Francesco Piccolo, l’Unità 18/4/2011, 18 aprile 2011
CORSIVI
L’articolo di Asor Rosa sul Manifesto proponeva una soluzione assurda a ciò che succede in queste settimane, a causa di Berlusconi e dei suoi parlamentari senza autonomia di giudizio. La soluzione assurda uno stato di emergenza con l’aiuto di carabinieri e polizia era una provocazione. Il livello di una provocazione sta molto al di sopra del livello del reale, di solito. È a una distanza ben visibile da una proposta reale, in modo che la si riconosca subito. Ma se il livello di tensione e di estremizzazione della realtà si alza, e si alza a tal punto da raggiungere il livello della provocazione, allora le due possibilità si confondono, non sono più distinguibili con facilità.
Cerco di spiegarmi con un paio di esempi a proposito di Lampedusa (ma in questi ultimi anni, si possono trarre migliaia di esempi da qualsiasi tematica politica): se un ministro dice che gli immigrati devono andare fuori dalle palle, o un altro uomo politico di rilievo sostiene che a questi che arrivano con i barconi bisognerebbe sparargli i due non stanno mettendo in atto una provocazione. Stanno anzi esprimendo una reazione emotiva e rabbiosa, più sincera di quanto di solito un politico possa permettersi, e per questo motivo completamente calata nella realtà. Si può definirla una posizione scandalosa, o meglio ancora orribile, ma non è provocatoria; infatti ci sono delle persone (lasciamo perdere quante) che pensano quello che pensa Bossi o quell’altro. Non ci sono delle persone che si immedesimano nella proposta di Asor Rosa.
Quindi, quella di Bossi non è una provocazione, quella di Asor Rosa lo è.
Le conseguenze scaturite da quell’articolo servono a capire definitivamente una cosa di questo paese nell’era berlusconiana: le provocazioni non si possono (non si devono) più fare. Perché non c’è più una distanza sufficiente tra il pensiero reale e una proposta paradossale: ormai si assomigliano troppo.