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 2011  aprile 18 Lunedì calendario

Se il sindacato lotta in tribunale gli stranieri non investono più - Ci si lamenta, che l’Italia non cresce abbastanza, che noi non abbiamo abbastanza investimenti esteri e che ciò è fra le cause della minore cre­scita del Pil dell’Italia rispetto all’estero, data la inadeguata presenza di grandi imprese

Se il sindacato lotta in tribunale gli stranieri non investono più - Ci si lamenta, che l’Italia non cresce abbastanza, che noi non abbiamo abbastanza investimenti esteri e che ciò è fra le cause della minore cre­scita del Pil dell’Italia rispetto all’estero, data la inadeguata presenza di grandi imprese. Ciò è vero, ma è troppo facile dare la colpa la colpa di que­sto al governo attuale. Ecco ora due casi emblematici, su cui riflettere a mente fredda. Il primo caso è la condanna a 16 anni di reclusione a carico di Harald Espenhahn, ammi­nistratore delegato di Thys­senkrupp, per omicidio vo­lontario «con dolo eventua­le », con una sentenza definita correttamente come svolta epocale. Il secondo caso, an­che esso di questi giorni, è il ricorso della Fiom, aderente alla Cgil contro i contratti per Pomigliano e Mirafiori di Fiat auto, sulla base dell’articolo 2112 del codice civile inter­pretato al di là del tenore te­stuale. La lotta sindacale così si è tra­sformata in lotta nei tribuna­li, secondo la deriva della nuo­va fase della opposizione, sia essa quella politica, che ricor­re ai processi per cercare di modificare la volontà degli elettori o quella sindacale, che avendo perso i referen­dum aziendali, vuole ribalta­re il giudizio dei lavoratori con i cavilli giudiziari. In en­trambi questi casi, ci si trova di fronte al fondato rischio che gli stabilimenti in Italia delle due grandi imprese sia­no chiusi, i lavoratori perda­no il posto, l’indotto venga meno con danno per l’occu­pazione e la produzione italia­na. Faccio riferimento alle di­chiarazioni dei capi delle due grani imprese interessate, e del presidente Pd della pro­vincia di Terni ove si trova il principale stabilimento italia­no Thyssenkrupp, con ragio­namenti basati su dati di fat­to. Klaus Schmitz, presidente della TyssenKrupp, dichiara che si tratta di una sentenza inspiegabile e incomprensibi­le che fa sorgere il problema di sapere quale sarà la giuri­sprudenza in tema di sicurez­za sul lavoro e arguisce che con sarà difficilissimo lavora­re in Italia. Feliciano Polli, pre­sidente della provincia di Ter­ni, già dirigente di imprese si­derurgiche e membro della presidenza dell’Associazione Nazionale comuni italiani (Anci) con deleghe per la ri­cerca e l’Università afferma che il verdetto, eccessivamen­te duro, preoccupa fortemen­­te per gli effetti sulle prospetti­ve di una grande azienda. Il dolo eventuale che ha com­portato la condanna in primo grado a 16 anni per l’ad Ha­rald Espenhahn, è una costru­zione della dottrina, non si trova nel codice penale. Per la Cassazione esso si distingue dalla colpa cosciente perché comporta la rappresentazio­ne della concreta possibilità della realizzazione del fatto e accettazione del rischio e quindi la violazione di esso. In sostanza l’ imputato pensa­va che i sei­operai o altri di ana­logo numero potessero mori­re a causa della situazione non sicura, che egli conosce­va interamente. In Italia è la prima volta che si applica que­sta nozione a casi come que­sto. In Germania e negli altri stati non si è ancora giunti a simile conclusione in casi analoghi. Ora c’è un precedente, dovu­to a una sentenza, non a una definizione testuale della leg­ge. Il ricorso della Fiom per Fiat auto si aggrappa all’arti­colo 2112 del codice civile che dice che In caso di trasferi­mento d’azienda, il lavorato­re conserva tutti i diritti, com­presi quelli previsti dai con­tratti collettivi anche azienda­li vigenti alla data del trasferi­mento salvo che siano sostitu­iti da altri. Fiat auto era uscita da Confindustria, prima della costituzione delle nuove so­cietà per Mirafiori e Pomiglia­no, denunciando così l’accor­do co­llettivo nazionale di con­certazione del 1993 e i lavora­tori a maggioranza avevano accettato il nuovo contratto collettivo aziendale proposto da Marchionne. Marchionne ha dichiarato che senza que­sto contratto aziendale non prende la Bertone, né realiz­za il progetto fabbrica Italia. Ora queste aziende e l’indot­to auto italiano dipendono da una causa indetta dal sindaca­to che ha perso i referendum aziendali, che ricorre al giudi­ce contro la maggioranza dei lavoratori e gli altri sindacati a cui il contratto Marchionne sta bene perché garantisce il posto tramite la produttività, i cui frutti in parte andranno a loro, secondo il modello tede­sco. Le sentenze dei magistrato del lavoro spesso hanno inter­pr­etato le norme in modo evo­lutivo. C’è solo da sperare che questa volta prevalga il testo scritto.