Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2011  aprile 26 Martedì calendario

LA PRIMA VITTORIA DI CASSANO
L’EGOISTA AL SERVIZIO DEGLI ALTRI

Gliela passa lui, a Robinho: Antonio Cassano. In un sol colpo combina due cose: quella che sa fare meglio (confezionare un assist) e quella che non sapeva fare (vincere qualcosa). Nel gol che chiude il campionato c’è il segno di un giocatore che l’ha vissuto, tanto per cambiare, fuori da ogni regola. Un’annata straordinaria, la sua: si è sposato con una donna, ha divorziato da una squadra, ha avuto un figlio, ha rinnegato un padre (padrone), ha ritrovato la nazionale, ha perso la nazionale, è stato prigioniero in una stanza, è evaso, ha buttato la Champions, ha conquistato lo scudetto. Gioca con la maglia numero 99, niente di più simbolico per dire che gli manca, ancora e per sempre, qualcosa, e si è tutti stanchi di cercarlo. Cassano è piuccheimperfetto, è irritante, anche e soprattutto per se stesso, incoerente, ondivago, sbaglia in campo e fuori, ma come tutti i narcisi riconosce se stesso e il proprio destino nel momento estremo. Sbaglia gol facili, ma inventa il passaggio decisivo. Alla fine, bisogna ammetterlo: meglio trovarlo che perderlo. Nel dubbio, chiedere alla Samp e a tutti gli attaccanti che non l’hanno più avuto al fianco e sono spariti.

Le prime punte raggiungono la definizione, perfino umana e psicologica, nel gol. Cassano, nell’assist. In quel momento esce da sé, uccide l’egoista bambino e si fa uomo. Nei campetti di Bari Vecchia, consapevole di poter vincere da solo, si metteva sempre in squadra un ragazzino di nome Nicola, detto Tovalieri, che nessuno voleva. Era poliomielitico. Cassano scartava gli avversari e gli serviva la palla da depositare in rete. A Roma lo spogliatoio lo accusò perché in allenamento si faceva beffe del buon Tommasi, reduce da un lungo infortunio. Lo superava con un tunnel, lo chiamava "poliomielitico". Quando Tommasi tornò in campo segnò al primo minuto. Su assist di Cassano. Dentro di lui c’è un istinto di generosità che soffoca in favore di una malacreanza scambiata per ribellione, come scambia un collo di pelliccia sul giubbotto di jeans per un tocco d’eleganza. Eppure lui è quella cosa lì: uno che serve, in tutti i possibili sensi. Occorre, mette a disposizione.

Nella classifica degli assist è secondo di un solo punto dietro Ibrahimovic, che ha giocato molto più di lui. Al Milan ne ha fatti sette, partendo spesso dalla panchina. L’ultimo è stato perfetto e ferale. Ha ammazzato le folli speranze altrui e l’immagine di un uomo che non fa mai la cosa giusta e di un giocatore che non vince. Fin qui Cassano era quello delle prestazioni superflue: il migliore in campo di una inutile vittoria agli Europei contro la Bulgaria, seguita da lacrime per l’eliminazione; il motore di una splendida Samp che va in Champions per suicidarsi ai preliminari; ben che vada la comparsa nel trionfo in Liga del Real Madrid. Stavolta sale, a buon diritto, sul carro dei vincitori. C’è del suo nello scudetto del Milan. Per farne parte ha ucciso il proprio passato: simbolico il gol del pareggio contro il suo (la sua) Bari. Non è più quello che prenotava il Pallone d’oro dopo un golletto ai turchi poi sbagliava il rigore a Belgrado. E’ uno che ha smesso di sognare in grande, dà la palla a Robinho e sta a guardare.

Chiedersi adesso se è finalmente maturo, a ventott’anni, ha la valenza delle discussioni sui post-comunisti e i post fascisti: uno è quel che è, poi la storia lo trascina avanti. All’inizio della stagione una stampa che è il riflesso di un Paese fondamentalmente bigotto ne ha annunciato la conversione in quanto marito e futuro padre. Poi l’ha scaricato dopo la lite con il presidente Garrone. C’è un solo modo per valutare le separazioni: non chi ha ragione, ma chi è più felice dopo. Garrone è a un passo dalla B, Cassano dallo scudetto. Poteva affondare a Bari o in Qatar, ha fatto l’autostop e l’ha caricato una Jaguar. E’ cambiato? Oddio, il dibattito no! Sono cambiate le condizioni intorno a lui. La storia è andata avanti e invece di calciarlo di lato lo ha sospinto a carezze. Continuare ad aspettarsi la sua riconoscenza, per Galliani, Prandelli o chiunque altro è un esercizio di scarso stile. Piuttosto uno si aspetta che: dopo aver litigato con mezzo mondo, picchi finalmente il suo acconciatore e, dopo aver insultato la Sensi e Garrone, faccia lo stesso con il nuovo dante causa diventando l’idolo della sinistra.

Da ormai una decina d’anni Cassano è un fenomeno sopravvalutato. E’ l’unico ad aver scritto un libro e dichiarato di aver avuto settecento donne pur non essendo George Simenon, ma avendo la stessa vocazione autodistruttiva dei suoi personaggi. Poiché al dunque non l’ha seguita, ma si è cucito il tricolore sul petto rossonero, la sua epica è finita. Nel futuro plausibile non ci sono più colpi di testa, ma soltanto ben calibrati servizi.