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 2011  aprile 20 Mercoledì calendario

ROVINATI DALL’EURO. COSÌ


Nei nove anni che hanno preceduto l’adozione dell’euro l’economia italiana è cresciuta il doppio dell’economia mondiale. Nei nove anni successivi, dal primo gennaio 2002 alla fine del 2010, la crescita del pil italiano si è dimezzata rispetto al periodo precedente. E quella dell’economia mondiale è più che triplicata. Così l’Italia dell’euro arranca dietro il resto del mondo: la crescita degli ultimi nove anni è stata appena il 22% di quella dell’economia mondiale. È il dato più clamoroso che dimostra come l’Italia costretta al cappio (come dice Paolo Savona) dell’Unione europea non abbia goduto poi di grandi vantaggi. Anzi, gran parte degli indicatori economici indicano l’esatto opposto: il trattato di Maastricht non solo non è stato la panacea di tutti i mali, ma potrebbe averne creati proprio con la sua rigidità. Nei nove anni prima dell’euro la crescita dei consumi delle famiglie italiane è stata del 50,50%. Con l’adozione della moneta unica nei nove anni successivi quella crescita si è quasi dimezzata: 29,65%. Le imprese italiane non sono più riuscite ad esportare come un tempo. Fra il 1993 e il 2001 l’export era cresciuto di 161 miliardi di euro in valore assoluto e del 91,27% in termini percentuali. Con l’euro i nove successivi mostrano una crescita dimezzata in valore assoluto (81,5 miliardi di euro) e crollata a livello percentuale (24,46%). Il trattato di Maastricht ha stretto progressivamente le sue maglie sulla libertà delle politiche economiche dei singoli paesi. Impedendo di fatto lo sviluppo. Un dato più che eloquente è quello degli investimenti fissi lordi. Negli ultimi nove anni di adozione della liretta, gli investimenti sono cresciuti del 62,35% (in valore assoluto di 97,4 miliardi di euro). Nei primi nove anni dell’euro la crescita si è ridotta all’11,22% (30,4 miliardi in valore assoluto). La grande frenata che l’euro ha imposto all’economia italiana si è riflessa anche sui dati del mercato del lavoro. Fra il 1993 e il 2001 gli occupati in Italia sono cresciuti di oltre un milione. Fra il 2002 e il 2010 si sono invece persi 85.400 occupati.
I dati elaborati da Libero e inseriti qui in una tabella provengono dall’Istat (serie storiche divulgate lo scorso 11 aprile) e dal Fondo monetario internazionale, e offrono una cruda realtà di fronte alla quale è assai difficile fare propaganda. Con questo trattato di Maastricht e con le regole che hanno tenuto insieme l’area dell’euro l’economia italiana ha avuto solo qualche vantaggio, ma anche tanti svantaggi. Si è detto che con l’euro si è tenuta a bada l’inflazione media in Italia, e quindi il potere di acquisto delle famiglie. Ma anche questo è uno slogan che non trova conferma nella realtà: in questi 18 anni (9 prima e 9 dopo l’adozione dell’euro) l’inflazione media annua è stata del 2,6%. A marzo 2011 è stata del 2,5%, e non sembra esserci grande differenza. Per altro nell’ultimo anno di adozione della lira, e cioè il 2001, la crescita dei prezzi è stata del 2,4%, minore di quella attuale. E fra il 1996 e il 1999 è stata sotto il 2%. Controllare l’inflazione è dunque possibile anche senza il cappio obbligatorio dell’Europa. Resta dunque un solo vero vantaggio fornito dalla moneta unica: i tassi di interesse bassi. Questo è reale. Il primo gennaio 1993 il Tus era ancora a doppia cifra; 12%. Oggi è all’1,25%, e la differenza è sostanziale. Costa meno il debito pubblico italiano e costa meno anche quello privato, di imprese e famiglie. Sulle imprese il vantaggio non è stato straordinario: la stretta del credito bancario degli ultimi anni non ha messo le ali ai loro investimenti. Perle famiglie la differenza c’è: un mutuo a questi tassi è assai più conveniente di quelli dell’epoca della lira. Se si uscisse dall’euro, quel differenziale si pagherebbe, anche se non al12% come allora. Quel costo del debito che sale è però ampiamente compensato dalla crescita dei prezzi immobiliari avvenuti in questi anni: il valore al metro quadro del mattone posseduto dalle famiglie è più che raddoppiato in questi anni. Quel costo del debito sarebbe dunque l’unico vero handicap da sopportare. Per le famiglie sarebbe possibile, per i conti dello Stato un po’meno. Se si riuscisse a ridurre il debito pubblico, uscire da Maastricht darebbe soprattutto vantaggi. Ma se l’Italia tornasse a crescere come quando c’era la lira, anche questo svantaggio verrebbe ampiamente riassorbito.

Franco Bechis