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 2011  aprile 21 Giovedì calendario

Erano da poco passate le ore 8 del mattino di quel caldo lunedì 27 settembre 1915, ed un forte boato scuote la città

Erano da poco passate le ore 8 del mattino di quel caldo lunedì 27 settembre 1915, ed un forte boato scuote la città. Sulla corazzata Benedetto Brin, ormeggiata nel porto medio (in prossimità della spiaggia di Marimist), esplode il deposito di munizioni e un forte incendio si sviluppa su tutta la nave, che affonda in poco tempo. Teodoro Andriani [1] riporta la testimonianza di Fausto Leva, alto ufficiale della Marina: "nel fumo densosi distinse per un momento la massa d’acciaio della torre poppiera dei cannoni da 305 mm, che lanciata in aria dalla forza dell’eplosione fino a metà della colonna, ricadde poi violentemente in mare, sul fianco sinistro della nave. Pochi momenti dopo, dissipato il nembo del fumo, lo scafo della B.Brin fu veduto appoggiare senza sbandamento sul fondo di dieci metri e scendere ancora lentamente, formandosi un letto nel fango molle. Mentre la prora poco danneggiata si nascondeva sotto l’acqua che arrivava a lambire i cannoni da 152 della batteria, la parte poppiera completamente sommersa appariva sconvolta e ridotta ad un ammasso di rottami. Caduto il fumaiolo e l’albero di poppa, si erge ancora dritto e verticale l’albero di trinchetto." Si intuisce dal racconto come i gas dell’esplosione, seguendo la direzione di minore resistenza, si siano fortunatamente diretti verso l’alto anzichè espandersi lateralmente e causare gravi danni alle navi vicine: la Giulio Cesare, la Dante Alighieri, la Leonardo Da Vinci, la Nino Bixio, l’Emanuele Filiberto, la Saint Bon e la Regina Margherita. La nave si incendia e si adagia sul fondale del porto. In secondo piano la corazzata gemella Regina Margherita Sui 943 uomini che dell’equipaggio 456 furono i morti, tra loro il CV Gino Fara Fondi e il contrammiraglio Ernesto Rubin de Cervin, rispettivamente comandante della corazzata e comandante della divisione navale insieme ad altri 21 ufficiali, quasi tutti riuniti a rapporto nel quadrato di poppa o in servizio nelle sale macchine, solo 8 ufficiali risultarono superstiti. Ben 369 uomini risultarono irriconoscibili o scomparsi. I funerali delle prime salme recuperate ebbero luogo il giorno successivo alle ore 16, le spoglie dei marinai furonoi seppellite in un’area cimiteriale messa a disposizione dal Comune, che indisse 3 giorni di lutto cittadino. Tantissimi i feriti, soccorsi immediatamente dai marinai italiani e francesi e trasportati con i rimorchiatori e le imbarcazioni nelle infermerie delle altre navi presenti nel porto e nell’ospedale della Croce Rossa e quello adibito per l’occasione all’interno dell’albergo Internazionale. Numerose testimonianze descrivono lo spettacolo raccapricciante dei corpi martoriati e le orribili ferite dei superstiti, delle operazioni di salvataggio che durarono l’intero giorno e la notte, con la cittadinanza riverente che si riversò sulle vie del porto. La corazzata in fase di affondamento dopo l’esplosione La nave fu progettata dall’ingegnere navale e ministro della Marina Benedetto Brin che morì prima del completamento dei lavori; il varo avvenne a Castellammare di Stabia il 7 novembre del 1901 con un costo complessivo per la sua realizzazione di lire 51.350.000. Lunga 138 metri e larga 23, aveva una stazza di 14mila tonnellate ed era dotata di 46 cannoni, 2 mitragliere e 4 lanciasiluri. Partecipò a diverse battaglie navali nella guerra italo turca del 1911, con il bombardamento dei forti di Tripoli e le operazioni contro Bengasi, la Cirenaica e Rodi. Ha anche partecipato attivamente nella guerra contro gli austriaci. Le cause dell’esposione non sono mai state chiarite con certezza assoluta, tra le ipotesi formulate con maggiore insistenza c’è quella di un falso prete a servizio dall’Austria, o di un marinaio traditore, che avava collocato un ordigno nei pressi della "Santabarbara" della nave. Fu subito esclusa l’eventualità di un’azione dei sommergibili nemici, in quanto il porto era chiuso da una rete metallica risultata integra ai successivi controlli. La commissione d’inchiesta non ha mai confermato nessuna della cause ipotizzate, tra queste anche la combustione spontanea nella zona degli esplosivi. Antonio Caputo [2] valorizza la tesi della "tragedia annunciata", ovvero la vicinanza della sala macchine alla Santabarbara (deposito munizioni): il calore prodotto dai motori non veniva sufficientemente disperso dai ventilatori, lenti ed inadeguati, che provocò l’autocombustione della balistite presente nei locali, un potente esplosivo a base di nitroglicerina e cotone collodio che esplode fragorosamente e brucia senza produrre fumo. A conferma di ciò nei giorni seguenti fu ordinato, dal comandante della piazzaforte marittima di Brindisi, lo sbarco della balistite anche dalle altre navi. La deficienza di ventilazione e della refrigerazione era stata segnalata al Ministero nel luglio del 1914 con una lettera manoscritta del comandante della nave Gino Fara Fondi, al quale non fu dato evidentemente il giusto seguito. Il motto della nave era: "par ingenio virtus" (il valore è pari all’ingegno) La campana della corazzata è stata recuparata durante i lavori di dragaggio del porto, ed è conservata nella cappella sacrario del Monumento al Marinaio.