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 2011  aprile 18 Lunedì calendario

E se il futuro accadesse prima? - Steampunk. Sembrava una moda surreale e breve nata negli anni Ottanta

E se il futuro accadesse prima? - Steampunk. Sembrava una moda surreale e breve nata negli anni Ottanta. Un delirio secondario di gente abbastanza bislacca da pensare di radunarsi attorno a uno slogan e a una mania. Lo slogan era: «Come sarebbe il passato se il futuro fosse accaduto prima». La mania: introdurre una tecnologia anacronistica all’interno di un’ambientazione storica precisa, la Londra vittoriana. Immaginarsi una realtà dove tempo e spazio collassano e in cui armi e strumentazioni vengono azionati con la forza motrice del vapore (steam, in inglese). La meccanica che si sostituisce alla tecnologia. Gli oggetti contemporanei, dal computer al telefonino, sradicati dalla loro epoca e riprodotti come se la vita che conosciamo si fosse bloccata al 1890, nel pieno della rivoluzione industriale. Ma con un enorme progresso tecnico. E’ una roba che è più semplice da vedere che da descrivere. Così, deciso che non era affatto un’onda anomala e che il genere si era consolidato nella letteratura, nell’arte, nella moda, nel design, nel cinema, e persino nel modo di vivere diventando una scelta estetica diffusa, il Museum of the History of Science di Oxford ha deciso di farci una mostra, esponendo le opere di diciotto tra gli artisti più quotati del pianeta. E’ rimasta aperta tre mesi, sono andati a vederla in ottantamila. «E’ stato un trionfo». Il dottor Jim Bennett, direttore del museo, è un uomo raffinato, con i capelli radi e gli occhialini tondi. Un intellettuale classico. Un giorno, a New York, è entrato per caso in una mostra e si è imbattuto in una serie di oggetti strani. Scafandri da palombaro, occhiali in ottone, macchine del tempo, pseudocomputer imbragati in eleganti contenitori di legno e alimentati in maniera incomprensibile, grammofoni adornati da lampadine, manichini con maschere di pelle, borchie e caschi con la cresta, di ferro, un po’ Guerre stellari e un po’ guerre puniche. In mezzo alla sala c’era un signore con tuba e panciotto, seduto su quella che poteva essere una moto, ma anche un cavallo alato. Sembrava uscito da una scena de «La leggenda degli uomini straordinari» e diceva serio: «Come sarebbe stato un iPad di Edison?». Bennett è rimasto stregato. «Era Art Donovan e mi ha spiegato cos’è lo Steampunk. Gli ho chiesto di organizzare la stessa cosa da noi». Art Donovan, allora, che a Oxford ha trascinato il meglio di questa strana tribù vestita Ega (Elgant Gothic Aristocracy) o Egl (Elegant Gothic Lolita). E’ stato come portarla a casa, in quello spazio fisico che centocinquant’anni fa stava già a metà strada tra Dickens e il Duemila, tra lo sfruttamento minorile e la nuova rete fognaria sotto le strade con i lampioni illuminati a gas. Un posto tumultuoso incastrato tra il gotico e l’eterno. «Lo Steampunk è nato come filone della narrativa fantastica-fantascientifica. Il termine è attribuito allo scrittore K.W. Jeter, ma già il Verne di «Ventimila Leghe sotto i mari» ne anticipa il senso. Gli artisti lavorano solo su elementi tridimensionali. I practical artist si preoccupano di riprodurre antichi strumenti con uno specifico restyling. I fantasy artist scelgono la scultura creativa». Anche Donovan si è fatto il suo personale pezzo da esposizione. Una macchina per viaggiare da un secolo all’altro piena di legno e di lampadine. Ha girato una manopola in ottone come se fosse un piffero magico. Le sale si sono riempite come la metropolitana all’ora di punta, risucchiando in una bizzarra realtà alternativa («Noi la chiamiamo ucronia») un fiume di uomini e donne forse contemporanei forse di Marte - sicuri che negli spazi del museo gli orologi segnassero ore sconosciute ai calendari. Il tempo dello Steampunk.