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 2011  aprile 19 Martedì calendario

IL PIT-STOP DEL PARTITO DI MONTEZEMOLO - IL SONDAGGIO È LÌ

in bella mostra, all’apertura del sito di Italia Futura: se Luca Cordero di Montezemolo, 63 anni, scendesse in politica, il 36 per cento degli intervistati potrebbe pensare di votarlo. A scorrere le tabelle dello studio di Swg, poi, si scopre che non sanno bene se collocarlo a destra, a sinistra o al centro, ma è comunque meglio di quel che c’è. “Cresce la tentazione”, ha detto il primo aprile a Napoli Montezemolo. Ma se aspetta ancora un po’ rischia di finire come la Ferrari, di cui per ora resta presidente (anche se Andrea Agnelli e La-po Elkann la puntano da tempo): da vincente a bollita, da Fernando Alonso (non quello di oggi) a Michael Schumacher (quello di oggi, da mezza classifica e di mezza età). “Questo non è e non può essere il livello della scuderia”, ha detto Montezemolo dopo il terzo flop consecutivo, al gran premio di Shanghai. La diagnosi di Alonso è stata implacabile: la macchina non va, i risultati sul campo non sono quelli registrati in galleria del vento a Maranello. E il rischio è che nel GP della politica si scopra con disappunto che c’è la stessa discrepanza tra simulazioni e risultati sul campo.
VELTRONI, PISANU
E CASINI
Se lo chiedi ai suoi, la risposta è sempre la stessa: “Non si può scendere in campo se non c’èilcampo”,comediceAndreaRomano,storico, direttore di Italia Futura. Che è un’associazione, con ancora meno obblighi di trasparenza sui conti delle fondazioni. “C’è una lista di imprenditori finanziatori che non è segreta, ma riservata”, precisa Romano. Unica cifra conosciuta:laspesaannuadi200milaeuropericonvegni e le campagne, lo staff ridotto (nella sede di Roma, quartiere Prati) di sole 8 persone costa poco . In attesa che qualcuno tracci le righe del campo, cioè che arrivino le elezioni anticipate (o del 2013), Montezemolo prepara la squadra.
Il presidente della Ferrari preannuncia l’ingresso in politica almeno da ottobre 2009 quando, con Gianfranco Fini ed Enrico Letta, ha presentato Italia Futura. Ma nelle ultime settimane le cose hanno subito un’accelerazione che sembra decisiva. C’è Giovanni Malagò, l’imprenditore romano da sempre amico di Montezemolo, chestalavorandoalrafforzamentosulterritorio: si individua un referente locale, possibilmente diprestigioerelativamentegiovane,epoisiconcorda come tradurre in versione locale le campagne nazionali dell’associazione, che conta piùdi30milasostenitori,equasituttihannoversato piccole quote di adesione. Per ora le Regioni coinvolte sono le Marche (terra di Diego della Valle), la Liguria, il Veneto e la Lombardia. Non sono ancora sezioni di partito, piuttosto una struttura leggera, anzi leggerissima, che ricorda quella della prima Forza Italia. Con professori e professionisti al posto dei pubblicitari Fininvest.“AlNordMontezemolohapotenziale, è credibile, ed è bene che si muova. Io credo che a ottobre fosse già pronto, ma il governo poi non è caduto”, sostiene il filosofo Massimo Cacciari, che prevedendo un imminente collasso del PddatemporagionasucomestrutturareilTerzo Polo centrista. Visto che la politica non si fa solo con le idee, Cacciari ha spostato in orbita montezemoliana il suo Centro di Formazione Politica milanese: “Stiamo collaborando con Italia Fu-tura ma siamo aperti al dialogo anche con altri soggetti come Verso Nord”, cioè il coagulo di fuoriusciti dal Pd lombardo-veneto ispirato dallo stesso Cacciari. Non è un dettaglio da poco: ogniannoilCfp,basatoaMilano,organizzacorsi a cui partecipano decine di giovani da tutta Italia, rigorosamente selezionati sulla base di curricula d’eccellenza. Una rete che il Pd ha sempre snobbato, quando Cacciari immaginava il Cfp come una specie di scuola quadri da Ventunesimo secolo per un partito flessibile, ma che a Italia Futura potrebbe fornire un serbatoio di candidati locali di tutto rispetto.
Mentre Malagò organizza la base, sono in corso anche carotaggi esplorativi più strettamente politici. Il punto di partenza di ogni ragionamento è questo: Montezemolo può avere qualche chance soltanto se il bipolarismo collassa, cioè se da Pd e Pdl si staccano pezzi consistenti che migrano verso il centro. I cunei individuati per questa operazione dai montezemoliani sono due: a sinistra Walter Veltroni, del Pd, e a destra Giuseppe Pisanu, ancora del Pdl nonostante da temposisiaritagliatounprofilopiùistituzionale e centrista. Un deputato molto vicino a Veltroni, Walter Verini, dice: “Una delle priorità di Veltroni è da sempre costruire un’alternativa credibile, parlando a tutto il Paese. Quindi una figura comeMontezemolopuòessereutile,ovviamente in un progetto post berlusconiano. Ma non è che ci sia chissà quale intesa, diciamo che sono binari paralleli”. Poi però butta lì, come se fosse una minuzia, che nell’articolo che Montezemolo ha scritto sul Corriere della Sera pochi giorni fa sui problemi dei giovani precari gli altri due coautori erano Nicola Rossi e Pietro Ichino, “due dei 75 parlamentari che hanno dato vita a MovimentoDemocratico”,lacorrentediVeltroni dentro il Pd. E venerdì scorso, sempre sul Corriere, con una lettera a doppia firma Veltroni e Pisanu sono usciti allo scoperto auspicando “una nuova stagione politica e istituzionale”. Un testocheèqualcosadipiùdell’espressionediun comune sentire.
BERSAGLIO NUMERO
UNO: TREMONTI
Ma Nicola Rossi non vuole che si interpreti il suo recente passaggio a Italia Futura, dopo le dimissioni da senatore Pd, come un tassello della creazione del partito montezemoliano: “Sono semplicemente nel comitato direttivo dell’associazione”. Ma chi conosce il lavorio intenso di queste settimane dentro Italia Futura ha un’impressione diversa, cioè che Rossi sia il perno di una strategia precisa: sfidare sul suo terreno l’unico vero delfino del berlusconismo, il ministro del Tesoro Giulio Tremonti. “C’è poca ironia da fare. Vista la situazione di mancata crescita e soprattutto di mancata iniziativa di politica economica sarebbe meglio mettersi tutti con meno battute e più impegno e risultati”, ha attaccato Montezemolo giovedì scorso. Bersaglio: sempre Tremonti. Lui neo-statalista, anti-global, protezionista, disinteressato del mercato del lavoro epersonellefumoseteoriesulmercatismo.Rossi e gli economisti montezemoliani liberali, confindustriali ma non troppo, dinamici. Marco Simoni, 35 anni, professore alla London School of Economics è fin dall’inizio il cervello economicodiItaliaFutura,disinistramanonostilealmercato quando serve, editorialista dell’Unità : “Siamo già in campo da due anni, anche se manca il campo. Cerchiamo di andare al merito delle cose, niente politicismi, più che parlare con i partiti ci interessano soggetti come i promotori dellamanifestazionedel9aprilesuiprecari,concui abbiamo dialogato sul sito”. E proprio sul sito web partirà a breve una specie di osservatorio sui costi della politica che diventerà, di fatto, un inappellabile atto d’accusa per Tremonti che taglia nei posti sbagliati, lasciando sacche di rendita alla “casta”.
Il dialogo più intenso, però, è quello dentro il Terzo Polo. Chi conosce le trattative con il cuore del blocco centrista, l’Udc, riferisce che il leader Pier Ferdinando Casini avrebbe dato un aut aut: “Luca, o fai il candidato premier, o fai il leader di partito. Delle due l’una, devi scegliere”. Montezemolo non ha avuto molti dubbi: si fa il partito. La ragione è semplice, gliel’ha ripetuta più volte il suo amico imprenditore Diego Della Valle: “Non si può valutare il mercato di un prodotto finché non è sugli scaffali. Se corri da solo puoi prendere il 3 per cento come il 25, ma saranno tutti voti tuoi”. Anche se, nelle dichiarazioni ufficiali, Della Valle si attribuisce sempre un ruolo difrenoalletentazionipolitiche.Ildisegnomontezemoliano è trasparente: nello scenario migliore se Italia Futura prende una percentuale di voti a due cifre, a quel punto l’azionista forte del centro diventa Montezemolo, non più Casini, men che meno Gianfranco Fini che sembra già all’inseguimento di Italia Futura (come sulle proposte per i lavoratori precari). Con queste ambizioni, prima si comincia a lavorare davvero per le elezioni meglio è. Ma il governo Berlusconi resiste. E Montezemolo non è ancora davvero pronto a buttarsi. “Sono abbastanza convinto che la sua perplessità di fondo derivi dal fatto che non vede uno sganciamento deciso del suo mondo, quello degli imprenditori, dal berlusconismo. La Confindustria prende le distanze solo a parole. Dentro, a quanto mi risulta, non è concesso a nessuno osare prendere posizione pro-Montezemolo”, è la diagnosi di Massimo Cacciari. Solo con un tentativo in extremis di riconquistare Confindustria, prima di prendere decisioni irrimediabili, si spiega l’apparente corrispondenza di amorosi sensi di queste settimane con Emma Marcegaglia, leader degli Industriali, che ha da sempre un complesso (forse di inferiorità) verso il suo predecessore. È tutto un “Emma ha ragione”, “Luca non sbaglia”. Si capirà più avanti se è solo diplomazia.
AL CENTRO
C’È DELLA VALLE
Per ora l’anima imprenditoriale di Montezemolo è legata soprattutto alle mosse di Diego Della Valle, esponente di punta di quella “gioventù anziana” (copyright Cesare Geronzi) che sta provando a scalzare la generazione dei75enni.DellaVallehafattodaarietenellabattagliasulleAssicurazioniGenerali:siècapitodopo che era soprattutto una manovra dei grandi soci privati della compagnia e dei due capi di Mediobanca, Alberto Nagel e Renato Pagliaro, ma serviva qualcuno che appiccasse il fuoco sotto la poltrona del presidente Cesare Geronzi. E L’imprenditore marchigiano è servito allo scopo . Della Valle predica cambiamento e rivoluzione. Ma l’ingresso nel salotto buono delle partecipazioni incrociate e dei patti di sindacato gli è costato troppi milioni di euro per giocare ora a sfasciarlo, anche se di certo non è contento dei risultati degli investimenti che lo hanno portato in Mediobanca e Rcs (“Quando li vedi da vicino sono una delusione”, si sfoga talvolta parlando di quei professionisti del potere finanziario che una volta lo guardavano come un parvenu). È notizia di pochi giorni fa che Della Valle ha annunciato di lasciare a breve le cariche operative nelle sue aziende al fratello Andrea. “Nei prossimi mesi sarà lui ad assumere il controllo”, ha detto in un’intervista a El Paìs. Forse per essere più libero nei duelli dell’alta finanza, forse per fare politica direttamente (ipotesi che lui nega con decisione).
Forse per conquistare il Corriere della Sera,
cosa che gli ha consigliato, non si sa quanto
seriamente, il finanziere berlusconiano TarakBenAmmarinun’intervistasull’ultimo
numero dell’Espresso.
Del seguente scenario si parla sempre più
spesso, in ambienti finanziari e soprattutto politici. Della Valle che ha il 5 per cento
circa di Rcs Corriere della Sera, avrebbe già un accordo con Giuseppe Rotelli, imprenditore della sanità che è il primo azionista del gruppo con l’11 per cento a lui riconducibile. Rotelli, da sempre vicino a Silvio Berlusconi, ha rastrellato per anni azioni ma ora la blindatura del patto di sindacato che lo ha lasciato fuori fino al 2014 e condizioni di salute non ottimali avrebbero ridimensionato le sue ambizioni. Che tra Della Valle e Rotelli ci sia sintonia lo dimostra la comune astensione sul piano industriale, pochi mesi fa. Nel cda della Rcs Quotidiani continua a sedere Montezemolo in rappresentanza del 10,5 che detiene Fiat in Rcs. Il fatto che abbia conservato la poltrona dopo aver lasciato la presidenzadellaFiatsipuòspiegareindiversimodi: generosità da parte di John Elkann, primo azionista del Lingotto, con cui però i rapporti sono deteriorati da tempo, oppure l’anticamera di un passaggio di mano, una sorta di diritto di prelazione. È chiaro che per la famiglia Agnelli, sempre più globale, risulterebbe anacronistico immobilizzare tante risorse in via Solferino mentre la Fiat si fonde con la Chrysler, assai più al passo dei tempi è l’investimento azionario nell’Economist (nel cui cda Elkann già siede). Al giusto prezzo non è escluso che Elkann potrebbe uscire dal Corriere (a quelli di mercato perderebbe oltre 20 milioni di euro in minusvalenze) e Della Valle ha dichiaratodiessereprontoacompraredachiunque venda. Se poi si aggiunge che con la famiglia Benetton (titolare del 5,1 del capitale) c’è un’alleanza di fatto, diventa chiaro come il Corriere sia in prospettiva molto montezemoliano, nonostante l’ostacolo del patto di sindacato che esclude le quote di Rotelli e Benetton. Si verdrà.
Se il Corriere è questione di prestigio (e politica, ovviamente), i treni veloci di Ntv sono affari. Dal 2012 dovrebbero essere su rotaia (l’ad Giuseppe Sciarrone denuncia boicottaggio dal monopolista pubblico Fs che potrebbe ritardare il debutto),ancoranonsisasesirivelerannoungrande business. Ma le premesse ci sono. E per chi considera Montezemolo più che un industriale un
premier in pectore, Ntv è già un problema. “L’Italia conosce bene i problemi del conflitto di interesse”, si lascia scappare Nicola Rossi. Andrea Romano si trincera dietro un semplice “no comment”, Italia Futura e Ntv sono due mondi che cercano di restare separati. Senza riuscirci, basta pensare a quello che da molti è indicato come il cervello organizzativo della fase 2.0 di Italia Futura, Carlo Calenda, il giovane direttore dell’Interporto di Nola, la base logistica di Gianni Punzo che è azionista alla pari di Montezemolo in Ntv. Tremonti ha già mandato messaggi espliciti: non pensi Montezemolo di consegnare Ntv ai soci francesi di SNCF solo perché entra in politica. Se il governo blocca la scalata alla Parmalat, figurarsi se lascia campo liberosuunsettorecosìdelicatocomeil trasporto ferroviario. Montezemolo è socio alla pari con Della Valle e Punzo di una holding, MDP, che detiene il 33,5 per cento del capitale. La quota del presidente Ferrari è quindi poco più dell’11, in valore nominale 16,6 milioni circa. Che per Montezemolo non sono tanti, meno di tre anni di stipendio.DopocheMarcoTravaglio,nella trasmissione di La7 Exit, ha notato che Montezemolo rischiava di replicare, sia pure in scala ridotta, il problema dei conflitti d’interessi di Berlusconi, il presidente di Italia Futura gli ha risposto così: “Ove mai, e sottolineo ove maipertranquillizzaremiamogliecheè qui con me, decidessi di scendere in politica, risolverei subito il problema. O con un sistema di blind trust, come quello adottato da Mario Draghi per i propri investimenti quando è diventato governatore di Bankitalia, oppure cedendo le mie quote ad altri soci”.
Se la vendesse a SNCF, che detengono oggi il 20 per cento di Ntv, questi diventerebbero primi azionisti, opzione percorribile ma dalle incerte ripercussionipolitiche.L’ipotesipiùprobabileè che se ne faccia carico Della Valle, che di soldi da spendere ne ha, oppure la solita banca “di sistema” (disposta cioè a investire i soldi dei risparmiatori secondo logiche politiche), cioè Intesa Sanpaolo che è azionista di Ntv con un altro 20 per cento. E qui è decisivo il ruolo di Corrado Passera, capo azienda di Intesa. É noto che i suoi rapporti con Giovanni Bazoli, il grande vecchio (a suo tempo prodiano) dell’istituto non sono idilliaci. Quando Della Valle iniziò la sua crociata contro la gerontocrazia del capitalismo, se la prese con entrambi gli “arzilli vecchietti” al comando della finanza, Bazoli (78 anni) e Geronzi (76). Poi ha capito che non poteva inimicarseli subito tutti e due e su Bazoli ha fatto quindi mille distinguo riparatori. Ma le ambizioni generazionali di Della Valle, Montezemolo e Passera sono le stesse, tutti parte di quella “gioventù anziana” che vuole il comando. E Passera può diventare l’unico “banchiere di sistema”: per i buoni rapporti con il governo Berlusconi ha impegnato la banca nella partita Alitalia e ora nel papocchio finanziario della cordata italiana per Parmalat. Al confronto rilevare l’11 per cento di Montezemolo in Ntv sarebbe ben poca cosa, cementando in cambio un sodalizio di reciproco interesse.
LA PAURA PER LA
MACCHINA DEL FANGO
Ma tutte queste mosse in direzione Palazzo Chigi rischiano di essere neutralizzate sul nascere da quella che Roberto Saviano chiama “macchina del fango”. Non è eccesso di prudenza, i collaboratori più stretti di Montezemolo sono davvero preoccupati: “Si ricordi cosa è successo a Fini, per quella storiella della casa del cognato – dicono – ormai basta un niente a distruggerequalcuno”.Potrebberosembrareparanoie, scrupoli eccessivi, invece negli ambienti montezemoliani si discute davvero di trappole, paparazzate, agguati. E, chissà, forse anche rivelazioni di cose vere ma rimosse. Qualche assaggio c’è già stato. Sabato 9 aprile, per esempio, il Giornale di Alessandro Sallusti spara in prima pagina foto della coppia Della Valle-Montezemolo con titolo “Paghi uno e prendi due: il gatto e la volpe Luca&Diego in offerta”. E nel pezzo di Giancarlo Perna, giusto un colpetto, ma ben piazzato, rievocando una famosa vicenda sempre sgradevole: “L’incidente più imbarazzante è dei primi anni Ottanta. Luca era addetto alle pr Fiat, quando l’ad, Cesare Romiti, si accorse che ‘vendeva’ agli industriali gli incontri con Agnelli.Ilgiovanottofuallontanatoimmantinentedall’azienda e gli occorse tempo per recuperare la fiducia. ‘Certamente non lo voterei’, ha detto recentemente Romiti ricordando l’episodio”. Messaggio recapitato: basta un attimo per riesumarequestestorie,attentoaquelchefai.Inun editoriale Sallusti lo ha avvertito: “Di recente un altro bello del sistema di potere, Gianfranco Fini, scambiando ambizioni e interessi personali per un progetto politico, si è schiantato contro un muro, dopo aver fatto sognare l’opposizione”. Chissà se basta questo a spaventare Montezemolo o almeno a consigliargli di aspettare prudentemente che il berlusconismo si esaurisca prima di impegnarsi. Come dice Massimo Cacciari, “La linea della provvidenza non sempre si sviluppa in modo lineare”.