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 2011  aprile 30 Sabato calendario

“Così il mostro di polvere ha divorato le nostre vite” - E’ giovedì sera e al teatro municipale di Casale Monferrato scatta un applauso per la signora Romana Blasotti, che ha 82 anni ed è l’icona vivente del martirio di questa città

“Così il mostro di polvere ha divorato le nostre vite” - E’ giovedì sera e al teatro municipale di Casale Monferrato scatta un applauso per la signora Romana Blasotti, che ha 82 anni ed è l’icona vivente del martirio di questa città. Ha perso il marito, una figlia, una sorella e due nipoti, tutti vittime del mostro che per un secolo ha divorato Casale: l’Eternit. Un mostro diabolico perché tipico del diavolo è l’ingannare: e per un secolo un’industria ha ingannato i casalesi, apparendo loro come una benedizione del cielo - posti di lavoro, sicurezza economica - prima di rivelare il suo volto terribile, un volto cui la medicina ha dato il sinistro nome di «mesotelioma pleurico», che vuol dire un dannato tumore. La signora Romana è venuta a teatro per vedere «Polvere» di Andrea Prandstraller e Nicolò Bruna. E’ un film documentario su una tragedia che si sbaglia a credere finita, perché nell’edilizia l’impiego dell’amianto (l’Eternit è un impasto di amianto e cemento) è tutt’altro che al tramonto, anzi è in crescita, soprattutto in quelle parti del mondo dove c’è tanta povera gente che non sa e non può sapere. «Polvere» verrà presentato ufficialmente il 2 giugno al cinema Massimo di Torino, ma è stato mostrato prima ai casalesi perché Casale è stata la capitale della produzione dell’Eternit. Da due anni è aperto a Torino un processo per «disastro doloso permanente». Ci sono due imputati - uno svizzero e un belga, gli ultimi proprietari della fabbrica di Casale - e oltre seimila parti civili in rappresentanza di tremila morti, che poi sono solo una parte dei morti. Non c’è praticamente famiglia che sia stata risparmiata. A chi andava bene, invece del mesotelioma veniva l’asbestosi. Che cosa sia l’asbestosi me lo spiega un ex operaio della Eternit che mi accompagna nella marcia verso il luogo dove un tempo c’era la fabbrica: «Mi chiamo Giovanni Balice, sono pugliese ma sto a Casale da 50 anni. Dal 1963 al 1973 ho lavorato alla Eternit. Da 12 anni ho l’asbestosi, fatico a respirare, ogni tanto sento fitte terribili alla schiena e devo sempre stare attento a non prendere mezzo colpo d’aria». La marcia è silenziosa, le donne hanno tutte in mano un fiore bianco, alle finestre delle case sono esposti tricolori con la scritta «Eternit: giustizia!». Della vecchia fabbrica è rimasto ben poco. Ora c’è una spianata. C’è sempre una spianata nei luoghi dell’orrore. A Casale la Eternit aveva aperto nel 1907. L’avevano chiamata così, Eternit, perché quel miracoloso materiale che produceva pareva eterno, indistruttibile. Un mito di progresso, in quel primo Novecento, come il treno, l’automobile, la macchina per scrivere e quella per fotografare. I casalesi erano contenti. L’Eternit sembrava un salto di qualità della vita rispetto al lavoro nelle cave o nei campi. E poi pagava bene ed era un colosso. A un certo punto era arrivato fino a duemila dipendenti. Lavorare lì dentro sembrava un’assicurazione sulla vita. Si sapeva del pericolo? Di certo non ne sapevano nulla gli ingenui operai (ma che cosa contava, una volta, un operaio?) che tornando a casa prendevano subito in braccio i bambini prima ancora di togliersi le tute impolverate. Ma pare certo che «dall’altra parte» si sapeva. Già alla fine dell’Ottocento lo si era intuito. A metà del Novecento un medico lo aveva pure detto: chi respira la polvere d’amianto si ammala di cancro alla pleura. All’inizio degli Anni Sessanta gli scienziati lo stabilirono con certezza: ma la notizia venne tenuta nascosta, inutile dire perché. Chi ruppe il muro del silenzio? Fu la gente di Casale, per prima. Racconta l’ex operaio Nicola Pondrano che quando fu assunto, nel 1973, un fatto lo incuriosì subito: il frequentissimo cambiare dei manifesti funebri all’ingresso. Tutti operai - chi di 58, chi di 55, chi di 50, chi di 45 anni - e tutti ammalati di cancro alla pleura. Qualcuno cominciò a porre la questione in assemblea, e venne liquidato come «la solita testa calda». Ma c’erano pure i medici. All’ospedale cominciarono a fare statistiche e nel 1984 un primario annunciò: qui si muore più che altrove. Nel 1986 cento medici di Casale firmarono una lettera che diceva «ora basta». A fianco, durante la marcia, l’uomo che ebbe il coraggio di dire basta. Si chiama Riccardo Coppo, è stato sindaco democristiano di Casale dal 1984 al 1999. Nel 1987 ha firmato un’ordinanza con cui vietava l’estrazione, la produzione, la commercializzazione e l’utilizzo dell’amianto. «I legali erano molto dubbiosi sul fatto che un sindaco potesse prendere una decisione del genere. Ma dovevo dare un segnale forte alla popolazione. Ormai c’era rassegnazione, si era abituati a convivere con l’amianto. Si sapeva che si moriva ma sa com’è, spesso ci si tranquillizza pensando: perché dovrebbe capitare proprio a me? E poi molti temevano di perdere il posto di lavoro. Mi dicevano: signor sindaco, veniamo a casa sua a mangiare? Ho forzato la mano, ma dovevo farlo». Cinque anni dopo, nel 1992, l’ordinanza del sindaco di Casale è diventata una legge dello Stato italiano. Ma quanti caduti, fra coloro che hanno combattuto. Paolo Ferraris da assessore regionale ha fatto avere i soldi per la bonifica dell’area. Luisa Minazzi è stata assessore all’Ambiente di Casale. Sono morti tutti e due di mesotelioma: lui a 49 anni, lei a 54. Ogni anno a Casale ci sono 40-50 nuovi casi di mesotelioma. L’80 per cento dei nuovi malati non ha mai lavorato alla Eternit. Il mostro è stato sconfitto ma ogni tanto rispunta da chissà dove - un campo di calcio, un campo di bocce, un tubo, una tettoia - e continua a colpire.