Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2011  aprile 20 Mercoledì calendario

Tre minuti di silenzio: poi si torna a “lavorare, creare, donare” - In questo momento suona la sirena in tutti gli stabilimenti e si stanno celebrando due messe, a Cape Town e a Montecarlo, in memoria del dottor Pietro

Tre minuti di silenzio: poi si torna a “lavorare, creare, donare” - In questo momento suona la sirena in tutti gli stabilimenti e si stanno celebrando due messe, a Cape Town e a Montecarlo, in memoria del dottor Pietro. Noi la celebreremo domani con la Via Crucis. Adesso restiamo tre minuti in silenzio, ciascuno li usi come sa. Preghiamo per la famiglia, perché sappia trovare la forza di sopportare questo dolore grandissimo e improvviso». La scena si svolge alle quattro del pomeriggio, nella sede della Fondazione Ferrero, mentre Alba prova a elaborare un lutto che sente «di famiglia». Tre minuti di silenzio, recitano i cartelli appiccicati sulle porte. Nello stesso istante, una strada separa i silenzi degli anziani nel salone della fondazione e degli operai nei reparti. È il modo con cui Alba abbraccia «un figlio morto lontano, un albese vero a cui eravamo tutti affezionati». «Lavorare, creare, donare» sta scritto sul portone della fondazione. All’ingresso della fondazione stazionano due turisti olandesi: inebriati dall’intenso profumo di cioccolato che si spande dallo stabilimentro e ignari della tragedia, la scambiano per lo spaccio aziendale. Invece dentro trovano un centinaio di anziani (si diventa anziani Ferrero dopo venticinque anni, poi si resta anche da pensionati): chi prende il caffè, chi legge i giornali, chi va in palestra (ce ne sono due), in biblioteca, nei laboratori artigianali, dal medico o dall’assistente sociale, dai consulenti per le dichiarazioni dei redditi. Tutto gratis. Il subbuglio si placa all’improvviso, senza bisogno di richiami: tutti si radunano nel salone vetrato, disposti a semicerchio, qualcuno con le mani agli occhi, a velare la commozione. I tre minuti diventano cinque. Poi, sempre in silenzio e senza bisogno di aggiungere altro, ciascuno torna al suo posto. «Lavorare, creare, donare» è la sintesi di uno stile di vita. Don Valentino Vaccaneo, parroco per eccellenza di Alba, «prete rosso» per anni in Duomo ora al Cristo Re nella zona della Ferrero, lo definisce «paternalismo intelligente». Prima che le Langhe diventassero un brand internazionale, nel dopoguerra la Ferrero fu determinante per affrancarle dalla miseria. «I pullman aziendali facevano il giro dei paesi, portavano gli operai in fabbrica e a fine turno li riportavano a casa. Era gente che non aveva paura della fatica, abituata alla vita dura, a terreni non sempre facili. Con loro Ferrero ha costruito un rapporto solido e una fabbrica solidale. Ai sindacalisti non piace, perché hanno sempre faticato a proclamare uno sciopero, ma è un fatto che gli operai sentano la fabbrica loro». Don Valentino conosce tutti. «Michele Ferrero lo vedo ogni tanto a messa. Pietro veniva venticinque anni fa, filava una ragazza della parrocchia, seguiva le mie prediche della domenica sera. Io picchiavo duro contro i ricchi, mi raggiungeva in sagrestia: “Oggi avevi ragione”. Oppure: “Oggi non mi sei piaciuto”. Un tipo grintoso». Due sono le grandi dinastie industriali di Alba: i Ferrero e i Miroglio. Due storie parallele, entrambe alla terza generazione. In città le gesta di Michele Ferrero e del commendator Miroglio, unanimemente considerati «due geni», sono narrazione popolare. Il commendatore vendeva tessuti in tutta Italia, poi fece il salto con le confezioni. Suo nipote, l’omonimo Giuseppe, attuale amministratore delegato, ha 39 anni, nove meno di Pietro Ferrero che incontrava al bar, come tutti. «La sua morte mi ha impressionato molto. I Ferrero sono un modello. Qui c’è compenetrazione tra città e aziende, considerate un bene collettivo. Non c’è invidia né sudditanza». Il cappellano di fiducia dei Ferrero era don Gianolio, morto nove mesi fa. Don Valentino è invece il riferimento dei Miroglio. Ad Alba i padroni non hanno mai fatto mancare soldi e sostegno ai preti per iniziative sociali. Bastava una telefonata, il giorno dopo arrivava l’assegno. Una volta i due parroci andarono in Germania, nello stabilimento Ferrero, a parlare dei pericoli della droga. Un’operaia sarda, colpita dalle loro parole, chiese di essere confessata. Don Valentino aprì la prima porta e usò la stanza come confessionale. Al ritorno in Italia, lo chiamò Pietro: «Don Valentino, ho saputo che hai trasformato il mio ufficio in una parrocchia...». Alba ha fiducia incondizionata nei Ferrero, ma fuori dalla fabbrica qualcuno teme contraccolpi per l’azienda: «Pietro era il vero uomo di fabbrica, il fratello Giovanni è diverso». Don Valentino non la pensa così. «Anche la prima generazione subì un lutto simile. Pietro, che era l’uomo-azienda, morì d’infarto come il nipote oggi. Ma ciò non ha impedito alla Ferrero di crescere. Accadrà ancora».