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 2011  aprile 19 Martedì calendario

LA FOLLIA DI FERMARE LA PUBERTÀ CON LA SIRINGA


In una clinica di Londra, la Tavistock and Portman, specializzata in trattamenti per disturbi della personalità, deficit educativi, e i cosiddetti Gid, Gender Identity Disorders, disturbi dell’identità di genere, ora è possibile ricoverare, con il consenso della famiglia, ragazzini fin dai dodici anni e, con l’iniezione di un farmaco che inibisce gli ormoni sessuali, bloccarne la pubertà. In parole semplici: impedire a un dodicenne di diventare fisicamente maschio o femmina con tutte le caratteristiche sessuali sviluppate. La giustificazione terapeutica della siringa anti-pubertà è che chi soffre di Gid non ha ancora mentalmente deciso se vuol essere maschio o femmina e così, per evitare dolorose e dispendiose correzioni chirurgiche quando ormai il corpo si è sviluppato, è più opportuno arrestare la pubertà in attesa che il soggetto si sia chiarite le idee circa il proprio essere maschio o femmina.
E a quel punto procedere con una cura ormonale corrispondente. Finora i trattamenti medici su pazienti affetti da Gid erano autorizzati solo a partire dai 16 anni, cioè negli ultimi stadi della pubertà, è la prima volta che viene concessa un’autorizzazione a intervenire prima che i caratteri sessuali completino il loro sviluppo. Dopo quello del parto naturale, la medicina rompe un altro tabù: quello del casuale e duplice maturare dei tratti psichici e somatici. Ci eravamo abituati che tra corpo e mente c’è dualismo, un’opposizione che, in vario grado, non è sentita solo dai transgender ma è conseguenza della ambiguità umana. Essere donna in un corpo maschile o viceversa, anomalia sessuale e comportamentale da lungo tempo accettata e diventata a tutti gli effetti naturale, grazie alla siringa antipubertà verrà cancellata: agli adolescenti verrà concessa una “finestra di tempo” in cui decidersi: sei maschio o femmina? Dopodiché anche l’esterno corrisponderà all’interno, e avremo così il nuovo uomo integrale, dove ogni barlume di femminilità si rifletterà perfettamente in un corpo di donna e ogni sospetto di mascolinità sarà prontamente esibito da tratti virili. Mestruazione e sviluppo dei seni per chi si sente donna e pomo d’Adamo, voce grave e peluria facciale per chi sceglie la mascolinità.
Una follia di cui colpisce l’ipocrita e tipicamente scientifica presunzione con cui al paziente verrebbe lasciata la scelta. Come se chi soffrisse di disturbi circa la percezione della propria sessualità possa essere in grado di scegliere (è proprio il suo disturbo a impedirglielo, evidentemente) e come se tale scelta possa essere libera, quando è circondata dalle influenze familiari, dalle urgenze tecniche e mediche, dal dover rispondere a una domanda che, finora, restava nella propria mente, senza esibirla al mondo. L’apparente sollecitudine con cui la medicina vuole abolire ogni tensione, ogni conflitto – e un conto è uno screening prenatale su malformazioni o malattie ereditarie, un conto è risolvere con l’ago un dissidio psicologico – va sempre più di pari passo con questa superba glorificazione della libertà di scelta, dell’autodeterminazione, il che diventa una parodia bella e buona quando il soggetto “decidente” è un ragazzino di dodici anni. Controllare il testosterone o gli estrogeni degli adolescenti non farà di loro degli adulti felici, farà di loro delle perfette cavie da laboratorio, pressati a entrare fin da ragazzini nelle trafile burocratiche della libertà di scelta, del “decidi chi sei veramente e cosa vuoi essere”, quando la risposta a queste domande non la si matura nemmeno dopo aver visto spuntare i primi capelli grigi. L’oracolo di Delfi raccomandava: «Conosci te stesso», ed era un quesito arduo persino per un filosofo greco. Ora, in una clinica londinese all’avanguardia, i medici bloccano la pubertà di chi non sappia rispondere alla domanda, di chi esiti a definirsi maschio o femmina, e magari è semplicemente la gioia di non voler essere classificato come un insetto, non “disturbo di identità di genere”.

Giordano Tedoldi