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 2011  maggio 24 Martedì calendario

DE MAGISTRIS, STORIA DI UN PM (4

puntate - continua) -

E’ davvero finita, se persino Marco Pannella ha detto realmente che il togato Luigi De Magistris «non lo hanno fatto lavorare»: abbiamo perso la memoria o abbiamo perso Pannella, cioè uno che conosce Napoli - si pensava - e che tuttavia, adesso, sostiene un perfetto erede di quel genere di magistrati che distrussero Enzo Tortora. Faccia pure, Pannella, si turi il naso, se lo mozzi, ma prima legga qui. Perché peggio dell’informazione che non c’è - sacrosanta lagnanza dei radicali - c’è il non conoscere la poca informazione che c’è.

La clinica degli orrori. Poco si sa, infatti, della reale carriera di Luigi De Magistris, un uomo che in fin dei conti andrebbe giudicato per le sue opere. Il candidato sindaco fu nominato magistrato di tribunale l’8 luglio 1996 e giunse a Catanzaro quell’anno stesso, 29enne; si presentò ai colleghi incitando sin da subito alla «moralizzazione della cosa pubblica» e quest’ultima espressione comparirà nell’ordine d’arresto della sua prima inchiesta importante, la 1471/96, un’indagine grazie alla quale ventuno incensurati di una clinica privata, Villa Nuccia, finirono in galera con le accuse più turpi: violenza contro un centinaio di malati mentali, omicidio dei medesimi, favoreggiamento di latitanti, falsi certificati per esonerare dei figli di mafiosi dal militare, cose così. De Magistris mostrò già allora un’indubbia disinvoltura nel contestare il peggio: sequestro di persona, omicidio, falso, maltrattamenti, associazione per delinquere finalizzata alla corruzione. Il clamore mediatico fu enorme, e la stampa prese finalmente conoscenza del personaggio: su Raidue, La vita in diretta si soffermò sul caso per settimane. Tutto era fondato sulle confidenze rese a De Magistris da Mario Ammirato, un ex infermiere; oltre alle sue parole, il nulla. Le richieste d’arresto iniziavano così: «Nell’ambito dell’attività di indagine rivolta alla moralizzazione della cosa pubblica... ».

Era già partita la lunga rincorsa di Luigi De Magistris verso fantomatiche lobby di potere da perseguire a tutti i costi. Tra gli arrestati principali c’era il primario Antonino Bonura, già medico militare pluridecorato con diverse missioni all’estero alle spalle: peraltro era medico legale nella stessa Procura che l’aveva arrestato, e dopo la carcerazione gli venne un infarto. De Magistris, a un anno dal primo arresto, lo incarcerò una seconda volta: fu l’unico errore di cui il magistrato ebbe a scusarsi pubblicamente.
È di allora anche un primo tentativo di coinvolgere in qualche modo Giuseppe Chiaravalloti, ai tempi avvocato generale presso la Corte d’Appello e futuro presidente della Regione: il pm lo tirò in ballo sul presupposto che in clinica avesse abbracciato Antonino Bonura.

De Magistris chiese i rinvii a giudizio del caso, ma l’udienza preliminare sfociò in una sentenza di non luogo a procedere per tutti: Vittoria Palazzo, Corrado Decimo, Vincenzo Lombardi, Achille Tomaino, Massimo Aria, Giuseppe Giannini, Francesco Trapasso, Alfonso Colosimo, Salvatore Moschella e Giovanni Ferragina. Prosciolti.
De Magistris impugnò la sentenza, ma il 22 gennaio 1999 la Corte d’Appello di Catanzaro confermò i proscioglimenti in toto.
La vicenda, complicatissima, si inerpicherà in un totale di undici processi in dieci anni, e alla fine saranno assolti tutti gli imputati tranne uno: Mario Ammirato, proprio lui, il confidente di De Magistris. Il cardiopatico Bonura e il trapiantato di fegato Salvatore Moschella, invece, ricevettero rispettivamente 50mila e 180mila euro per ingiusta detenzione. Ma la clinica era ormai sputtanata e dovettero cederla. La Corte d’Appello liquidò ingenti riparazioni anche per gli altri.
Sono di allora i primi scontri con Giancarlo Pittelli, avvocato dei succitati e negli anni a venire parlamentare di Forza Italia: per De Magistris una sorta di nemico pubblico. Sempre in campo sanitario, Pittelli fronteggerà il magistrato in molti altri procedimenti tra i quali uno discretamente demenziale: De Magistris accusò di falso alcuni farmacisti comunali che a suo dire non avevano obliterato alcune fustelle, ossia i talloncini dei prezzi che ci sono sulle scatole dei medicinali; tuttavia verrà fuori che i farmacisti non avevano potuto obliterare le fustelle perché De Magistris, per altro procedimento, gli aveva già sequestrato l’apparecchietto per l’obliterazione. Archiviato tutto.

L’abuso che non c’era. Il secondo clamoroso buco nell’acqua fu il procedimento 496/97, dove De Magistris accusò di abuso d’ufficio gli amministratori comunali Giovanni Alcaro, Giuseppe Mazzullo, Lucia Rubino, Valerio Zimatore, Domenico Tallini, Michelino Lanzo, Costantino Mustari e Fausto Rippa. L’accusa, in sostanza, fu quella d’aver riassunto in comune questo Fausto Rippa con una delibera irregolare. A stabilire che lo era, regolare, c’era già una sentenza del Tar, la numero 864 del 5 settembre 1995: ma De Magistris chiese il rinvio a giudizio lo stesso, e il 15 dicembre 1997 il giudice decise per il non luogo a procedere. Motivazione: insussistenza del fatto. L’appello di De Magistris verrà dichiarato inammissibile. Ma la sua clamorosa carriera - fatta, appunto, di clamori - era appena incominciata.
1 / continua

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I GUAI DI MASANIELLO COI COLLEGHI GIUDICI -

L’indagine sulla costruzione del nuovo palazzo di giustizia di Catanzaro (procedimento n.609/96) fu naturalmente un altro plof della carriera di Luigi De Magistris: fu lui a ipotizzare dei generici «tentativo di abuso d’ufficio» e «tentativo di truffa aggravata» ai danni di tre persone, cioè Giuseppe Gatto, Antonio Rinaldi e Valerio Zimatore.

L’impostazione accusatoria, tra l’altro, implicava necessariamente la complicità dei vertici della magistratura catanzarese, ma formalmente non furono neppure mai indagati, era ancora presto per quel genere di cose. Il sequestro del palazzo in costruzione venne subito revocato dal Tribunale della libertà, ed è qui che attorno a De Magistris cominciarono a succedere delle prime stranezze; la trascrizione delle intercettazioni telefoniche dell’indagato Giuseppe Gatto, infatti, fu artefatta: non solo la frase «provveditore generale» fu sostituita con «procuratore Generale», ma tra parentesi qualcuno appuntò - non è chiaro chi - anche il nome di Giuseppe Chiaravalloti, il citato Procuratore Generale a Reggio Calabria. Quest’ultimo, stupito, trasmise una rimostranza al Comando Generale dei Carabinieri, e il risultato fu che fu inquisito per calunnia e diffamazione ai danni del capitano responsabile della trascrizione telefonica. Chiaravalloti, comunque, sarà prosciolto in udienza preliminare e anche in Appello, mentre il capitano responsabile della trascrizione, invece, se la cavò con delle sanzioni disciplinari. In pratica fu un buco nell’acqua, a cui si aggiungerà la richiesta di De Magistris di processare i succitati Gatto e Rinaldi e Zimatore: ma il giudice, il 25 febbraio 1998, decise di non processare nessuno. De Magistris fece appello, ma fu respinto.

Finita? Macché: De Magistris trasmise alla Procura di Messina (competente su Reggio Calabria) una nota dove si ipotizzava che il procuratore Chiaravalloti avesse rivelato dei segreti d’ufficio: ma il giudice archiviò anche questa. Dalla sentenza, peraltro, si evinse che le indagini su Chiaravalloti erano cominciate quando il medesimo era ancora avvocato generale a Catanzaro, cioè nella stessa sede giudiziaria dove operava De Magistris: era accaduto che una procura, in altre parole, aveva indagato su se stessa.

I GIUDICI
Molti giovani avvocati, oggi, ricordano De Magistris anche se non l’hanno mai incontrato in vita loro: è per via della sua inchiesta catanzarese su alcune presunte irregolarità negli esami di procuratore legale. Più che presunte, le irregolarità erano certe: risultò infatti evidente, su 2301 partecipanti all’esame, che ben 2295 avevano copiato. Il problema è che De Magistris, pur indagando praticamente tutti e 2000 i candidati, non ebbe modo di dimostrarlo: il procedimento finì in nulla, e restò memorabile la pretesa che i commissari d’esame aprissero anzitempo le buste degli elaborati, davanti al carabinieri, col rischio che fossero invalidate tutte.

Era un De Magistris ancora acerbo. Certe sue fisse apparenti, come quella d’inquisire soprattutto politici e magistrati, sembravano tuttavia già ben delineate: ma ecco che ogni volta andavano a sbattere contro i controlli di legittimità dei suoi colleghi. Giudici, gip, gup, tribunale del riesame, Appello, Cassazione, e annullamenti, assoluzioni, proscioglimenti: tutto sembrava complottare contro di lui. Il De Magistris che tornerà a Catanzaro nel 2002 - dopo un interregno poco significativo nella natia Napoli - risolverà questo problema adottando con frequanza un genere di provvedimenti che per essere spiccati non abbisognano neppure della fastidiosa convalida di un giudice: cioè perquisizioni, sequestri probatori, interdizioni e fermi di polizia. Anche la sua propensione a intercettare mezzo mondo, alleandosi con le fantasie spionistiche dei vari Gioacchino Genchi, sino ad allora era rimasta in sonno: ma di lì in poi comincerà a scatenarsi con varie inchieste infarcite di perquisizioni e fermi di polizia e soprattutto sequestri, tutti atti che appunto non abbisognavano di verifiche da parte dei colleghi. Tra le sue nuove fisse, il sequestro di grandi alberghi o maxi strutture turistiche ancora in costruzione, con annessi danni economici e lavoratori che finirono a spasso.

SEQUESTRI FLOP
Nel 2003, per esempio, sequestrò due villaggi turistici a Botricello (Catanzaro) e mise sotto indagine diciotto persone. Il sequestro durò quattro anni e ogni finanziamento europeo del caso - circa nove miliardi di lire - andò perso. Ma il 13 maggio 2007, dopo quasi tre anni di udienza preliminare, il giudice Tiziana Macrì proscioglierà tutti i malcapitati e ne citerà semmai la «condotta corretta e trasparente». Ma va detto che De Magistris non mancherà di coinvolgere Tiziana Macrì in altri procedimenti, questo a dispetto del suo noto impegno in processi contro la criminalità organizzata.

Due altri sequestri, nel marzo 2004, furono quello dei cantieri per la costruzione del paese-albergo di Davoli Marina e poi quello di una struttura abitativa in località Berenice: De Magistris si concentrò sulla concessione edilizia n. 15 del 23/5/2003 e indagò un bel po’ di persone. Orbene: il Tribunale della libertà revocò il sequestro per totale insussistenza dei presupposti, e il dissequestro divenne definitivo anche perché De Magistris, come moltissime altre volte, non fece neanche ricorso. I danni alle imprese, e ai titolari del progetto, furono ovviamente incalcolabili.
2/continua

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(manca la tre)

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DE MAGISTRIS, L’EX PM CHE SI CREDE UN MARTIRE -

Nota metodologica: la verità è che ricostruire la carriera di Luigi De Magistris è difficilissimo. Dal 1998 al 2002 operò come uditore giudiziario a Napoli e poi divenne sostituto procuratore a Catanzaro, con risultati oggettivamente terrificanti che abbiamo in parte raccontato. Ma poi comincia un incredibile marasma mediatico-giudiziario che anche il cronista più attento fatica a ricostruire. A partire dai tardi anni Duemila, infatti, il togato De Magistris denotò irrequietezze decisamente inadatte all’equilibrio richiestogli dal suo lavoro: una rottura degli argini, la sua, che coincise tipicamente con le prime esposizioni mediatiche e con le prime inchieste su vari intrecci di potere. A partire da allora, dunque, il rumore delle sue inchieste ebbe a prescindere completamente dalle effettive correità penali che (non) riguardavano i nomi altisonanti che lui menzionava nelle sue inchieste, e a partire da allora, perciò, il semplice nominare dei personaggi prese ad accluderli d’ufficio in presunte cosmogonie e complotti contro di lui. Nessuno ne sarà risparmiato, neppure l’intera fisiologica giudiziaria, neppure i gip che respinsero le sue richieste, neppure i giudici che giudicavano, i superiori che avocavano, la Cassazione che rigettava, e neppure gli ispettori del Ministero, e il Ministero, tutti. Farà giocoforza parte del complotto anche il Capo dello Stato (quando l’inviterà De Magistris esplicitamente al silenzio) e ne farà parte il vicepresidente del Csm che lo richiamerà al codice deontologico, e ovviamente l’intero Csm, e anche l’Associazione magistrati più qualche corrente togata, in sostanza tutti coloro che oltretutto avevano ascoltato De Magistris respingendo regolarmente tutti i suoi ricorsi. Il magistrato prese addirittura a prospettare una «nuova P2» guidata da Giancarlo Elia Valori, dunque una «strategia della tensione», una «massoneria», «poteri occulti coadiuvati da pezzi della magistratura» e ovviamente «settori deviati di apparati dello Stato».

Non mancarono, nei foschi scenari, anche l’allora presidente del Consiglio Romano Prodi più alcuni suoi collaboratori, i quali «lasciavano intravedere un discorso molto interessante di riciclaggio dalla Calabria a San Marino», e, in un caso, dei «viaggi molto strani nel centro Africa», senza contare i «collegamenti con l’omicidio Fortugno» e i soliti coinvolgimenti per Clemente Mastella e Massimo D’Alema: ci sarebbe da proseguire, e non avremmo ancora sfiorato, sinora, altri «complotti» delle procure contro di lui.
Qui sta il punto. Immaginate che uno stranito Al Gore, ad Annozero, chieda qualche informazione su questo ex campione della magistratura all’italiana: che cosa gli raccontereste? Dunque: questo De Magistris a Catanzaro conduceva delle inchieste che coinvolgevano l’imprenditore Antonio Saladino oltre a Prodi e a Clemente Mastella; due sue inchieste vennero però avocate dal procuratore capo Mariano Lombardi e dall’allora procuratore generale Dolcino Favi, il tutto mentre si succedevano ben tre ispezioni ministeriali (senza esito) col procuratore generale della Cassazione che decideva intanto di aprire un procedimento su De Magistris; il quale fece un baccano mediatico d’inferno sinché anche il Csm decise di occuparsene. Morale: il Csm condannò De Magistris e lo trasferì a Napoli come giudice e non più come pm (in Italia, egregio Al Gore, è normale) ma ecco che poi il magistrato denunciò un complotto ai suoi danni alla procura di Salerno, la quale indagò sino a convincersi (a sostenere) che i loro colleghi di Catanzaro fossero effettivamente autori di un complotto del quale indirettamente avrebbero fatto parte anche il Csm, il Guardasigilli e la Cassazione; la procura di Catanzaro temporeggiò e non spedì a Salerno le carte richieste, al che la procura di Salerno si spazientì e le spedì un decreto d’urgenza con tanto di perquisizioni e avvisi di garanzia; ne conseguì che il procuratore generale di Catanzaro Enzo Iannelli, pure lui indagato, protestò direttamente col Capo dello Stato, questo mentre il Guardasigilli spediva un’ispezione a Salerno ma con ispettori diversi da quelli utilizzati in precedenza: parecchi infatti risultavano indagati a causa di un altro esposto di De Magistris, questo mentre il procuratore di Catanzaro Iannelli controsequestrava le sue stesse carte (già sequestrate il giorno prima dai colleghi salernitani) e spediva a sua volta una raffica di avvisi di garanzia ai magistrati di Salerno che avevano indagato lui il giorno prima, peraltro utilizzando, nello spedire gli avvisi, gli stessi uomini: questo nonostante Salerno avesse la competenza a indagare su Catanzaro ma Catanzaro non l’avesse a indagare su Salerno, competenza che apparteneva e appartiene a Napoli. Ma chi c’era a Napoli, trasferito da Catanzaro? C’era De Magistris. Tutto chiaro, egregio Gore? Tenga conto che il vicepresidente del Csm Nicola Mancino, intanto, era in una certa difficoltà: infatti un suo collaboratore, in una delle inchieste di De Magistris, risultava in contatti telefonici con l’indagato Antonio Saladino. Di fronte a un marasma del genere c’è solo da riprendere le varie e rumorosissime inchieste di De Magistris - tipo Poseidone, Why not, Toghe lucane e altri nomi strambi - e verificare razionalmente che cosa ne è rimasto. Lo faremo da domani.

Lo faremo nonostante una difficoltà tecnica che fa parte del metodo di De Magistris: lui, come Di Pietro, è uno che denuncia tutti. Ha denunciato questo giornale e questo giornalista, ha denunciato il relatore del Consiglio giudiziario che gli negò la nomina a magistrato d’Appello, ha denunciato colleghi che avevano respinto suoi provvedimenti (spesso non proponeva neppure impugnazione: invece di fare ricorso, cioè, denunciava direttamente i giudici) e ha denunciato, De Magistris, un avvocato generale dello Stato che aveva revocato un suo procedimento (revoca poi confermata dalla Cassazione) e ha denunciato un ispettore che aveva rilevato irregolarità di rilevanza disciplinare nella gestione della sua inchiesta toghe lucane, ha denunciato un pm di Matera che lo aveva messo sotto indagine, ha denunciato il presidente del Tribunale del Riesame di Catanzaro che aveva annullato diverse sue richieste d’arresto (annullamenti poi confermati dalla Cassazione) e ha inquisito, De Magistris, la madre di una sua collega di tribunale (Mariateresa Carè, prima che ovviamente fosse prosciolta) e ha indagato anche il marito della collega (prima che fosse assolto pure lui) e ha indagato pure il marito del giudice Abigaille Mellace, chiedendone pure l’arresto: richiesta respinta dal gip e dal Tribunale della libertà e dalla Corte di Cassazione; la casa della collega fu tuttavia perquisita.
4/continua