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 2011  maggio 24 Martedì calendario

IL LIBRO PER STACCARE I RAGAZZI DAL COMPUTER

Consiglio L’isola del tesoro se il ragazzino ha un rapporto avventuroso con l’esistenza, se invece è un tipo tenebroso e introverso vado su Dottor Jekyll e Mister Hyde. Nel caso in cui è un po’ sfigato, non ha donne e negli sport è una schiappa (anche se è difficile che un genitore te lo confessi apertamente) scelgo Il conte di Montecristo di Alexandre Dumas. La lunga e premeditata vendetta di Edmond Dantès gli darà energia per riscattare i torti subiti. Quella sera invece così, senza pensarci, mi è uscito dalle labbra un romanzo sepolto sotto gli strati di incrostazioni che avvolgono i miei neuroni: La collina dei conigli. Il padre non lo conosceva. Gli ho spiegato che è un romanzo del 1972 scritto da Richard Adams e che, a suo tempo, aveva avuto un grande successo. E mi ha chiesto perché proprio quel libro? Non lo sapevo. Me la sono cavata dicendo che i conigli, tranne per Alice nel paese delle meraviglie, sono sempre stati sottovalutati dalla letteratura e che da ragazzino i libri che amavo di più avevano gli animali come protagonisti. Del resto da quando sono venuto al mondo gli animali sono sempre stati presenti nella mia esistenza. Sono cresciuto tra scoiattoli bengalesi, topi bianchi, tartarughe terrestri, pappagallini, rospi, salamandre, gatti e tanti cani. Passavo le ore a osservali cercando di capirli, di mettermi nelle loro teste. Cosa pensa un pesce in acquario? Su che medita un topo quando corre nella ruota? Perché Cleopatra, la tartaruga che ha vissuto sedici anni con la mia famiglia, era sempre incazzata e mi inseguiva in terrazzo azzannandomi i piedi? Finita la cena, tornando a casa, ho continuato a ripensare al romanzo di Adams. Avevo ricordi sbiaditi. Dell’intera, lunghissima, storia mi tornava in mente solo l’immagine di campi verdi (inglesi?) dove un gruppo di conigli scampati ai cacciatori scavava buche e cunicoli. E più ci riflettevo e più associavo quella storia a qualcosa di biblico e di epico. Una roba a metà strada tra l’esodo degli ebrei dall’Egitto e la fuga di Enea da Troia. Mi faceva sorridere che il coraggio e la forza di affrontare l’ignoto, secondo Adams, si incarnassero nel coniglio, uno degli esseri più paurosi e innocui del regno animale. E la mia improvvisa dichiarazione d’amore verso questi insulsi erbivori mi è sembrata alquanto bizzarra. I miei eroi di giovane lettore erano Zanna Bianca e Buck, il San Bernardo protagonista del Richiamo della foresta. Predatori, carnivori coraggiosi e fieri. Jack London è stato l’autore che ho amato di più durante le mie prime letture. Mi piaceva come trattava gli animali, non erano essere umani travestiti. Mi hanno sempre fatto un’istintiva antipatia le favole moraleggianti di Esopo, di Fedro o di La Fontaine in cui per esempio la volpe, chiaramente umanizzata, schifava l’uva perché non poteva raggiungerla. Questo tipo di animali li vedevo meglio sul palco di un teatrino scolastico che tra i rovi e i muschi di un bosco. Mi emozionava invece la capacità di Jack London di entrare nella testa di un cane. Ero orgoglioso di appartenere a una specie in cui c’era qualcuno in grado, con la sua fantasia, di raccontare il modo di agire di altri esseri viventi. Poi c’era l’Alaska, dove io sarei andato a vivere appena fossi diventato maggiorenne. In quella regione London era stato durante la sua giovinezza a cercare l’oro. Nel Wild, come lo chiama lui. In italiano non mi sembra ci sia una parola corrispondente. Il Wild, è il mondo selvaggio e ostile dove uomini e animali arrancano e combattono per non essere sopraffatti dal freddo, dalla fame, dagli attacchi di esseri più feroci e determinati. All’inizio di Zanna Bianca London introduce questo mondo quasi fosse un dio spietato: «Il Wild non ama il movimento. La vita è un’offesa per lui, perché la vita è movimento; e il Wild mira a distruggere il movimento. Gela le acque, per impedirle la loro corsa verso il mare; succhia la linfa dagli alberi, finché il gelo raggiunge il loro cuore» . Nelle storie di London gli uomini, crea- ture insignificanti e spesso meschine, combattono impreparati contro una natura feroce che li sopraffà e gli animali sono il simbolo di tutto quello che l’uomo ha perso civilizzandosi: ferocia, ostinazione e istinto. Ricordo la lotta tra Zanna Bianca e il bulldog Cherokee come una delle scene più emozionanti lette in vita mia. Il capitolo tre comincia così: «Sotto il dominio del Dio pazzo, Zanna Bianca diventò un demonio incarnato... Beauty Smith veniva continuamente a molestarlo... L’uomo scoprì ben presto la suscettibilità di Zanna Bianca e cominciò a burlarlo e a deriderlo... Prima Zanna Bianca era stato nemico della sua razza: ora divenne nemico di tutte le cose» . Il suo padrone, un carceriere violento e cattivo, fa combattere per soldi il lupo contro i mastini, contro altri lupi, addirittura contro una lince. Zanna Bianca è un lottatore eccezionale, vince sempre e fa guadagnare un sacco di denaro all’orrido Beauty Smith. Ma un giorno si presenta nel recinto un piccolo cane, grasso e senza coda, con un’enorme bocca e un naso rincagnato tra le pieghe di pelle che gli coprono il muso. Il bulldog è lento, pigro, ma insensibile ai morsi. Come un pugile suonato segue stancamente Zanna Bianca, poi a un certo punto il lupo scivola e il botolo gli si attacca alla giugulare con una morsa d’acciaio. Non c’è nulla da fare, il lupo non riesce a scrollarselo di dosso e alla fine soccombe. Si salva a stento solo per l’intervento di un brav’uomo che facendo leva con la canna della pistola tra le fauci del piccolo molossoide riesce ad aprire le micidiali mandibole. Ogni volta che ripenso a questa scena trovo bizzarro che London abbia scelto un po’ irrealisticamente questo avversario impacciato per far capitolare l’invincibile Zanna Bianca. Non è un orso, un leopardo, un leone, insomma una fiera selvaggia, ma un essere ottenuto attraverso mirati incroci di razze canine. Una specie di piccolo droide biologico prodotto dall’uomo per combattere contro i tori. Già, ma che c’entrano i conigli? Perché avevo consigliato con tanta passione il romanzo di Adams a quel padre preoccupato per il futuro del figlio? Non è un libro adatto per uno che non ha voglia di leggere. È un tomone di cinquecento pagine, scritto tra l’altro con una lingua poco scorrevole. Forse era meglio suggerirgli Il Gabbiano Jonathan Livingston di Richard Bach. È un libretto sottile che ho letto alle medie. Mi ricordo che l’inizio era molto buono, il gabbiano Livingston cerca di diventare un asso del volo, di raggiungere i limiti fisici della sua specie proprio come farebbe un aviatore con il suo aereo. Poi il libro cambia, il pennuto si allontana dal gruppo e comincia la ricerca di una dimensione superiore, di travalicare i limiti fisici del volo in una sorta di ascesi che assomiglia a quella indiana del Samadhi, «l’unione del meditante con l’oggetto della meditazione» . No, non era adatto e i santoni new Age possono farti passare per sempre la voglia di leggere. La collina dei conigli invece l’ho letto durante una crociera in barca a vela in Grecia. Era la prima volta che i miei mi portavano con loro in vacanza all’estero. Mi ricordo giorni di lettura senza soste, bulimica, accucciato nella cabina di prua accanto alla catena dell’ancora che puzzava di alghe e ruggine. Mi piacque moltissimo. Poco dopo però scovai in una cabina Il delta di Venere di Anaïs Nin e devo ammettere che quei racconti erotici uniti ai corpi delle bagnanti offuscarono un po’ le avventure dei prodi conigli. Insomma, tornando dalla cena, ho ripercorso i caposaldi del mio amore per gli animali eroi di romanzi. Ma ormai capire il motivo della mia scelta inaspettata per esseri destinati a essere cucinati alla cacciatora era diventato importante. A casa ho ritrovato La collina dei conigli e me lo sono riletto in pochi giorni godendo moltissimo. E ho capito. Da un punto di vista letterario, come ricordavo, non è un capolavoro, sarà la traduzione un po’ vecchia o la prosa un po’ troppo fiorita. Ma la storia mi ha riconquistato subito. Ho capito che la grande intuizione di Adams è stata proprio nella cosa più evidente: nella scelta dei conigli come protagonisti. Essendo animali inermi, nei gradini più bassi della catena alimentare, devono tirare fuori doti di intelligenza, coraggio e intraprendenza che non fanno parte del loro corredo genetico di erbivori. Devono diventare delle figure mitologiche, al pari di Achille, Ulisse ed Ettore per riuscire a imporsi e a sopravvivere nel Wild. E in questo loro sforzo c’era un messaggio importante, che la volontà degli ultimi può creare le condizioni per una società non fondata sul sopruso e su regole naturali, date per scontate. C’è un sentimento utopistico e rivoluzionario, che permea tutta la storia e che la rende avvincente e inaspettata. In fondo, in letteratura, come nella vita, è inutile fare gerarchie e classificazioni. Il cuore ardimentoso di Zanna Bianca, la sua indole di predatore e la sua fibra di combattente non è necessariamente più interessante delle trovate bislacche e della solidarietà dei conigli Parruccone, Quintilio e Pungitopo. La letteratura dei carnivori e degli erbivori non esiste. E la mia istintiva preferenza per i lupi, le aquile e i leoni è stata molto ridimensionata reimmergendomi nelle pagine dimenticate di Richard Adams. Ah, un ultimo consiglio su storie con protagonisti animali. Leggetevi anzi bevetevi Il mio cane stupido di John Fante. Un lungo racconto disperato e comico, con protagonista uno scrittore in crisi d’ispirazione e un cane ottuso, testardo e profondamente gay.