo, i profitti previsti possono scendere o salire. E più si abbassa la previsione sugli utili (il denominatore della frazione) più il P/e cresce. Così, analizzando i dati forniti da Reuters il fatidico "numerino" diminuisce, un po’. A fronte della medesima capitalizzazione 8,126 miliardi di dollari, e annualizzando gli utili netti del primo trimestre 2011 (2,08 milioni), il price earning che salta fuori è poco sopra 976. La riduzione degli esercizi "necessari", per ripagare il prezzo, cala più di 200 anni. Tuttavia, il numero che rimane ha sempre dell’incredibile. Insomma, agli attuali prezzi, il P/e di Linkedin segnala una chiara bolla.

Ma non sono solo i multipli in stile bubble-dotcom del 2000 a far discutere. È ancora polemica, infatti, tra le banche collocatrici (JpMorgan, Bank of America Merrill Lynch, Morgan Stanley), il mercato e gli stessi fondatori del social network professionale. Gli istituti di credito sono accusati di aver sottovalutato la società (il prezzo dell’Ipo è stato di 45 dollari) e di aver quotato giovedì scorso un numero troppo esiguo di azioni (il 9% del capitale). Un mix di condizioni che ha fatto balzare il titolo, riempiendo sì le tasche ai clienti istituzionali dei collocatori, ma di fatto non facendo salire sul razzo della quotazione il fondatore di Linkedin Reid Hoffman e gran parte del mercato. Quello stesso mercato che si interroga sulla finalità di simili operazioni. L’Ipo, in teoria, dovrebbe servire a raccogliere capitali per far crescere l’azienda e non solo per ingrossare il portafoglio di istituzionali o delle fee bancarie.