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 2011  aprile 26 Martedì calendario

L’ULTIMO TASTO

Tenetevela stretta, la vostra macchina per scrivere regalata da padri, nonni o fidanzate con il vezzo del vintage. Perché da oggi la cara typewriter ha smesso di essere costruita.
Ebbene sì, il giorno temuto da milioni di fan e nostalgici è infine arrivato. Niente più nuove macchine per scrivere: i giochi sono fatti. Chi ne aveva una, l’avrà. Per tutti gli altri, rimangono soltanto i mercatini delle pulci e le aste su eBay.
LA RESA DI GODREJ & BOYCE. L’ultima fabbrica che ancora assemblava questi splendidi oggetti, l’indiana Godrej and Boyce, con sede a Mumbai, ha infatti annunciato la chiusura dello stabilimento. «Non riceviamo più abbastanza ordini» è stato il desolato commento di Milind Dukle, direttore generale dell’azienda, a un reporter dell’India’s Business Standard.
Fuori moda e sorpassata dal computer, la cara vecchia typewriter era diventata già da molti anni un oggetto per amanti e appassionati. Ma aveva resistito nello sterminato subcontinente indiano, dove la stragrande maggioranza del miliardo e rotti di abitanti del Paese non poteva permettersi diavolerie elettroniche. Un’isola felice del nastro e dei tasti, del ticchettio rumoroso e seducente della macchina per scrivere, che non necessita di nulla se non di un paio di mani, inchiostro, carta e, ovviamente, di un testo da mettere nero su bianco.
DECLINO INDIANO. Ma negli ultimi dieci anni, col boom economico della Shining India, sempre più indiani hanno acquistato o avuto accesso a un computer. In Bangalore, dopo lo spauracchio del Millennium bug e il conseguente impiego di centinaia di tecnici informatici indiani da parte delle aziende statunitensi, si è addirittura creata una sorta di Silicon valley indiana, un distretto tecnologico all’avanguardia nella produzione di hardware e software. E anche l’ultima isola felice della macchina da scrivere è affondata, travolta dalla marea del progresso tecnologico e digitale.
Tre secoli di storia gloriosa

Il maestro del giornalismo italiano Indro Montanelli, con la sua inseparabile Lettera22.

Così l’arte di assemblare macchine per scrivere non è arrivata al 2043, anno entro cui secondo la predizione di uno studioso americano il digitale avrà definitivamente soppiantato il cartaceo nell’editoria. Una profezia che dà il nome al nostro giornale, che d’altro canto omaggia proprio la leggendaria Lettera 22, la macchina da scrivere prediletta di Indro Montanelli. Un pezzo da museo che però, insieme alle miriadi di altri modelli che hanno visto la luce nell’arco di tre secoli (guarda la photogallery delle typewriter più celebri), ha fatto la storia del nostro mestiere e della vita collettiva.
DAL 1.700 AGLI ANNI ’50. Un pioneristico prototipo di macchina per scrivere era stato realizzato già nel remoto 1714 da Henry Mill.
Ma per la prima typewriter destinata al commercio di massa l’umanità ho dovuto attendere fino al 1868. Quando Christopher Latham Sholes, stampatore ed editore di Milwaukee, nel Wisconsin, ne depositò il brevetto, consegnando alla Storia un oggetto mitico.
Il secolo della macchina per scrivere è stato però il 20esimo. L’età dell’oro risale agli anni Cinquanta: nell’ultimo trimestre del 1953, l’anno di pubblicazione in Gran Bretagna del primo romanzo di James Bond, Casino Royale di Ian Fleming, furono venduti la bellezza di 12 milioni esemplari della leggendaria Smith-Corona. Fu il punto più alto, nelle vendite e nella diffusione. Poi arrivarono gli anni ’80 e i primi personal computer, il Macintosh nel 1984. Da quel momento, il fascino della macchina per scrivere ha ceduto il passo alle sue palesi, e tuttavia seducenti, mancanze di funzionalità. E le vendite sono crollate, fino al giro di boa del nuovo millennio, che ha di fatto battuto la parola “fine” alla cavalcata nell’immaginario collettivo.
L’eccezione delle typewriter per carcerati

Nessuna storia come si deve, tuttavia, si fa mancare un’eccezione. È così anche per la defunta macchina per scrivere, che pare resista ancora in qualche angolo di mondo secondo una modalità alquanto particolare.
LE TYPEWRITER PER CARCERATI. In risposta ai gemiti degli hipster di mezzo mondo, ventenni e trentenni che per il vezzo di andare controcorrente hanno alimentato negli ultimi anni un discreto mercato di nicchia delle macchine per scrivere, giudicate da questa sottocultura assai più cool del classico computer portatile, Gawker ha parzialmente contraddetto l’annuncio mortuario rilanciato da blog e social network di tutto il mondo.
Nell’articolo Relax, they’re still making typewriters! Seth Abramovitch ha riportato le parole di Ed Michael, responsabile delle vendite della Swintec, un’azienda di Moonachie, nel New Jersey. «Altro che morta! Abbiamo aziende in Cina, Giappone e Indonesia che assemblano per noi svariate typewriters. La Swintec ha accordi con carceri di 43 Stati americani, a cui forniamo macchine per scrivere per i detenuti».
Il vantaggio è che sono realizzate in modo da rendere impossibile nasconderci dentro una limetta o altri oggetti illeciti, come sembra accada spesso invece nei MacBook e nei laptop portati ai carcerati da famiglie e amici.
FEEL FREE TO SAY GOODBYE. Sta di fatto che l’ultima azienda produttrice di macchine per scrivere per il mercato di massa ha chiuso i battenti. E dunque, eccezioni a parte, ognuno di noi da oggi è libero di lasciare il proprio malinconico post d’addio alla typewriter su facebook, twitter e simili, magari caricando la foto della propria prediletta. Sempre che non siate dei detenuti americani, beninteso.

Martedì, 26 Aprile 2011