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 2011  maggio 16 Lunedì calendario

CRISI DEL ’29, LEZIONE MEMORABILE - C’è

chi al termine di un viaggio si lamenta per lo stress, i ritardi, la fatica...; e chi invece ringrazia il cielo perché l’aereo non è venuto giù o l’autostrada ha risparmiato incidenti. Questa sana abitudine - ricƒordarsi degli scampati pericoli e non solo dei fastidi emersi - può essere utilmente estesa anche al recente periglioso viaggio lungo il ciclo della Grande recessione.

Nell’autunno del 2008, quando l’attività economica volse bruscamente al peggio, sulla bocca di tutti c’era la Grande depressione degli anni Trenta. Si temeva che l’inciampo dell’economia si trasformasse in prostrazione, che domanda e produzione sarebbero rimasti a terra, che la disoccupazione potesse dilagare, che i miasmi della sfiducia, viaggiando sui venti veloci dell’informazione globale, avrebbero contagiato Paesi vicini e lontani, in una triste riedizione di quel terribile decennio dell’anteguerra.

Ma non è successo. L’aereo non è venuto giù e le ambulanze non sono accorse sull’autostrada per portar via morti e feriti. Ci è andata bene? L’abbiamo scampata per caso o per calcolo? Per capirci qualcosa andiamo a vedere quegli indici di Borsa - il Dow Jones, in quel Paese, l’America, dove originò sia la crisi del ’29 che la Grande recessione recente - che hanno scandito, allora e oggi, i tempi del ciclo.

Il grafico mostra, giorno per giorno, l’andamento della Borsa, a partire dal minimo raggiunto dalle quotazioni azionarie dopo lo scoppio della crisi. Le crisi, per parafrasare il Vangelo, «saranno sempre fra noi»: non le possiamo evitare perché, come scrisse Schumpeter, già nel 1939, «I cicli non sono come le tonsille, cose separate che possono essere curate da sole, ma come il battito del cuore, appartengono all’essenza dell’organismo».

Se non possiamo evitare le crisi, possiamo però sperare che le crisi non diventino mortali. È importante seguire il periodo immediatamente successivo al punto di svolta, quando il fisiologico rimbalzo dal nadir del ciclo prepara la fase di espansione; o, al contrario, come succede a una malattia mal curata, porta a una ricaduta che fiacca le capacità di recupero dell’organismo economico e umilia l’economia in una lunga stagnazione.

Quando scoppiò la crisi del 1929 il crollo dell’indice di Borsa, da quel fatidico 28 ottobre, proseguì per qualche settimana, fino a raggiungere un minimo il 13 novembre. Da allora cominciò una risalita che durò fino all’aprile del 1930. C’è una impressionante analogia, in questa fase di ripresa, con gli andamenti della Borsa nei primi mesi dopo il minimo del 9 marzo 2009 (vedi grafico). In ambedue i casi la ripresa seguì lo schema abituale del rimbalzo. Ma nel prosieguo i sentieri si divaricarono. L’economia americana registrò una pesante ricaduta, e il decennio degli anni Trenta sarebbe andato acquistando una triste nomea: la crisi sarebbe finita solo con lo scoppio della Seconda guerra mondiale, che rivoltò l’economia come un guanto.

Come si spiegano questi diversi destini? Allora la politica economica fece tutte le cose sbagliate: la politica di bilancio aggiunse l’austerità pubblica alla forzata austerità privata, e le iniziative del presidente Roosevelt (lavori pubblici in deficit) furono tardive e insufficienti. La politica monetaria aggiunse sale alle ferite, restringendo l’offerta di moneta, lasciando fallire migliaia di banche ed evitando di contrastare la deflazione (discesa dei prezzi).

Questa volta, invece, in America e altrove le politiche economiche mostrarono i muscoli: un massiccio stimolo monetario (tassi ai minimi storici, espansione quantitativa della moneta, garanzie ai depositi e salvataggio del sistema bancario) si è accompagnato a un altrettanto massiccio stimolo di bilancio, con aumenti di spese e riduzioni d’imposta. Come sappiamo, ora dobbiamo rientrare da questi debiti pubblici, ma bisogna riconoscere che quel viaggio nel debito ha evitato alle economie di seguire il triste percorso della Depressione.

C’è comunque un altro aspetto positivo che marca a lettere di fuoco la differenza fra le "cose sbagliate" di allora e le "cose giuste" di adesso. Questo aspetto positivo si ritrova in una famosa ragnatela: il grafico che (pubblicato per la prima volta nel "The World in Depression" di Charles P. Kindleberger) mostra la spirale deflattiva che avvinghiò il mondo durante la Grande Depressione. Già prima della crisi, durante la presidenza Coolidge, lo "House and Ways Committee" del Congresso cominciò a discutere di un giro di vite doganale per proteggere gli agricoltori americani. E diciotto mesi dopo, nel giugno del 1930, sarebbe stato emanato (con la protezione estesa, come era prevedibile, ad altri settori nel frattempo entrati in crisi) il famoso "Smoot-Hawley Tariff Act".

I bracci della spirale partono nel 1929: gli scambi internazionali si inaridiscono in cerchi concentrici (perché gli altri Paesi, a loro volta, si difesero aumentando i dazi anch’essi), dipingendo efficacemente la chiusura ad ostrica di un mondo dove dominava il "si salvi chi può", dove l’egoismo individuale si ritorceva contro il Paese egoista in un danno collettivo che prolungò e intensificò la Grande Depressione.

Niente di tutto questo si è dato in questi anni. I Governi hanno resistito alle sirene del protezionismo e gli scambi, crollati nel 2009 con la recessione, hanno oggi di nuovo ampiamente superato i livelli pre-crisi. Insomma, molti dubitano che la storia sia maestra di vita, ma nel nostro caso possiamo dire di aver veramente imparato la lezione della Grande depressione.