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 2011  aprile 24 Domenica calendario

Biografia di Camillo Prampolini

Nell’aprile del 1959, in occasione del centenario della nascita di Camillo Prampolini, l’Avanti, quotidiano del Psi, condusse una serie di interviste a vecchi socialisti reggiani che avevano conosciuto il vecchio maestro. Uno di loro, Alessandro Mazzoli, che era stato presidente della Deputazione provinciale prima del fascismo, ricordò che Prampolini, una volta, dopo un comizio a Gualtieri, comune della Bassa reggiana, concluse il suo discorso con un “Io vi benedico”. E quando lo stesso Mazzoli, assieme al padre della cooperazione Antonio Vergnanini, era esule in Svizzera, colpiti entrambi dai provvedimenti repressivi di Crispi, Prampolini li andava a trovare proprio il giorno di Natale “portando un’atmosfera cordiale”. Giovanni Catellani, che era stato assessore socialista nel Comune di Reggio negli anni dieci, disse che Prampolini era considerato “Il Dio dei poveri” e Beniamino Chinca, militante socialista di Sant’Ilario dichiarò: “Quando era alla Camera (Prampolini) andava a mangiare cogli operai nelle osterie. Ricordo l’effetto che provocò la sua Predica di Natale”. Meuccio Ruini, già deputato, senatore, ministro e per un breve periodo anche presidente del Senato, in una lettera del 1976 allo storico reggiano Giorgio Boccolari rileva: “Reggio era definita l’Arca santa del riformismo”. E su “Critica sociale” del 1907, molto tempo prima, aveva ricordato: “Reggio è un’oasi mistica ai piedi di un santone” e che “andare a Reggio significava andare nella Palestina del socialismo italiano”. Prampolini era dunque una figura religiosa, forse non si considerava un Gesù, aveva un senso del limite, ma certo un seguace di un nuovo vangelo, quello socialista, impegnato a diffonderlo in una realtà prevalentemente contadina. Con un linguaggio dunque semplice e diretto, che certo aveva desunto da quello cristiano, più che non dai testi del socialismo scientifico. (Mauro Del Bue, Predica di Natale di Camillo Prampolini) Difficile immaginare il socialismo reggiano senza la propaganda scritta. Prampolini fu giornalista, ma fu anche agitatore. Nelle campagne, ove teneva i suoi discorsi dinanzi alle stalle coi braccianti e i bovari che ascoltavano parole di speranza e anche laddove come a Canolo, ove venne preso a sassate. E dove tornerà più tardi per trionfare. È importante ricordare il contraddittorio con Romolo Murri al Politeama Ariosto del 1901. L’evento merita di essere situato oltre che in rapporto all’azione di propaganda socialista all’interno anche di un nuovo disegno di settori del mondo cristiano. I cronisti si sono soffermati a registrare il grande numero di persone che assiepò il teatro, parlando di 5000 persone. Taluno si soffermò a notare che Murri preso dall’euforia dell’evento chiedesse se Prampolini era davvero un socialista e Prampolini di rimando si chiedesse se Murri fosse davvero un prete. Al contraddittorio erano presenti anche preti che poco dopo dettero vita ad un gruppo “La giovan Italia” che nel 1904 confluirà nella «Plebe». Significativo fu il comizio-contraddittorio di don Romolo Murri e la replica a Prampolini. Dopo il dibattito Murri scrive a Prampolini: «Non vi lasceremo in mano la buona causa, la causa del proletariato». Con l’occasione i socialisti cercano di conciliare l’avversione alla proprietà, mobilitando i braccianti con l’anelito verso la proprietà della terra che anima i mezzadri e i piccoli coldiretti. La strada del socialismo riformatore e quella del movimento democratico cristiano si incontravano sullo stesso terreno e ci sono i tentativi di intesa ma resta insuperato l’ostacolo dell’anticlericalismo. E poco prima a Genova al congresso di fondazione del partito Prampolini aveva invitato gli anarchici ad andarsene. E soprattutto alla Camera nel 1902, quando Con gli scritti e con la parola si persuase che la fede secolare a cui erano avvinte le plebi era una forza non già da combattere ma da ricondurre al suo significato originario di “sete di Giustizia” rivendicando quindi al socialismo il nucleo essenziale del messaggio di Cristo che è appunto un messaggio di redenzione umana. In primavera del 1882 collabora a «Lo scamiciato» fondato nel 1882, il periodico riassumeva nella redazione sia la tendenza anarchica sia quella socialista. Il giornale viene scomunicato dal vescovo Rocca. Prampolini gli replica con la firma Eros. Ritorna su temi che erano stati al centro della sua tesi di laurea. Il giovane Camillo, che aveva desunto il sentimento religioso dalla madre, cattolica, frequentato le scuole private e avvertito l’influsso di un insegnante come don Gaetano Chierici che fu anche direttore dei civici musei reggiani e patriota liberale, ne farà le spese. Rispose, a suo modo, rivolgendosi al vescovo Mons. Rocca in questi termini: «Prete Rocca, ci vuol altro che scomuniche. Noi siamo più cristiani di voi, perché Cristo fu più socialista che prete. Cristo è il popolano ribelle che tuona contro l’ingiusta oppressione dei ricchi e mostra l’ipocrisia dei preti». Siamo nel 1882, quindici anni prima de La predica di Natale, che viene così autorevolmente anticipata nei contenuti. La verità è che la sfida religiosa socialista prampoliniana va ben oltre la critica alla Chiesa, rea di legittimare strutture ingiuste. Prampolini dopo aver contrapposto la spiritualità e l’interiorità evangelica al formalismo e alla esteriorità delle pratiche di culto cattolico poneva in evidenza la convergenza tra socialismo come vero erede del cristianesimo. Conservatori non sono soltanto i signori, lo sono anche i poveri. Le radici di tali contraddizioni affondano e si nutrono nello stesso servilismo degli oppressi. Bisognava pertanto riscattare la carica liberatrice del cristianesimo deviato in una torbida acquiescenza all’ingiustizia e allo sfruttamento. Prampolini che sarà eletto deputato a Guastalla nel 1892 e poi a Reggio Emilia nel 1895, si rende conto che la dimensione oracolare e veritativa del modo di parlare di un clero presente fra i ceti operai e contadini richiede un linguaggio di pari livello e si smarca per questo da due gruppi anarchici, come lui stesso dichiara, con un linguaggio semplice e diretto, di sapore cristiano che certo aveva desunto non dai testi del socialismo scientifico. Nonostante la secolarizzazione e la forte disaffezione dalla pratica religiosa, riteneva che fosse utile appellarsi alle spiegazioni cristiane. La sua Predica di Natale è riassunta in un articolo che Prampolini scrisse su “La Giustizia”, periodico socialista che diverrà anche quotidiano, a partire dal 1904, diretto da Giovanni Zibordi. In esso Prampolini immagina che un predicatore socialista tenga un discorso, magari su un carro, dinnanzi a una Chiesa il giorno di Natale e arringhi i fedeli dimostrando loro essenzialmente due cose. La prima è che Cristo non voleva l’ingiustizia in questo mondo e che incitava a battersi per l’eguaglianza, la seconda è che la Chiesa non stava insegnando tutto questo, ma postulava l’etica della rassegnazione. La rassegnazione, a fronte di un mondo in cui dominavano la povertà e l’ingiustizia, la rassegnazione non poteva essere una ricetta intimamente “cristiana”. Soprattutto da parte di una Chiesa che continuava a stare dalla parte dei potenti e dei ricchi e a celebrare la sua dottrina solo attraverso riti e cerimonie che poco o nulla avevano a che fare con il più genuino messaggio di Cristo. Naturalmente, Prampolini piegava a sé il messaggio cristiano. O quanto meno ne traeva quel che poteva facilitarne la conseguenza. E cioè che i cristiani veri dovevano diventare socialisti. Su temi analoghi ritorna con diversi opuscoli: Cristo e i preti, Ignoranza e malafede, La vera religione, La dottrina di Cristo e quella dei preti. La Chiesa del tempo si mobilitò contro questo Cristo socialista. E don Ercole Bedeschi scrisse una vera e propria anti-predica prampoliniana. Il prete reggiano, in un opuscolo edito all’uopo, descrisse i cinque errori fondamentali in cui Prampolini era incorso. Il primo consisteva nel ritenere Cristo un uomo e non il figlio di Dio; il secondo era di aver contrapposto sul piano materiale i ricchi e i poveri ed esaltato la lotta di classe, il terzo era di aver negato il regno dei cieli e di aver considerato la felicità solo come bene materiale, il quarto era di aver negato valore ai riti cristiani e il quinto di avere voluto scambiare il regno di Dio col socialismo. Erano evidenti le semplificazioni e anche le alterazioni del messaggio cristiano compiute da Prampolini, ma era altresì vero che le contraddizioni della Chiesa del tempo, insensibile al tema della giustizia in una società così contrassegnata dalle disuguaglianze, erano ben superiori rispetto a quelle apportate dal messaggio prampoliniano. Poi una nuova scomunica fu emessa nel 1901 da mons. Manicardi nei confronti della «Giustizia». Se quest’atto evidenzia lo stato del conflitto verso il socialismo prampoliniano, allo stesso tempo mostra gli effetti controproducenti che produsse: infatti il giornale passò da poco più di 6mila copie alle oltre 8mila. In fondo la guerra della Chiesa verso il socialismo di Prampolini derivava proprio dal fatto che il leader socialista usava lo stesso linguaggio della Chiesa, e ne copiava le tecniche imitandone perfino l’organizzazione. Prampolini usava il comizio come una messa, il linguaggio era spesso intriso di parabole e di citazioni di Cristo, il giornale si contrapponeva a quelli cattolici (se la vecchia «Italia centrale», quotidiano monarchico reggiano, era per i redattori della «Giustizia» la nonna, l’«Azione cattolica», settimanale della Chiesa reggiana, era definita la zia) e in ogni parrocchia doveva esserci una sezione del partito. Per di più Prampolini si era permesso di fare una Predica di Natale sovrapponendosi alle prediche natalizie di tanti preti. Bestemmia vera e propria? Eppure il rapporto di Prampolini con l’etica cristiana era profondo. Egli aveva sempre mantenuto un sentimento di avversione per ogni forma di violenza. Aveva rifiutato di battersi in duello, dopo un duello, l’unico che aveva accettato da giovane, e che si era concluso con un leggero ferimento dell’avversario, nonostante le richieste dei padrini e le umiliazioni inferte a lui, sostenendo che «la ragione e il torto non possono essere affidate a un colpo di sciabola per il più delle volte inoffensivo». Giustificazione razionale e illuminista, contraria a tutte le superstizioni del tempo. Il suo messaggio venne definito «la lotta senz’odio» e di questo si può trovar traccia già nella manchette di prima pagina de «La Giustizia», dove si propone una lotta non contro la classe dei ricchi ma per un riforma sociale che ponga le basi per una ricchezza collettiva. La sua non è cruda lotta di classe, come sostiene erroneamente don Bedeschi, dunque, ma lotta senz’odio per una società di esseri liberi ed uguali. Prampolini tuttavia non si limita agli attacchi. In un altro opuscolo La dottrina di Cristo e quella dei preti scrive: «Checché ne dicano i preti, i quali vituperarono e perseguitarono sempre e seguitano ancora a vituperare chi lotta per la giustizia, il pensiero dominante di Cristo fu precisamente l’uguaglianza fra gli uomini. Cristo non fu e non poteva essere socialista nel senso esatto e moderno della parola, perché il collettivismo era inconcepibile quasi duemila anni prima che sorgesse la grande industria, madre dell’odierno movimento proletario. Ma egli pure, come noi, ebbe vivissimo il sentimento dell’uguaglianza umana e volle che gli uomini vivessero da uguali e da fratelli. E poiché a quei tempi ciò non appariva possibile che in una forma di comunismo, egli fu certamente comunista. Più avanti, in un serrato scontro con un fantomatico “chiericotto di Boretto” scrive: …voi e coloro che vi somigliano siete veramente indegni di pronunciare il nome di Gesù. Siete voi veri bestemmiatori di lui. Più avanti conclude: In un solo punto voi avete ragione … quando osservate che la Chiesa cattolica non può aver timore di uomini come Camillo Prampolini. Questo è vero purtroppo … Ma attento ... perché è pur vero che ciò che muove Prampolini e che muove con lui milioni di uomini verso un migliore avvenire, è qualche cosa che è assai più forte della Chiesa 9 C. Prampolini, La dottrina di Cristo e quella dei preti (dopo la ‘predica di Natale’), Reggio Emilia, Tipografia Operaia, 1901 (Biblioteca della «Giustizia»), p. 6 10 Ibidem, p. 8 CAMILLO PRAMPOLINI E LA “QUESTIONE RELIGIOSA” 47 In appendice Prampolini riportava brani tratti dai padri della Chiesa, da S. Paolo, da scrittori come Tolstoi sulla dottrina di Cristo, che dallo scrittore russo veniva considerata per lo meno in una forma differente «dalla forma pervertita e paganizzata che questa dottrina rivestì più tardi». Nel 1901 assume rilievo un singolare dialogo fra un contadino ed un socialista (Ignoranza e malafede. Dove un socialista difende un prete mangia–socialisti). L’antefatto. Nel 1889 il Prampolini si trova a Canolo di Correggio per un comizio, ma è costretto a desistere anche per l’intervento del parroco locale. A distanza di mesi ne fa oggetto di un commento-dialogo. Ad un certo punto del dialogo fra un contadino ed un socialista, il socialista osserva: Un contadino, un operaio, chiunque insomma appartiene a quella classe proletaria che soffre i maggiori danni della presente organizzazione sociale, è naturalmente disposto a desiderare una società migliore di questa nella quale egli sta male… Noi siamo profondamente convinti che si debba seguire la via dell’organizzazione dei lavoratori ... per la progressiva eliminazione dello sfruttamento capitalistico. L’opera propagandistica di Prampolini è infaticabile e nel 1901 pubblica anche un altro opuscolo dal titolo Cristo e i preti a firma però di un fantomatico ‘Boaro’. Egli scrive: Pur vivendo … in una stalla delle campagne ferraresi ... la domenica si rinchiude fra le sue bestie, legge e medita lungamente. Durante una di queste lunghe meditazioni concluse che dai nostri giornali di propaganda non era stata mai stampata una confutazione così brillante e suggestiva di tutte le fole pretesche come quella che gli era capitata sotto gli occhi, leggendo alcuni numeri della Giustizia. Il ‘boaro’ avanza alcuni punti che a suo parere costituiscono l’asse della predicazione di Cristo disattesi, purtroppo, dalla chiesa. In tale quadro Dio non prevede, mediatori, il culto cattolico è la negazione del pensiero di Cristo. Se Cristo risorgesse troverebbe che la sua parola non è stata ascoltata e che si prosegue a fare ciò che facevano i farisei ed i pagani. Del resto, aggiunge, non c’è giornale clericale che non ingiuri grossolanamente gli ebrei. Oggi moltissimi nascono cattolici e figurano come tali nei censimenti ma sono gli stessi preti a piangere dai pulpiti che oggi non c’è più religione. Bisogna però tener conto che ci sono dei preti come l’abbè Daens che approdano al socialismo. Anche in Italia ci sono preti cattolici più giovani ed animati dal senso cristiano della giustizia sociale. E sfidando chi non lo crede, lo stesso ‘boaro’ (alias Prampolini) afferma: «Se voi reverendi, la pensate diversamente gli è perché voi siete cristiani quanto noi siamo turchi!». Con questa affermazione provocatoria ritorna al punto centrale del rapporto, al contrasto fra Cristo che lotta controle ingiustizie e i preti che invece le difendono. Senza dirlo però Prampolini probabilmente pensava ai preti della «Plebe», almeno ad alcuni in particolare. Il messaggio prampoliniano è attraversato da un forte pathos di fratellanza e di socialità, spinge sul piano operativo ad uscire dal proprio individualismo. Lo spirito associativo predicato da Prampolini induce a dare grande impulso alla cooperazione come preambolo del collettivismo che si sarebbe imposto sull’economia privata per la sua superiorità tecnica e morale. Tale “illusione” condusse i cooperatori reggiani, e con essi Prampolini a trincerarsi nella loro isola di relativa prosperità e quindi a ignorare o a sottovalutare il problema della unità di classe che non fosse solo una realtà di alcuni luoghi ma si potesse estendere ai lavoratori di tutto il paese. A spingerlo verso un tale approdo bisogna considerare la sua disinteressata inclinazione alla ricerca scientifica delle verità che erano proposte dallo spirito del tempo. E alla sperimentazione. Così come la natura anche la storia ubbidisce alle leggi evolutive che le sono immanenti e che le scienze sociali si propongono di scoprire e di codificare. (Solo più tardi con Arturo Labriola, l’interpretazione positivistica del divenire storico, verrà corretta e integrata. Si pensi anche ai canoni della dialettica marxista per cui non l’uomo nella sua struttura psichica, ma l’uomo che lavora e produce, quindi i mezzi e i rapporti di produzione, saranno al centro della dinamica storica). Per quanto articolata in vari altri messaggi, la predicazione prampoliniana viene accolta con entusiasmo dagli ambienti socialisti che ne apprezzano i contenuti evangelici. Reagisce violentemente il clero per la manipolazione che si fa del messaggio di Gesù. Quando la polemica si fece forte, tra il 1904 e il 1905, contro lo schieramento avverso che a Reggio aveva ottenuto la maggioranza, non vennero mai meno da parte sua il rispetto e la stima per alcuni avversari, uno su tutti, Giuseppe Menada, il leader di quella che venne spregiativamente definita ‘La grande armata’, e con lui continuò a collaborare dalla presidenza della locale Cassa di Risparmio, e così in seguito, quando la polemica si fece intransigente nei confronti degli interventisti (ci sono lettere toccanti su questo argomento tra lui e Pietro Petrazzani che aveva perso un figlio in guerra) e poi quando la polemica interna dei comunisti e dei massimalisti si fece ruvida (verso di lui fu durissimo il giudizio di Antonio Gramsci che definì i riformisti reggiani pressappoco “utiliidioti”), non ci sono segni vistosi di mancanza di rispetto verso il contendente. Arnaldo Nesti, Camillo Prampolini e la “questione religiosa” a Reggio Emilia in L’Almanacco n. 54, dicembre 2009 Mentre la mobilitazione antisocialista grazie alla costituzione nel dicembre del 1900 dell’Ufficio di Propaganda Cattolica si poteva avvalere di nuovi strumenti organizzativi [42], la polemica innescata dalla «famigerata» [43] Predica di Natale si inasprì nel gennaio del 1901 a seguito della scomunica da parte del vescovo Vincenzo Cottafavi (recte: Manicardi?) della «Giustizia», un giornale «più sollecito di combattere la Religione che di propugnare un programma economico, [che] di proposito e replicatamente negò o pose in dubbio l’esistenza di Dio, negò la divinità di G.C., la divina ispirazione delle Sacre Scritture, l’autorità della Chiesa e del suo Capo, il Santo Sacrificio della Messa, i Sacramenti, il culto della Vergine e dei Santi, eccitando al disprezzo delle persone investite dell’autorità religiosa» [44]. La polemica raggiunse il culmine nella primavera del 1901 con l’affollato contraddittorio al politeama ‘Ariosto’ tra Prampolini e tre sacerdoti (il parroco modenese don Umberto Guarco, il bolognese don Filiberto Mariani e il leader dei democratici cristiani Romolo Murri) [45], un dibattito destinato a segnare una svolta all’interno della diffusa pratica dei confronti pubblici tra cattolici e socialisti d’inizio Novecento [46]. Se dunque nel passaggio tra i due secoli la Predica di Natale suscitò nel reggiano una accesa reazione al tentativo di sottrarre la figura di Cristo al ‘monopolio’ cattolico da parte dei «mistificatori e sfruttatori della ingenuità popolare» [47], agli albori del Novecento il dibattito perse gradualmente di intensità e vigore per poi spegnersi alla vigilia della Grande Guerra. Tuttavia il testo prampoliniano continuò a far sentire i suoi effetti ancora diversi anni dopo la sua pubblicazione, destando passioni, condanne e rinfocolando polemiche che parevano superate. In effetti, senza soffermarsi sulle risonanze della predica prampoliniana all’interno del nucleo dei ‘radicali cristiani’ raccolti attorno al giornale «La Plebe» [48], l’appello a riscoprire l’essenza del cristianesimo risalendo direttamente a Cristo per certi aspetti sembrava presentare delle assonanze con quelle correnti moderniste volte a privilegiare la cristologia sull’ecclesiologia. In ogni caso, sul versante cattolico ufficiale la risposta più argomentata al testo prampoliniano venne da don Ercole Bedeschi, un sacerdote che fin dall’inizio del secolo si era distinto nella propaganda antisocialista andando «di stalla in stalla, tra i contadini di Cadelbosco Sopra a commentare gli scritti di Leone XIII, del Toniolo, del Bonomelli» [49]; nella sua opera di proselitismo l’energico curato non mancò di entrare in disputa direttamente con il deputato socialista dapprima attraverso una lettera aperta [50] e poi con una articolata confutazione della Predica di Natale pubblicata tra il 1905 ed il 1906 sull’«Azione Cattolica» [51]. A seguito della particolare fortuna che incontrò nel primo dopoguerra la pubblicazione di una nuova edizione della Predica di Natale [52], don Bedeschi, dopo aver sfidato Prampolini a difendere in contraddittorio la predica sottoponendola «allo studio e all’esame di dieci scienziati», ripubblicò sotto forma di pamphlet gli articoli con il titolo La Predica del Natale dell’on. Prampolini ossia un documento di ignoranza o di malafede [53]. La confutazione, retoricamente efficace, intendeva delegittimare la predica prampoliniana a partire dalla riproposizione dell’accusa – già ricorrente nella pubblicistica di f ine secolo – dell’inconsistenza storica delle asserzioni prampoliniane sul primo cristianesimo. Ad esempio, replicando alle «gratuite affermazioni» sulla «messa invenzione dei preti che risale al tempo di Costantino», sulla scorta di un minuzioso e circostanziato supporto documentario attinto dalla tradizione patristica, l’attento censore del testo prampoliniano giungeva a sfidare apertamente il leader socialista: dopo che documenti e monumenti d’una autorità storica ineccepibile anteriori alla pace costantiniana ci parlano, non soltanto dell’esistenza del sacramento e del sacrificio eucaristico, ma perfino delle cerimonie antecedenti, concomitanti e conseguenti come insegnate «noi sappiamo che il regno di Dio deve avverarsi sulla terra, e noi sappiamo ancora che questo regno di Dio, predicato e voluto da Cristo, ha i suoi fondamenti nell’attuazione della giustizia, nell’elevazione degli umili, delle plebi, e la nostra fede ci assicura che tutto avverrà se noi contribuiremo colle nostre forze ad affrettarlo» (La nostra fede, in «La Plebe», 21/5/1905). Sulla parabola politica del gruppo dei socialisti cristiani raccolto intorno al giornale «La Plebe» cfr., tra i vari studi disponibili, F. Manzotti, I plebei cattolici fra integralismo e modernismo sociale, in «Convivium», n. 4 (1958), pp. 410-431; F. Boiardi, La collaborazione fra cattolici e socialisti sognata dai radicali cristiani all’inizio del secolo, in U. Bellocchi (a cura di), Reggio Emilia. Vicende e protagonisti, Edison, Bologna 1970, vol. II, pp. 116-123; S. Spreaf ico, La Chiesa di Reggio Emilia tra antichi e nuovi regimi, cit., vol. II, pp. 613-615; S. Arduini, Don Luigi Bocconi: dalla democrazia cristiana di inizio secolo al fascismo, in «Ricerche Storiche», 90 (2001), pp. 25-44. [49] Cfr. Spreaf ico, La Chiesa di Reggio Emilia tra antichi e nuovi regimi, cit., vol. II, p. 503. [50] La lettera del sacerdote di Cadelbosco venne pubblicata su «L’Azione Cattolica» del 7-8/12/1901. [51] Prampolini recita la sua predica di Natale, in «L’Azione Cattolica», 13/12/1905; 22/12/1905; 29/12/1905; 5/1/1906; 12/1/1906; 19/1/1906; 26/1/1906; 2/2/1906; 9/2/1906; 16/2/1906. [52] Cfr. C. Prampolini, La predica del Natale. (Dedicato alle donne cattoliche), seconda edizione, Cooperativa per la diffusione della Stampa Socialista, Reggio Emilia 1919. [53] E. Bedeschi, La Predica del Natale dell’on. Prampolini, ossia un documento di ignoranza o di malafede, Chelucci e F igli, Scandiano 1920. [A. Ferraboschi Il cattolicesimo reggiano e la mobilitazione antisocialista]. Nota 44 La condanna della Giustizia, in «Azione Cattolica», 26-27/1/1901; l’innesco della scomunica fu il dibattito scaturito dalla Predica di Natale; infatti, la scomunica fu comminata a seguito della pubblicazione da parte del giornale socialista di un articolo (in seguito pubblicato sotto forma di opuscolo con il titolo La dottrina di Cristo e quella dei preti) che intendeva replicare ad un intervento pubblicato sul periodico cattolico guastallese «Il popolo» nel quale si attaccava la Predica di Natale, cfr. La condanna della Giustizia, in «L’Azione Cattolica», 26-27/1/1901; sulle ripercussioni della condanna del giornale socialista, «la cui scomunica vale un’aureola [dal momento che] le copie passano da 6.700 nel febbraio a 8.200 nell’aprile a 10.300 nel maggio 1901». Spreafico, La Chiesa di Reggio Emilia tra antichi e nuovi regimi, cit., vol. II, p. 501. Nota 46 Secondo Lorenzo Bedeschi, il contraddittorio reggiano segnò il passaggio «dallo scontro frontale, in genere imbastito quasi esclusivamente di plateali accuse e volgari insulti vicendevoli basati in gran parte anche sulla reciproca conoscenza oltreché su retaggi dogmatici, […] al confronto dei rispettivi programmi concretamente rapportati alla nuova realtà sociale della proletarizzazione moderna con una certa serietà d’analisi e un progressivo aggiornamento culturale sia nell’una che nell’altra parte». L. Bedeschi, Il comizio-contraddittorio del 1901 con