Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2011  aprile 18 Lunedì calendario

Le case di Dublino all’asta Lungo St Stephen’s Green, esattamente dall’altra parte del parco, nel centro di Dublino, una folla di giovani-coppie, banchieri, avvocati, agenti immobiliari e pensionati, si accalca in maniera scomposta cercando di entrare nel salone ottocentensco del Shelbourne Hotel

Le case di Dublino all’asta Lungo St Stephen’s Green, esattamente dall’altra parte del parco, nel centro di Dublino, una folla di giovani-coppie, banchieri, avvocati, agenti immobiliari e pensionati, si accalca in maniera scomposta cercando di entrare nel salone ottocentensco del Shelbourne Hotel. Vogliono tutti la stessa cosa. Comprare un appartamento. Ma non uno qualunque. Cercano l’affare, il nuovo colpo grosso, alla prima asta di immobili requisiti o abbandonati organizzata dal 2007, l’anno del disastro della Tigre Celtica. Monolocali, attici, casali e villette che sono la testimonainza fisica del fallimento di un mondo, monumenti vuoti a un delirio di grandezza diventato la pietra al collo di una nazione. Majella Rippington, di Corporate Lettings, descrive l’asta come un momento «storico». E’ una donna vigorosa e ha una risata euforica, selvaggia e un po’sgangherata. «In tre anni il prezzo delle case è crollato del 50%. Nessuno compra più niente. Il Paese è seminato di scheletri. Palazzi abbandonati, proprietà deserte. La vendita di stamattina è il segno che la vita sta ricominciando». Lei è la prima davanti all’ingresso. Alle sue spalle tremila persone. Spinte, insulti, piccole scorrettezze da calca da concerto rock. Una ragazza di 23 anni, una pelle innaturalmente bianca, fa due passi barcollando e sviene a faccia in giù. Il suo compagno urla «così l’ammazzate», la polizia la porta fuori dalla ressa e l’aiuta a riprendere conoscenza, mentre l’ufficiale più alto in grado annuncia con un megafono che non sarà possibile fare entrare tutti. Saranno 1.800 quelli che resteranno fuori. L’ultima ad assicurarsi un posto nel salone è donna con una scollatura vertigionosa e una vistosa collana di perle. La sua voce ha la cantilena ipnotica di Tipperary. «Finalmente capirò quanto valgono davvero le case in Irlanda». Il governo non ha mai organizzato un registro centrale degli immobili, i siti internet sono spesso inaffidabili e i venditori continuano a tenere gli stessi prezzi pre-crisi. Il risultato è che nemmeno loro arrivano alla fine del mese. «Ho in tasca centocinquantamila euro. Vediamo». Si siede su una poltona di velluto. L’asta comincia. Dietro il banditore c’è una schiera di hostess vestite da Motorshow, musica da camera in sottofondo, luci soffuse. Gli immobili in catalogo sono 82. Dopo sei ore solo uno resterà invenduto. Il primo è un appartamento di 70 metri quadrati a Temple Bar, un quartiere che sta a Dublino come Soho sta a Londra. Il prezzo di partenza è di 80 mila euro. Più tardi sarà battuto un monolocale a 22.500, il valore di un’auto di media cilindrata. Una signora in prima fila grida: «Novanta». Ma è Douglas Taylor, un uomo d’affari che vive tra l’Inghilterra e Dublino, a fare l’offerta più alta: 127 mila euro. Preso. Racconta di aver deciso di partecipare all’asta un giorno in cui il consueto fardello cristallizzato di ansia gli si era presentato nella penombra dell’ufficio. «Ho avuto come un’illuminazione. Ho pensato che solo noi, con le nostre scelte, possiamo tirarci fuori da questa crisi. E il metodo è sempre lo stesso: il mattone. Però con criterio. L’asta è perfetta. E’ tutto alla luce del sole, nessuno può barare. Questo appartamento l’ho preso per mia figlia». Adesso è la volta del pezzo più costoso del lotto. Un casolare su Shrewsbury road, non lontano dall’Elm Park Golf Club. Nel 2007 Shrewsbury era la sesta strada più costosa del mondo, davanti a Carlowood Drive a Beverly Hills. Dublino prima della Contea di Los Angeles. Le case costavano mediamente 2.5 milioni di euro, ma il casolare se lo compra un avvocato che dice solo di chiamarsi Patrick. Gli bastano 550 mila euro. «Ero pronto ad arrivare a 700 mila, è andata bene». Ai suoi vicini di casa deve essere venuto mal di testa. E’ come se l’intero Paese all’improvviso avesse varcato la superficie di uno specchio. Ogni cosa appare diversa, tutto torna in equilibrio, il prezzo delle cose corrisponde al loro valore reale. Almeno qui, perché a Londra, nelle stesse ore, un anonimo milionario russo acquista per 136 milioni di sterline le nude mura di un lussuosissimo appartamento a One Hyde Park. Il pied a terre più costoso del pianeta. Ma quella è una galassia diversa, riservata ai signori del petrolio. A Dublino, gente normale, anche una professoressa universitaria ha il suo momento di gloria. Compra un attico su Bride Street, a pochi passi dal Royal College per 230 mila euro. «A Londra avrei speso tre volte tanto». Abbraccia il compagno rosso per l’emozione e cita Milton: «Una perenne oscurità mi circonda, esilitato dalla vita felice degli uomini. Adesso non è più così». Abbassa gli occhi imbarazzata. «Scusate. Deve essere stato lo scotch di ieri sera». E’ felice. L’uomo, con una grande pancia, le accarezza la testa e le dice solo: «Andiamo». E si allontana con una gamba rigida e scoordinata che lo fa ballonzolare nei corridoi del Shelbourne Hotel come un bambino ciccione sul pogo.