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 2011  aprile 19 Martedì calendario

UOMINI-RANA, MINE E SPIE. SFIDA NAVALE PER MISURATA —

UOMINI-RANA, MINE E SPIE. SFIDA NAVALE PER MISURATA — Si chiama «Shahat» . Lungo 22 metri per 130 tonnellate di stazza, è stato costruito in Grecia nel 1975, ma dimostra molto più della sua età. Una classica «carretta del mare» , più ruggine che metallo, con il timone in semi-avaria, il quadro-comandi del motore rotto e le gomene corrose. Nella parte alta del ponte e a poppa, sono state saldate due mitragliatrici contraeree: sono più coreografiche che vere difese, i nastri di proiettili sono stivati lontano. Anche questo peschereccio malandato è comunque parte della sfida navale poco conosciuta tra rivoluzionari e dittatura. Una guerra fatta di spie, convogli di armi per Misurata, profughi pronti a rischiare di affogare pur di uscire dall’inferno dell’assedio, polemiche e fratellanza con la Nato, pescatori che s’improvvisano Lagunari-assaltatori e capitani della marina di Gheddafi che si reinventano partigiani. Il racconto forse più interessante nelle quaranta ore di navigazione ad arrancanti 7 nodi di media tra Misurata e Bengasi lo fa Salam (il cognome non lo vuole dire), ingegnere 47enne proprietario di una ditta di acque minerali. Dal 20 febbraio è responsabile della difesa del porto di Misurata (il più grande del Paese) e delle sue vie di accesso alla città. Un compito vitale. «Senza il porto, Misurata sarebbe caduta da un pezzo. Saremmo rimasti senza armi e munizioni» , ricorda. Questo è il suo quinto viaggio a Bengasi dall’inizio delle rivolte. In passato, c’è andato per portare mitra e proiettili. «Una vergogna. Un kalashnikov ci costa 1.800 dollari sul mercato nero locale, 650 proiettili circa 400. Sono armi rubate dagli arsenali dell’esercito al tempo della liberazione di Bengasi. Dovremmo averle gratis. Ma pazienza. Faremo i conti più tardi con questi ladri. Ora l’importante è ottenere le armi subito» , sbotta. Adesso però è a bordo con una missione diversa: deve relazionare ai comandi di Bengasi sui pericoli rivelati dai suoi informatori infiltrati tra i marinai di Gheddafi nel porto di Al Khums. «Sappiamo che i loro uomini-rana si preparano con almeno tre gommoni a minare l’accesso al bacino di Misurata. Sarebbe gravissimo per le nostre navi, per quelle della Nato e per i convogli umanitari. La Nato dovrebbe spedire qui qualche battello leggero con radar potenti per pattugliare la zona. Gli stessi uomini-rana di recente hanno cercato di catturare o uccidere Fattah Brueiss, comandante in capo delle nostre difese navali» , spiega. Gli informatori giocano un ruolo centrale in questo strano miscuglio fatto di rivoluzione per la democrazia e guerra civile. Ieri il controspionaggio di Salam ha catturato due spie. «Segnalavano alle batterie nemiche le posizioni delle navi nel porto e le difese militari. Li abbiamo presi che parlavano via satellitari Thuraya e i Gps in mano» , rivela. Anche l’equipaggio dello «Shahat» ha avuto un assaggio del pericolo. La notte prima tre missili Grad sono caduti nell’acqua a un metro dal peschereccio ancorato alla banchina. A bordo mostrano una ventina di grosse schegge piovute sul ponte. «Potevano affondarci!» , esclamano. Partiamo da Misurata alle undici e trenta di domenica mattina. Il capitano del battello è Mustafa Farisi, nato 45 anni fa a Bengasi, per 15 arruolato nella Marina militare libica e dal 1995 comandante di pescherecci. Come tutti qui parlicchia italiano, conosce a menadito le rotte dell’emigrazione clandestina. E ora fa parte degli uomini impegnati sulla decina di vetusti natanti (tranne due rimorchiatori acquistati in Europa 5 anni fa) che dall’inizio delle operazioni Nato, la seconda metà di marzo, settimanalmente effettuano almeno 5 viaggi per rifornire la guerriglia nella città assediata. Un compito arduo. Almeno 600 ribelli sono impegnati nella zona del porto. Altri 5.000 in città, ma il loro numero varia continuamente. Non lo conoscono neppure loro. «Contro di noi Gheddafi ha mobilitato oltre 3.000 truppe scelte. Sono buoni combattenti, ma criminali, si camuffano da civili per evitare gli attacchi Nato, nascondono i tank nelle case, i loro cecchini occupano i piani alti. Soprattutto hanno a disposizione missili Grad della gittata di 45 e persino 70 chilometri. Noi possiamo nulla contro di loro» , dice Adel al Faituri, 31 anni, partigiano della prima ora che sta recandosi all’ospedale di Bengasi per far rimuovere tre grosse schegge di mortaio nella gamba destra. «Le due cliniche di Misurata sono occupate con casi molto più gravi. I dottori mi hanno chiesto di lasciare il letto a chi sta peggio di me» . Quattro giorni fa lo «Shahat» era arrivato con 4 tonnellate di armi e una quarantina di volontari combattenti. Ora sulla via del ritorno le stive sono vuote. Ma ci sono a bordo 12 donne, 36 bambini e 63 uomini: civili rimasti intrappolati al tempo della sommossa che cercano di tornare a casa via mare. Onde forza tre, vento, piovaschi, le nuvole di freddo corrono veloci nel cielo grigiastro. Il peschereccio rolla e beccheggia senza fine. Nelle stive più basse donne e bambini stanno male. Dai due bagni minuscoli giungono i rantolii dei conati di vomito. Pianti di lattanti. Le donne restano nascoste, si coprono testa e viso alla vista di ogni estraneo. Gli uomini sono raggruppati a poppa, tra le attrezzature da pesca, e vengono regolarmente inzuppati dagli spruzzi. A meno di cinque miglia dalla costa di Misurata, si fa viva la Nato. I comandanti delle 18 navi da guerra che incrociano al largo esigono l’identificazione di ogni imbarcazione non Alleata. Dalla radio gracchiante chiedono in gergo marinaresco i dati dello «Shahat» , ma soprattutto cercano di capire la situazione bellica. «Come sono stati i bombardamenti questa notte? Dove hanno colpito, il porto è agibile per le navi che vengono a raccogliere i profughi?» , domandano. Sino a 10 giorni fa bloccavano, perquisivano e rimandavano a Bengasi ogni peschereccio trovato con carichi bellici. Non più. «Per fortuna sono mutati i loro compiti. Peccato che però non facciano di più per fermare le colonne di Gheddafi su Misurata e Ajdabiya. In genere sono più passivi di quanto sperassimo. Si fanno notare con insistenza perché sanno che sui pescherecci trasportiamo giornalisti stranieri e cercano di farsi pubblicità a basso prezzo» , esclama il capitano Mustafa. Con la notte, il mare tende a placarsi. Una gigantesca luna piena scioglie le ultime nubi prima della mezzanotte. E il mattino torna limpido con pochi cirri bianchi all’orizzonte. Resta il vento ad arricciare di schiuma le onde ora più basse. La «carretta del mare» cigola molto meno adesso. Due incrociatori Nato fanno capolino verso le quindici. Siamo al largo di Ajdabiya. Luce, caldo, odore di sale. Fa strano guardare le zone di guerra dal marino solare del Mediterraneo: come essere in vacanza dal conflitto. Sul radar la costa di Bengasi è ormai a sole 30 miglia.
Lorenzo Cremonesi