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 2011  aprile 18 Lunedì calendario

TREMONTI E L´ALLARME USA SULL´ENI "COL GAS RUSSO SPINTI TROPPO IN LÀ" - MILANO

«Nella collaborazione con i russi di Gazprom siamo andati un po´ troppo in là». È la primavera del 2008. L´ammissione viene riferita a Giulio Tremonti, e dà il senso di un eccesso nella strategia energetica italiana che molto ha fatto e fa discutere. L´interlocutore del ministro del Tesoro era l´ambasciatore americano Ronald Spogli, come si legge nei rapporti diffusi da Wikileaks. Vi si trova anche un Paolo Scaroni che confessa: «Più conosco i russi più mi preoccupo», o le autorità americane preoccupatissime perché Silvio Berlusconi «le dà tutte vinte e Putin e colpisce al cuore i nostri obiettivi di sicurezza in Europa».
Tre anni dopo queste frasi suonano quasi profetiche. Tra gli intenti dei diplomatici americani, che allora riscrivevano l´agenda da rappresentare al quarto governo Berlusconi, la grande priorità era proprio disallineare la politica energetica italiana da quella di Mosca. E osteggiare la costruzione del gasdotto South Stream, visto come il colpo definitivo alle speranze di affrancare l´Europa dal giogo russo. Dai fatti degli ultimi mesi – complici involontarie le sommosse che fanno bollire il gas nordafricano e il disastro di Fukushima che congela i revival nucleari – si potrebbe arguire che l´alacre suasion del Department of State mostra i primi effetti, e un cambio di stagione. A metà 2008 Washington, come si legge nei cablogrammi ottenuti da l´Espresso, anticipati da la Repubblica e in testo integrale sul sito www.repubblica.it, usò la sua influenza su Palazzo Chigi «per bloccare la politica dell´Eni come punta di lancia di Gazprom in Europa», consapevole che ciò avrebbe potuto «richiedere un cambio dei vertici nell´azienda». Vertici che erano al rinnovo, e che furono confermati in toto. Tre anni dopo (oggi) Giuseppe Recchi è stato indicato nuovo presidente dell´Eni al posto di Roberto Poli, storico commercialista di Silvio Berlusconi, mentre Scaroni è stato confermato ad. Recchi, scelto personalmente da Tremonti, è uno stimato manager della multinazionale americana General Electric. Proprio Tremonti – si legge nel dispaccio di Spogli del 24 aprile 2008 – «è particolarmente convinto dell´esigenza di riequilibrare la politica energetica con i russi»; proprio in lui confidavano gli americani, che al via del nuovo governo scrivevano «abbiamo ragione di credere che potremmo riuscire a rendere più moderati i rapporti tra Eni e Gazprom».
Un mese fa, a Washington e Roma, il plenipotenziario energetico Usa per l´Eurasia Richard Morningstar sdoganava lo spauracchio South Stream. «Non ci opponiamo al South Stream – diceva – e l´idea di Scaroni di rendere complementare una parte del suo tracciato con il Nabucco è interessante e merita approfondimenti». Affermazioni impensabili qualche mese fa, e tutte dissonanti dai dispacci che l´ambasciata di Villa Taverna smistava tra il 2005 e il 2009, molti imperniati sulla dipendenza energetica dell´Italia dai russi e sull´amicizia Berlusconi-Putin che ne vizia i rapporti bilaterali. Spogli lo enuncia, in un memo di metà 2008: «Sicurezza energetica vuol dire cose diverse in diversi paesi. Per gli Usa significa ridurre la dipendenza dal petrolio arabo. Per l´Europa dovrebbe significare liberarsi dalle forniture russe. Ma gli italiani non la vedono così: sono dipendenti fin dai tempi sovietici, a loro non sembra un problema».
Spogli, lasciò l´incarico due anni fa, ha reso il tema quasi un´ossessione per gli americani a Roma. Proprio nell´aprile 2008, nella congiunzione astrale di scadenze (governo e cda dell´Eni) si era intensificata l´azione contro l´asse Eni-Russia. Il 6 maggio l´ad del Cane a sei zampe Scaroni incontra il sottosegretario Reuben Jeffery a Washington, che gli esprime duramente la contrarietà americana all´ipotesi di un nuovo gasdotto che dai giacimenti in Iran sbocchi in Turchia. E gli rimprovera la «crescente dipendenza dell´Europa dal gas russo». «Comprendo le preoccupazioni – ribatte Scaroni – più conosco i russi, più mi preoccupo anch´io». Ma il manager rivendica il progetto del gasdotto South Stream, e sostiene che Gazprom è «un partner commerciale perfetto, soltanto un po´ burocratico e lento, ma affidabile». Poi tenta lo spariglio iraniano: «L´Europa è tra l´incudine e il martello, importare gas dall´Iran è l´unica grande alternativa alla Russia». E proprio Teheran ha prospettato l´idea del nuovo tubo all´Eni. «Gli Usa scoraggiano nei termini più netti possibili l´iniziativa», è la risposta: vige l´embargo Onu contro l´Iran. Scaroni replica che non ci sono nuovi investimenti in vista, solo uno studio di fattibilità, «che non viola le sanzioni, è un modo perché Eni fronteggi il futuro sbarco delle major americane, quando l´Iran sarà pacificato». Jeffery ribatte a muso duro che «anche un solo studio avrebbe effetti negativi, perché va contro lo spirito delle sanzioni, che anzi il Congresso intende inasprire». In seguito a quell´incontro, Washington dà ordine alle periferie di «far giungere duri messaggi (tough messages, ndr) a Scaroni su Russia e Iran».
Ma il problema, più che Scaroni, è Silvio Berlusconi. Il suo approccio molto operativo sugli affari russi, che oscura manager e diplomazie. Così ne parla la diplomatica Elizabeth Dibble in un appunto per la visita della Congress speaker, Nancy Pelosi, nel febbraio 2009: «Le sue sparate a bruciapelo (nell´originale, shoot from the hip) e gaffe creano irritazioni, ma è un sincero ammiratore degli Usa, e teme molto di rovinare il rapporto avuto con l´amministrazione Bush. Le sue maldestre senserie tra Usa e Russia sono per noi una noiosa distrazione, e le mosse italiane hanno pregiudicato i tentativi di limitare la strategia di Putin, che usa l´energia come arma politica». Nello stesso periodo, Dibble si preparava a dire al ministro degli esteri, Franco Frattini: «La politica estera con la Russia è completamente dominata dal desiderio di Berlusconi di darle tutte vinte a Putin. I compromessi che propone ai russi colpiscono al cuore i nostri interessi di sicurezza in Europa: indipendenza del Kosovo, allargamento della Nato e dell´Europa, avvio di un dialogo sui diritti civili in Russia. La condotta di Berlusconi non troverà supporto a Washington, e può soltanto danneggiare la credibilità dell´Italia».