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 2011  aprile 20 Mercoledì calendario

“GOLPISTA SARÀ B.”

Ha innescato un putiferio pubblicando su Il Manifesto una proposta-choc: per risolvere l’anomalia di Silvio Berlusconi – sostiene – sarebbe salutare “un intervento dell’Arma dei carabinieri”. Di più: occorre un golpe costituzionale a difesa della democrazia. Subito dopo si è corretto. Non certo per fare marcia indietro, quanto per cesellare un ironico addendum: “Non vorrei in nessun modo escludere da questa importante missione guardie forestali e polizia”. Ieri ha sparato un’altra pallottola: un editoriale al curaro in cui articola con maggior forza la sua analisi, aperto da un tributo sarcastico: “Grazie presidente! Grazie Silvio Berlusconi!”. Motivo? “Mi ha fatto capire che le cose non stavano come scrivevo nell’articolo. Ma molto peggio”. E così (mentre si gode una vacanza pasquale fuori Roma) il professor Alberto Asor Rosa non molla. Da giorni è finito nel mirino del Foglio che – ogni mattina – gli dedica un editoriale o un corsivo di fuoco – e lo definisce “un golpista radical chic”. Il professore inizia l’intervista all’insegna dell’ironia, non risparmia analisi caustiche su Giuliano Ferrara, paragona la sua polemica, “Agli strumenti classici del totalitarismo novecentesco. Quello che punta alla distruzione della persona piuttosto che alla contestazione delle loro idee”.
Professor Asor Rosa, anche oggi il Foglio parla di lei, è divertito o preoccupato?
(Sorriso imperturbabile). Preoccuparmi non posso.
Eccesso di sicurezza?
No: nella località italiana in cui mi trovo non arriva una copia del Foglio. Se in questi giorni non risponderò per le rime, non sarà per noncuranza, ma per ignoranza: non posso leggerlo.
Però ha letto i primi fondi in cui viene definito “golpista”.
Era una reazione che avevo messo in conto.
Ovvero?
Prevedevo delle reazioni, anche violente. Ma non immaginavo che l’armata dei sicari del regime scendesse in campo in maniera così compatta e ossessiva.
Si è dato una spiegazione?
Oh, ma è semplice! C’è una necessità “tecnica” di far fuori chi resiste al berlusconismo.
Lei è accusato, dalla destra, di non rispettare il voto delle urne.
Direi il contrario. Si utilizza il verdetto delle urne come una clava per rovesciare le leggi della democrazia.
Ferrara dice: c’è una pattuglia di intellettuali di sinistra radical chic che disprezza il voto popolare.
Si sbaglia: non so se sono chic, ma di sicuro non disprezzo quel voto. Disprezzo chi lo usa per i propri interessi contro la democrazia.
La black list di Ferrara: Scalfari, Zagrebelsky, la Spinelli e poi lei.
È una bellissima compagnia. Preferibile a quella del suo estensore, non trova?
Come si spiega la durezza di questa polemica?
Si punta a distruggere i centri che fanno resistenza al potere del principe. Primo obiettivo fare a pezzi la magistratura. Secondo bersaglio la scuola pubblica. Terzo, “gli intellettuali”. Mi chiedo: dov’è la stampa moderata?
Un vignettista con un passato extraparlamentare, Vincino, l’ha definita “Alberto Asor Rosa dei venti”, in un gioco di parole che evoca il golpista Amos Spiazzi e la sua rosa dei venti.
Anche molti amici di sinistra si sono risentiti: dagli anni Settanta persiste una certa diffidenza nei confronti delle istituzioni di polizia.
Lei non ce l’ha, invece?
Direi che negli ultimi 20 anni le forze dell’ordine hanno fatto il loro mestiere con un rigore molto maggiore di quello della politica. Il cuore della mia provocazione era tutto qui.
Ferrara dice che lei è intriso della cultura massimalista di Potere Operaio.
Peccato che io non abbia mai fatto parte di Potere Operaio.
Siete stati insieme nel Pci.
Ricordo un giovanissimo Ferrara: un ragazzotto che si aggirava per i corridoi dell’Università di Roma negli anni caldi.
È stato un suo studente?
Come si può facilmente dedurre, no.
Le ruggini di oggi si innestano su contese antiche?
Guardi, sinceramente non mi ricordo nulla di quel Ferrara. Mai che abbia scambiato una parola con lui ricavandone una impressione.
Possibile?
(Sorriso). Se non è possibile, evidentemente devo averlo rimosso. Non ho mai avuto il piacere di frequentarlo. Ha visto i suoi toni?
Lei considera questa polemica un lavoro da sicari, però. Non è un giudizio tenero.
Senta, Ferrara è uno che ha rinnegato il suo passato per intraprendere carriere prestigiose al servizio del potente di turno.
Gli dà del rinnegato?
Non è un insulto, è una constatazione per così dire, biografica. Anche se da questa campagna si può notare che non si è affrancato del tutto.
Cosa vuol dire?
La componente dell’ingiuria personale, in questi giorni fortissima, è un retaggio evidente di quella componente comunistico-staliniana del Ferrara giovane.
Lei era nella sinistra comunista, lui un amendoliano...
E filosovietico. Sono radici diverse: la tecnica della repressione delle opinioni libere e critiche, il tormentone del disprezzo antintellettuale accomuna, nel Novecento, i tre totalitarismi.
Anche lei però personalizza.
No, io faccio un’analisi. Vede, la scuola pubblica, con tutti i suoi difetti, è il tessuto fondamentale della nostra unità democratica. È ovvio che chi vuole demolire questa democrazia inizi da lì. E parte dai professori per passare ai libri di testo.
Se Ferrara sta dalla parte del Potere, lei dove sta?
Vede, io sono un pensionato dello Stato che quindi difende, con una qualche riconoscenza, il soggetto che gli fornisce i mezzi di sostentamento.