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 2011  aprile 18 Lunedì calendario

SOLARE, L’ENEL ACCENDE IL MODELLO TEDESCO

La fine di aprile si avvicina e ancora nulla di preciso filtra dal ministero dello Sviluppo economico sui nuovi incentivi alle fonti energetiche rinnovabili e, in particolare, al fotovoltaico, destinato a fare la parte del leone. Si sa solo che Confindustria propone un tetto agli aiuti pari a 6 miliardi di euro l’anno per 20 anni da raggiungere entro il 2016-17, e Assolare vorrebbe un miliardo in più. La capacità produttiva, così installata, dipende da come varierà l’incentivo unitario: quanto più sarà basso tanto più numerosi saranno i pannelli solari. Le previsioni oscillano tra i 10 e i 15 mila Mw. In ogni caso, date le poche ore di funzionamento, da questa fonte onerosa — 120-140 miliardi di aiuti a moneta corrente — verrà un contributo comunque modesto ai consumi elettrici nazionali. Gli effetti In una recente audizione al Senato, il dirigente dell’Enel, Simone Mori, ha presentato due clamorosi grafici. In uno dà conto del peso crescente in bolletta dei cosiddetti oneri di sistema all’interno dei quali il fotovoltaico molto ha assorbito e ancor più assorbirà ove passasse la proposta confindustriale. Nell’altro grafico, Mori confronta gli incentivi italiani per gli impianti a terra (dunque non per quelli sul tetto di casa che nessuno contesta) con gli analoghi incentivi tedeschi, francesi e spagnoli concludendo che, facendo come in Germania, si risparmierebbero 2 miliardi all’anno rispetto alla spesa prevista sulla sola potenza installata nel 2011. Ora l’Enel è un’impresa controllata dal ministero dell’Economia. Se mente, va chiamata a risponderne. Se dice il vero, il governo dovrebbe trarne le conseguenze senza più ascoltare né Assosolare né Confindustria, che sull’energia si sta confermando succube delle sue lobby interne: oggi di quella «democratica» del fotovoltaico, che coinvolge decine di associate e migliaia di soggetti esterni, come ieri lo era stata della lobby «oligarchica» dei grandi gruppi del Cip 6. Il cui costo, nella parte più scandalosa relativa alle fonti fossili assimilate alle rinnovabili, può essere stimato in una ventina di miliardi in 15-20 anni. Questione di misura Cifra enorme, che sarebbe stata anche più alta senza l’intervento dell’Autorità per l’Energia per tagliare la componente del prezzo relativa ai costi evitati di combustibile. Cifra enorme, ma pari a un sesto o a un settimo di quanto bolle in pentola per il fotovoltaico. Nessuno contesta il fotovoltaico in quanto tale. Anzi. E nemmeno l’idea che possa essere incentivato. Il problema è la misura dell’incentivo. Se in Germania si investe con meno perché in Italia si deve fare con più? Perché in Italia il governo Berlusconi cambia le carte in tavola durante la partita, prima con il decreto dell’estate 2010, poi con il «salva Alcoa» (fatto con la complicità di parlamentari Pd) e infine con lo stop del ministro Paolo Romani cui è seguito un immobilismo che rischia di generare provvedimenti ancora peggiori? Una strada semplice ci sarebbe: si adottano incentivi di taglia europea che l’Autorità riduce mano a mano che calano i costi d’investimento (in Germania, dimezzati in due anni) e si raggiungono gli obiettivi produttivi del Piano (l’Italia ha promesso all’Unione europea 8 mila Mw di fotovoltaico per essere in regola con Kyoto, eventualmente li si potrà rivedere un po’). Ma una simile soluzione avrebbe il torto di annullare la possibilità per il governo di elargire mance a pioggia e per la lobby «democratica» di chiederle. In compenso, sta fiorendo la leggenda metropolitana del fotovoltaico a favore dei consumatori quando in realtà può colpire solo l’Enel. Cosa, come vedremo, da fare in altro modo per aiutare davvero la gente. L’alternativa Come è noto, la Borsa elettrica fa il prezzo per fascia oraria nelle quattro macrozone del Paese sulla base del prezzo cui viene aggiudicata l’ultima fornitura di energia elettrica necessaria a soddisfare la domanda. E’ il meccanismo del prezzo marginale. Ebbene, quasi sempre è l’Enel che riesce a far entrare l’ultima fornitura attivando qualche vecchia centrale dai costi altissimi e così nelle ore di punta il prezzo industriale sale dai 65 euro medi al Mwh agli 80 delle ore piene. In tal modo, l’Enel e le consorelle hanno colmato un po’ il buco dei ricavi generato dalla recessione dei consumi che aveva costretto a marciare regime ridotto le centrali a ciclo combinato. Ora, alcuni studi professionali, che collaborano con le associazioni dei produttori fotovoltaici, sostengono che quanto più si espande l’offerta di energia da fotovoltaico, che ha costi di produzione bassi (se si escludono gli ammortamenti e gli oneri finanziari) e priorità nel dispacciamento, tanto meno l’Enel potrà giocare sul prezzo marginale. In realtà, la domanda, anche quella marginale, è ormai prevedibile con una certa esattezza. E’ l’offerta del fotovoltaico che è soggetta a forti variazioni in relazione alle condizioni climatiche. E’ dunque ancora la produzione tradizionale a fare il prezzo delle punte e il fotovoltaico si accomoda a tavola. Magari toglierà fette di torta all’Enel, ma non riducendo la torta che devono pagare i consumatori. Per tagliare un po’ le unghie all’Enel e far funzionare meglio eolico e fotovoltaico, che oggi spesso vengono fermati e pagati comunque, e al tempo stesso per venire incontro al pubblico pagante, la strada è probabilmente un’altra: lo pseudo-idroelettrico dei pompaggi. Che possono essere estesi per 2-3 mila Mw, specialmente nel Mezzogiorno, a cura di Terna o da altri soggetti che li azionerebbero su tariffa dell’Autorità così da fare anche da calmiere. Il ministro Romani ha in mano uno studio di fattibilità di Terna. Può decidere.