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 2011  aprile 18 Lunedì calendario

MILLE EURO A TESTA SPESI PER GIOCO

Magari all’ulteriore tazzina di caffè della giornata si rinuncia, ma alla schedina del «gratta e vinci» no, a quella proprio non si riesce a dire di no. Meno di un euro contro tre (ma anche di più). Però, una volta bevuti, gli 80-90 centesimi se ne vanno con l’aroma della calda bevanda, mentre chissà mai che, raschiato via l’oro del tagliandino, non salti fuori la magica combinazione che ci farà vincere la somma «che ci cambierà la vita». Illusione che dura il tempo di allontanarsi dal bar o dall’edicola: ben che vada, a essere fortunati, si tratterà di qualche decina di euro.

Che cosa farci? Difficile che bastino per comprare qualcosa di impegnativo. Neppure ci passerà per la testa di raggranellarli con altri spiccioli risparmiati per arrivare a cambiare, ad esempio, il divano: ci vorrebbe troppo tempo (e troppa buona sorte). Meglio tentare di nuovo la dea bendata sperando nella vincita "vera", tanto più che si tratta di soldi arrivati per caso, non guadagnati con il lavoro: zero rimorsi, quindi. Peccato che tra un "grattino" oggi e un "10elotto" domani, il gruzzoletto "vinto" si intacca e scema fino ad azzerarsi e saranno necessari nuove iniezioni di fondi, questa volta sì prelevati dalla busta paga. O addirittura dal resto della spesa (si parla di un sistema automatico nelle grandi catene per cui sarà la cassiera a chiederci se vogliamo trasformare gli spiccioli in una puntata, con vincite – e perdite soprattutto – in tempo reale).

Una storia quotidiana – basta entrare da un tabaccaio per vedere il film in diretta – che riprodotta su tutto il territorio si trasforma in un fiume di denaro che viene dirottato da altre spese per essere riversato in slot machine, lotterie e scommesse varie: nel 2010 sono stati consumati in alea 61,4 miliardi (e per il 2011 si potrebbero raggiungere gli 80 miliardi).

Una somma pari al 7% circa dei consumi privati (tra gli 800 e i 900 miliardi di euro nel 2010 secondo gli ultimi dati Istat, includendo in questa voce tutto, dal mutuo agli alimentari, dall’abbigliamento ai viaggi fino al tempo libero). L’effetto "sottrazione" si evidenzia ancor più se si confrontano le variazioni: nel corso del 2010 la spesa delle famiglie per consumi finali è cresciuta del 2,5% (praticamente è rimasta ferma se si considera l’inflazione), mentre l’importo "giocato" ha sfiorato una crescita del 13 per cento.

È questo – a grandi linee – il quadro che emerge dall’analisi di Maurizio Fiasco svolta nell’ambito della ricerca annuale per la Consulta nazionale antiusura esposta alla Commissione Antimafia (si veda anche l’articolo a fianco).

Se non altro – verrebbe da pensare – questa tendenza si traduce in buone notizie per le entrate erariali dello Stato che dal 1992 ha trasformato il gioco pubblico d’azzardo in una leva fiscale importante per sopperire in parte ai fabbisogni crescenti della spesa pubblica.

Invece – spiega lo studio addentrandosi nei numeri – il ricavato lordo per l’Erario è cresciuto nel 2010 di appena il 3% (da 8,8 a 9,1 miliardi di euro), quindi a un ritmo ben inferiore all’aumento delle somme puntate. Ma, quel che colpisce è la costante contrazione del rapporto tra "giocato" ed entrate erariali: se queste rappresentavano il 29% nel 2004 ( 7,3 miliardi su 25) ora si limitano al 14,8% (9,1 su 61,4 miliardi). Questo perché conquistano sempre più spazio i giochi cosiddetti a "bassa soglia" (oltre 31 miliardi assorbiti dalle newslot nel 2010 e 9,4 da Gratta e Vinci e lotterie): richiedono investimenti di pochi euro, garantiscono una maggiore frequenza di piccole vincite (motivi per cui non si ha una cognizione immediata di quanto si sta spendendo e si è invogliati a riprovare) e hanno un prelievo fiscale meno pesante (12,6% per le newslot contro il 50% di Superenalotto o Win for life).

La success story del gioco pubblico d’azzardo si tradurrebbe quindi in effetti depressivi sui consumi privati (visto che le piccole vincite vengono reinvestite in gioco e distolte da altre spese) e in un ridimensionamento delle entrate erariali. Ma la ricerca riesce a declinare anche territorialmente questa crescente passione per l’alea.

In valori assoluti (calcolati come importo giocato pro capite) sono i pavesi a mettersi in prima linea nella ricerca della fortuna, con oltre 2mila euro pro capite puntati nel corso del 2010, a fronte di una media italiana di circa 980 euro. Ancora dei lombardi, i comaschi, al secondo posto come amanti delle scommesse, con oltre 1.500 euro pro capite.

La top ten si completa con altre realtà del Nord (Rimini, Savona, Reggio Emilia) e altre tre del Centro (Latina, Terni, Frosinone) e due del Sud (Teramo e Pescara).

Nel complesso a spendere più della media nazionale sono 43 province e anche questa particolarissima classifica – legata in qualche modo alla ricchezza – relega il Sud agli ultimi posti: sotto i 700 euro pro capite ci sono prevalentemente realtà siciliane e calabresi (gli abitanti di Enna e Crotone non arrivano ai 500 euro di spesa).

Tuttavia la prospettiva cambia radicalmente se si considera la percentuale di Prodotto interno lordo spesa in slot, lotterie e simili: Pavia resta sempre in testa, consumando una fetta dell’8% del Pil, ma subito dopo – con quote superiori o intorno al 6% – troviamo Teramo, Caserta, Sassari, Pescara e Napoli.

Nel complesso le province che vanno oltre il 5% del Pil "investito" in azzardo sono venti, delle quali 13 del Mezzogiorno e solo tre del Nord. A trattenersi maggiormente dal richiamo del gioco sono invece prevalentemente province del Nord: meno del 2,5% spendono Biella, Cuneo, Bolzano e Padova.

Quanto alle due grandi, Roma e Milano, entrambe spendono ciascuna oltre 4 miliardi di euro: i milanesi 1.235 euro e i romani 1.160, destinando una quota di Pil abbastanza simile (rispettivamente 3,4 e 3,6).