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 2011  maggio 25 Mercoledì calendario

LORENZETTO INTERVISA ALBERTO ZAMPERLA


Panorama, 25 maggio 2011

La centrale atomica di Kernwasser, una specie di Caorso col Reno al posto del Po vicino a Düsseldorf , non è mai entrata in funzione. Ben prima della tragedia di Fukushima, i verdi l’avevano bloccata. Il governo tedesco stava per abbatterla con le ruspe. È arrivato lui, ha dipinto le Alpi sulla torre di raffreddamento del reattore nucleare, ci ha piantato dentro la Vertical swing, giostra gravitazionale che spara 24 persone a 33 metri d’altezza, ci ha messo tutt’intorno saliscendi torcibudella e dischi volanti che ruotano all’impazzata sul proprio asse, ed ecco nata Wunderland.
Il Luna park di Coney Island che fa da sfondo al romanzo Vita di Melania Mazzucco, dal quale a partire dal 1895 presero il nome questi luoghi di divertimento, era coperto di ragnatele e frequentato solo dai topi. È arrivato lui e in soli 100 giorni, con un investimento da 12 milioni di euro, l’ha riportato ai fasti del passato, ottenendo dal sindaco Michael Bloomberg, che l’ha inaugurato giusto un anno fa, di gestirlo in proprio per il prossimo decennio, insieme con l’adiacente Cyclone, storiche montagne russe risalenti al 1927, e i 12 fra ristoranti e bar del Boardwalk, la passeggiata sulla spiaggia dei newyorkesi. Un affare da 14 milioni di visitatori paganti l’anno.
Si comincia a comprendere perché la più complicata (due anni di lavoro) e costosa (6 milioni e mezzo di euro) macchina ludica costruita dall’ex giostraio Alberto Zamperla nel suo stabilimento di Altavilla Vicentina, fra ville palladiane e campi di polenta, sia stata battezzata Demolition derby. Quello che è destinato alla demolizione, Zamperla recupera. Quello che era stato demolito, Zamperla ricostruisce.
Il suo prossimo capolavoro sarà il Sinbad land di Baghdad, raso al suolo durante i bombardamenti contro Saddam Hussein: a luglio riaprirà tutto nuovo con 20 attrazioni sparse su 40 mila metri quadrati, destinati a diventare presto 32, ciò che farà lievitare la spesa fino a 10 milioni di euro.
Viste nella prospettiva di Alberto Zamperla, le tragedie dell’umanità diventano occasioni di svago. «Sono un ammortizzatore sociale. Vuol sapere quale fu la prima cosa che fecero i bambini afgani appena le truppe Usa entrarono a Kabul? Presero i bossoli de2 gli obici sparati contro i talebani, ci misero una fune alle due estremità e li trasformarono in altalene. Panem et circenses. Dal tempo dei Romani, non è che i popoli siano molto cambiati».
E lui i popoli li conosce bene. Ha fabbriche in Cina (a Suzhou), nelle Filippine (a Carmona), in Slovacchia (a Šahy); sedi di rappresentanza negli Stati Uniti (a Parsippanny, nel New Jersey), in Russia (a Mosca) e negli Emirati arabi uniti (a Dubai); un ufficio di progettazione in Bielorussia (a Minsk). Da 45 anni è l’unico produttore e gestore di parchi di divertimento presente in tutto il mondo con circa 5 mila attrazioni, disseminate in un centinaio di nazioni. Tenuto conto che ognuna di esse trasporta dalle 400 alle 800 persone l’ora e che un luna park non resta mai aperto per meno di 10 ore al giorno né per meno di sei mesi l’anno, una stima prudenziale del numero di utenti finali arriva quasi a coincidere con la popolazione mondiale: 5,5 miliardi di biglietti staccati da gennaio a dicembre.
Da dieci anni Zamperla, nato nel 1951 a Pieve di Soligo (Treviso), ha preso la residenza a New York. Abita sulla 57ª Strada, ma in realtà, in perfetta coerenza col suo lavoro, vive tra le nuvole: «Passo non meno 100 giorni l’anno in aereo, percorrendo quasi 300 mila chilometri. Il fatturato oscilla da 37 a 52 milioni di euro. Dipende dalle commesse, che sono pluriennali. E per il 95 per cento è fatto di esportazioni».
Avrebbe mai pensato d’arrivare a 400 dipendenti?
No. E quando mi dicono che in fin dei conti costruisco giocattoli, un po’ m’arrabbio. Ho una sezione di sei progettisti dediti soltanto ai roller coasters, le montagne russe, per capirci. Nel nostro stress analysis department lavorano 6 ingegneri che si occupano di meccanica dei solidi, verificano le sollecitazioni su ogni singolo componente o bullone, calcolano gli effetti della velocità sugli esseri umani, sottopongono le attrazioni a test accelerometrici, collaborano con le Università di Padova e di Perugia. Non facciamo un solo prodotto che sia uguale a un altro. In Giappone dobbiamo rispettare le ferree normative antisismiche. In Florida bisogna tener conto degli uragani. In Arabia saudita ci uniformiamo alla legge coranica.
Cioè?
Cabine o vagoni per quattro persone non vanno bene: troppa promiscuità. Abbiamo dovuto modificarle in modo tale che i passeggeri si diano le spalle a due a due. A Jedda e a Dhahran hanno voluto parchi distinti, uno per gli uomini, l’altro per le donne e i bambini. Però in quello maschile ho dovuto oscurare le finestre della ruota panoramica perché da lì si poteva vedere la sezione femminile.
Ma perché da ogni angolo del pianeta chiamano lei?
Tutto merito della Walt Disney, che nel 1990 venne a cercarci. Oggi siamo l’azienda che nel mondo ha piantato il maggior numero di attrazioni per il colosso statunitense. Sette delle 12 più importanti che ci sono a Eurodisney, alle porte di Parigi, sono nostre.
Compreso il Train de la mine che a fine aprile ha avuto un incidente, con cinque feriti, di cui uno grave?
Eh no, quello l’hanno fatto gli olandesi.
E il tanto reclamizzato Raptor appena inaugurato a Gardaland l’ha fatto lei?
Neppure. Quello è di Bollinger & Mabillard, svizzeri di Monthey, eredi di Joseph Giovanola, il fabbro che costruì il batiscafo Trieste con cui Jacques Piccard nel 1960 s’immerse fino a 11.521 metri di profondità nella Fossa delle Marianne. Loro sono la Rolls-Royce del settore.
Avevo capito che la Rolls-Royce del settore era la Zamperla.
Io sono la Volkswagen e la Toyota fuse insieme. Un’attrazione come il Raptor può costare fino a 25 milioni di euro, mi bloccherebbe per anni tutte le altre produzioni. E dove lo trovavo il tempo per costruire il luna park voluto dal dittatore Kim Jong-il a Pyongyang?
È paradossale che lavori nella capitale della Corea del Nord e non a Gardaland, che sta a 65 chilometri da qui.
Nemo propheta in patria.
Nel suo pedigree da cinque generazioni c’è lo svago.
È così. Nazzareno Zamperla, attore e stuntman, lavorò con Federico Fellini per tutta la vita e infatti lo Zampanò protagonista del film La strada nasce dalla fusione dei cognomi di due famiglie circensi, gli Zamperla e i Saltanò. Ancor oggi Athos ed Ermes Zamperla riscuotono enorme successo negli Stati Uniti come uomini cannone.
Mi racconti la storia di famiglia.
Angelo, il mio bisnonno, pasticcere a Ferrara e ginnasta per hobby, conobbe Anna Bastico, una cavallerizza che a fine Ottocento lo convinse ad aprire un circo. L’ultimo dei loro quattro figli era Umberto, mio nonno, che dalla madre aveva preso la passione per l’ippica. Quand’ero bambino, mi faceva toccare sotto i suoi capelli lo stampo di un ferro di cavallo nella teca cranica. Aveva calcolato male i tempi di un doppio salto mortale sulla groppa del quadrupede e s’era preso una zoccolata in testa dopo essere caduto a terra. Per questo fu costretto a cambiare genere di spettacolo. Andò a Parigi e comprò dai fratelli Pathé una delle prime macchine di proiezione: la conservo ancora. Aprì un cinema ambulante. Mio padre Antonio, che era nato nel 1923, lo aiutava come operatore. Ma con l’arrivo delle prime sale si rese conto che girare nelle piazze per proiettare i film su un lenzuolo non avrebbe avuto più alcun senso. Per cui cominciò a costruirsi giostre e autoscontri. Il passo successivo fu venderle ai colleghi. In breve smise di fare il giostraio e divenne produttore di attrazioni. Andava a venderle persino in Cina, pur non conoscendo nessuna lingua. Si faceva capire a gesti.
E lei è cresciuto alla sua scuola.
Solo nei mesi di vacanza. D’inverno stavo dai salesiani, nel collegio Astori di Mogliano Veneto, e d’estate giravo l’Italia con la carovana. Al secondo anno di economia aziendale a Ca’ Foscari mio padre mi fece smettere l’università per spedirmi negli Usa alla conquista del mercato americano. Come più anziano di cinque fratelli, non potei rifiutarmi. Per fortuna il mio secondogenito, Alessandro, ha pareggiato il conto: studia economia politica alla Columbia University di New York.
E il primogenito?
Antonio si occupa del controllo di gestione nella sede di Altavilla Vicentina.
Ma come ha fatto la Zamperla a entrare nelle grazie di Bloomberg?
Non dimentichi che è il mio sindaco.
Mi pare insufficiente, come referenza.
Da nove anni gestivo, insieme con Donald Trump, il Victorian Gardens in Central Park. Da Madonna a Robert De Niro, non c’è vip che non ci abbia portato almeno una volta figli e nipoti. Bloomberg non voleva essere da meno di Rudolph Giuliani, il predecessore che ha bonificato la zona intorno a Times Square, un tempo impestata di sexy shop e peep show. Ha deciso di cominciare da Brooklyn, il distretto di New York col più basso reddito e il più alto tasso di disoccupazione, e nel 2009 mi ha chiamato nella commissione incaricata di riqualificarlo. Abbiamo deciso di cominciare da Coney Island, che ne è la porta d’ingresso e l’icona.
Nel frattempo s’è candidato col gruppo Abete a riaprire il Luneur di Roma chiuso dal 2008.
Confermo.
E perché invece dopo appena due anni ha abbandonato la gestione della Minitalia di Capriate?
Per totale disaccordo operativo con i miei soci. I bergamaschi saranno anche forti finanziariamente, ma hanno un carattere impossibile.
Strano, un tempo facevano parte della Serenissima. Sangue del suo sangue.
Sono terribili.
Per cui che conclusioni ha tratto sul fare affari all’estero e farli in Italia?
Tragiche. Lo dico con la morte nel cuore: quant’è bello lavorare all’estero! Qui le tentano tutte per metterti i bastoni fra le ruote. E guardi che durante i 100 giorni di lavoro per riaprire il Luna park di Coney Island ho avuto 200 ispezioni dei funzionari del Building department, che hanno controllato persino le brugole. Mi fanno ridere i miei colleghi della Confindustria quando mi spiegano che per il nostro settore stanno «facendo tanto». Tanto cosa? Ma svegliatevi, per favore, invece di pensare solo alla carega.
La filosofia costruttiva delle sue attrazioni qual è? Osare sempre di più?
No, regalare un’esperienza felice. Fantastica, adrenalinica, sensoriale o anche solo cromatica, ambientale ed estetica. La magnificenza del mondo si è arricchita di una bellezza nuova: la bellezza della velocità. È scritto nel Manifesto del futurismo, anno 1909. La Zamperla è velocità orizzontale, verticale, obliqua, circolare, sottosopra. Siamo costruttori di emozioni forti.
Ma il pubblico che cosa cerca nelle montagne russe? Una sfida con la morte?
Semmai vuol vincere la paura della morte.
A questo mondo tutto può capitare e tutto si può guastare. Non teme un disastro? Non sente il peso della responsabilità mentre spedisce in orbita migliaia di persone tutti i giorni?
Lo sento eccome. Per chi è lassù e per chi sta a terra. La sicurezza del passeggero è il nostro primo obiettivo.
Ha fatto eseguire qualche studio medico sulle conseguenze a livello cardiocircolatorio e cerebrale provocate dai repentini capovolgimenti del corpo umano?
Le dico di più: ho ottenuto la collaborazione della Nasa. Perché non c’è medico al mondo che sappia quale sia l’accelerazione che il cuore e il cervello possono sopportare. Sono stato il primo a rivolgermi all’ente spaziale statunitense. Ci ho messo un po’ a spiegargli che non era mia intenzione entrare in concorrenza. Mi hanno consegnato gli studi compiuti sugli astronauti. E da quelli partiamo nel progettare le attrazioni.
Ma lei ci sale volentieri?
Molto. Altrimenti come farei a venderle ai clienti?
A stomaco pieno o a stomaco vuoto?
Non ci ho mai pensato. Forse è meglio a stomaco pieno.
Stefano Lorenzetto