Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2011  aprile 17 Domenica calendario

DA SPOLETO A SARROCH, LE STRAGI SENZA COLPEVOLE "VOGLIAMO GIUSTIZIA ANCHE PER I NOSTRI MORTI" - ROMA

Chiedono giustizia. Si sentono dimenticati, abbandonati con il proprio dolore, i parenti delle vittime delle altre Thyssen d´Italia. «Muoio ogni giorno aspettando che qualcuno paghi per la morte di mio marito, rimasto ucciso con altri due mentre puliva il depuratore comunale a Mineo. Ecco, la sentenza della Thyssen ha ridato un filo di speranza a noi parenti, costretti a assistere a processi che si trascinano anni». Maria Camme, 53 anni, due figli che cresce da sola a Ragusa, trattiene le lacrime pensando a Salvatore, morto il primo giorno del suo nuovo lavoro, nel 2008. «Spero che la verità venga fuori e ora ho più fiducia che anche per noi venga fatta giustizia», racconta a processo ancora in corso, Klaudio Demiri, il giovane gruista, unico sopravvissuto alla strage della Umbria Olii di Campello sul Clitunno, dove il 25 novembre del 2006 morirono in un´esplosione quattro suoi compagni. L´azienda, dopo aver chiesto 35 milioni di danni ai familiari, sostiene che l´esplosione sarebbe stata causata da una manovra errata della gru che guidava Demiri.
Pochi mesi prima della Thyssen c´è stata un´altra strage vicino Cuneo, nel Molino Cordero di Fossano, per la quale i proprietari sono stati condannati a 4 e 6 anni. «Di noi si parla poco perché era un´azienda piccola ma sono morti in cinque e oltre alla tragedia, neanche un euro di risarcimento», mormora Maria Chicco, vedova di Massimiliano Manuello. Da nord a sud, altri morti. La regione Puglia e il comune di Molfetta si costituiranno parte civile se ci sarà un processo bis per i 5 operai della Truck Center, soffocati dalle esalazioni in una cisterna. A un anno dal processo di I grado che ha visto condannati tutti gli imputati, escluso l´autista della cisterna, l´accusa ritiene che per quella tragedia ci siano anche altri responsabili. «Nessun risarcimento potrà colmare il mio dolore», dice la mamma di Michele Tasca che aveva 19 anni. I figli di Vincenzo Altomare, titolare della ditta morto per cercare di salvare i suoi operai, hanno ripreso a lavorare: «La vicenda di Torino non ha nulla a che vedere con la Truck Center: nostro padre ha sacrificato la vita per i suoi operai, mentre alla Thyssen le carenze sulla sicurezza rispondevano a una politica di risparmio».
Gino Melis ha l´immagine del figlio davanti agli occhi, morto nella raffineria Saras. «Daniele non me lo riporta nessuno, ma forse questi processi serviranno a far capire che c´è bisogno di prevenzione. Oggi tanti non l´hanno capito: pochi giorni fa è rimasto ucciso un altro operaio e ho pensato che la morte di mio figlio era stata inutile». Altri non hanno avuto giustizia. Nel 2006 Graziella Marota ha perso il figlio Andrea: «Lo ha ucciso una macchina non a norma: il sistema di sicurezza era stato rimosso per velocizzare la produzione. I responsabili della Asoplast di Ortezzano con una sentenza ridicola sono stati condannati a 8 mesi con la condizionale». Mentre quella contro Thyssen è una sentenza storica, per Marco Bazzoni, rappresentante dei lavoratori per la sicurezza, «non è vero quello che dice il ministro Sacconi, che le sanzioni sono adeguate per le violazioni più gravi, anzi. Il Dlgs 106 del 3 agosto 2009 ha dimezzato le sanzioni ai datori di lavoro, dirigenti e in alcuni casi ha sostituito l´arresto con l´ammenda». E tanti casi sono rimasti impuniti.